• Non ci sono risultati.

La nozione di riserva ed il vincolo pubblicistico nella sistematica della proprietà pubblica di Sabino Cassese.

2. La riapertura della riflessione nella seconda metà del 20° secolo tra superamento delle categorie codicistiche e modello costituzionale

2.3. La nozione di riserva ed il vincolo pubblicistico nella sistematica della proprietà pubblica di Sabino Cassese.

Infine, occorre richiamare l’impostazione di Sabino Cassese247, la quale compendia le

precedenti interpretazioni e porta a compimento il processo di revisione critica già av- viato, adottando una nuova prospettiva. La ricostruzione proposta si pone come metodo quello di valutare la teoria dei beni pubblici alla luce della Costituzione repubblicana e delle regole che essa pone in generale riguardo all’appropriazione dei beni. Egli rinviene nell’art. 42 Cost. non solo la disciplina del contenuto del diritto di proprietà, ma anche del momento, che lo precede, della capacità di divenire titolari di proprietà248. In nuce, nella

monografia di questo Autore viene ampliato lo spettro di analisi per mettere in evidenza la presenza di rapporto antecedente – logicamente e giuridicamente – la proprietà pub- blica, ovvero, la situazione giuridica dei privati rispetto alla possibilità di appropriarsi dei beni pubblici249.

I beni pubblici sono considerati riservati – dal momento che la legge ne sancisce l’inappropriabilità da parte dei privati – dove la riserva è definita come l’atto «previsto

244 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., ibidem. 245 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 119 ss. 246 B.TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, cit., p. 220. 247 S.CASSESE, I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano, 1969. 248 S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 23 ss.

dalla Costituzione il quale costituisce il tratto pubblicistico della proprietà pubblica»250. E

difatti, poiché la Costituzione tutela l’appropriazione privata dei beni, alla base della ri- serva alla proprietà pubblica deve esservi uno specifico fondamento costituzionale, il quale viene rinvenuto nell’art. 42, laddove prevede che la legge determina i modi di ac- quisto e i limiti della proprietà privata al fine di renderla accessibile a tutti251.

L’analisi cioè viene ad essere fondata sulle norme costituzionali e trova il suo tratto distintivo nello studio della disciplina da queste dettata rispetto alla posizione dei privati con riferimento ai beni pubblici. Impostando la disciplina della proprietà pubblica come limite alle facoltà dei privati, ne consegue la necessità di esaminare la legittimità di tale limite e la conseguente conformazione delle situazioni soggettive da esso derivanti a par- tire dal regime costituzionale della proprietà. Anche in questa prospettiva, dunque, la pro- prietà pubblica si distingue per essere una proprietà privilegiata, cioè connotata dal carattere della incommerciabilità, per ciò che alla riserva può conseguire o meno la pro- prietà dell’ente pubblico252.

Ebbene, la teoria dei diritti reali troverebbe dunque il suo oggetto nello studio dei rapporti tra soggetti rispetto ai beni e non nella natura di essi o nel loro rapporto con il proprietario; in quest’ottica risulta irrilevante l’appartenenza dei beni in riferimento agli enti proprietari. Pertanto l’incommerciabilità non sarebbe da intendersi come un attributo pertinente alla natura della cosa demaniale; piuttosto essa determinerebbe l’impossibilità per i privati di acquisirne la proprietà. Cassese muove cioè dal presupposto della erroneità dell’impostazione ches rinveniva il tratto peculiare della proprietà pubblica nella incom- merciabilità e nella tutela amministrativa, cui fanno riferimento anche le categorie codici- stiche del demanio e del patrimonio indisponibile.

Tuttavia, dalla lettura del diritto positivo, lo Studioso ricava che la tutela amministra- tiva (autotutela) non esprime un insieme di poteri necessariamente connessi alla titolarità dei diritti sui beni, cioè essa «non è carattere distintivo di una categoria di beni pubblici di proprietà pubblica che si differenzia da una categoria di beni pubblici di proprietà pri- vata dell’ente pubblico»253.

Piuttosto, l’autotutela sui beni pubblici è legata agli usi degli stessi, sia pubblici che privati rispetto ai quali la legge prevede poteri in capo all’amministrazione per esigenze di interesse generale, finalizzati allo scopo di salvaguardare gli usi protetti dalla legge e non

250 S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 52; su questi temi anche S.CASSESE, Legge di riserva e articolo 43

della Costituzione, in Giur. Cost., 1960, p. 1332 ss.

251 S.CASSESE, I beni pubblici, op. loc. ult. cit.

252 A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 91 ss. Cfr. B.TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, cit., p. 228. 253 S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 523.

necessariamente collegati alla proprietà del bene254. L’autotutela, dunque, viene ricondotta

alla supremazia dell’ente pubblico per come è configurato dalla legge, a prescindere dalla sua natura di proprietario.

Con l’opera di Cassese si ha dunque la prima ricostruzione approfondita che muove dalla centralità attribuita ai rapporti tra soggetti, diversamente dalle impostazioni prece- denti, incentrate sui beni e sul loro rapporto con lo Stato proprietario. Cassese quindi imposta la disciplina della proprietà pubblica come limite generale alla capacità dei privati di acquisire diritti dominicali sulle cose, deroga da esaminare alla luce delle norme costi- tuzionali relative alla capacità dei privati. In tal modo si individua altresì un limite alla discrezionalità del legislatore nel sottoporre i beni al regime demaniale, che viene riferito alla necessità di rendere i beni accessibili. Ovvero, si tratterebbe di un limite alla libera appropriazione connesso al perseguimento di una finalità specifica, ragione per cui ai limiti posti alla proprietà dalla Costituzione deve essere attribuito carattere qualitativo e non quantitativo255.

Contrariamente alla dottrina che intendeva la riserva nel senso che i beni erano riser- vati allo Stato quale unico soggetto proprietario, Cassese delinea l’istituto in modo di- stinto dal regime della proprietà in quanto alla riserva non consegue necessariamente la impossibilità di configurare la proprietà256. Ciò causa un’ulteriore frammentazione nella

teoria dei beni con riferimento all’attribuzione dei poteri, dal momento che la tutela am- ministrativa non viene riferita alla posizione di proprietario, bensì viene accostata alla funzione di regolazione dell’uso dei beni. La scissione tra titolarità dominicale e poteri di autotutela comporta che i poteri vengano attribuiti alle amministrazioni per perseguire certe finalità, in connessione ad esse, mentre in precedenza i poteri di autotutela erano riconosciuti allo Stato in quanto proprietario e sovrano, come inerenti al diritto stesso.

Nella ricerca di Cassese, in definitiva, la proprietà viene concepita in modo unitario, superando così la distinzione netta tra diritto pubblico e privato, e, in conseguenza di ciò, egli approfondisce sia i mezzi di tutela amministrativa sia quelli ordinari.

Tale impostazione metodologica porta a superare la concezione tradizionale legata alla caratteristica intrinseca dell’incommerciabilità dei beni – che viene considerato uno dei caratteri centrali per studiare il regime delle proprietà pubbliche – derivante dalla loro

254 Nello specifico, si chiarisce che «la fonte dell’autotutela non va ricercata nella posizione di proprietario dell’ente pubblico; ma, al contrario, un preteso carattere pubblico della proprietà va ricercato nell’autotutela». S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 524.

255 S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 42 s., e p. 70. 256 S.CASSESE, I beni pubblici, cit., pp. 177 e 201.

inidoneità a formare oggetto di proprietà privata. E difatti l’incommerciabilità viene indi- cata come una «formula verbale riassuntiva di più effetti giuridici» inoltre, abbandonando il profilo oggettivo, si viene a considerare la legittimazione dei privati come posizione giuridica che assume autonomia quando negata257.

In un’accezione rigorosa, tale espressione è intesa come possibilità di escludere i pri- vati dalla legittimazione a essere proprietari di alcune categorie di beni, eventualità che trova fondamento nella lettura sistematica del testo costituzionale, in particolar modo dell’articolo 42258.

E, difatti, in tale disposizione non solo vengono disciplinati gli istituti della proprietà privata e dell’espropriazione, come già nelle costituzioni successive alla rivoluzione fran- cese e nello statuto Albertino, ma anche le situazioni preliminari alla proprietà e le facoltà in essa ricomprese. Ovvero, la previsione dell’art. 42 Cost. (in base alla quale la legge determina i modi di acquisto e limiti della proprietà privata al fine di renderla accessibile a tutti), più che essere interpretata come necessità dell’attualità della pertinenza del bene e della titolarità del diritto, deve essere letta come riferita all’attitudine a diventare pro- prietari, cioè ad un momento precedente l’acquisto della titolarità del diritto.

Il legislatore può cioè adottare per alcune categorie di beni, un atto (la riserva) avente lo scopo di rendere accessibili a tutti i beni appartenenti alla categoria259, per ciò che essa

comporta l’esclusione di ogni forma di appropriazione privata dei beni appartenenti alla categoria individuata. In altri termini, l’articolo 42 non identifica i beni da sottoporre a riserva, ma introduce un limite di carattere qualitativo, giacché se per il principio costitu- zionale di uguaglianza la riserva deve rendere tali beni accessibili a tutti – ha lo scopo ultimo di preservare la fruibilità collettiva – allora l’esclusione dalla appropriabilità privata può essere disposta solo per fini collettivi260.

257 A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 83.

258 Oltre all’articolo 42, che è centrale perché ha ad oggetto in generale il regime della proprietà privata, assumono rilevanza anche gli articoli 41, 43 e 44. Gli articoli 41 e 43 vanno letti congiuntamente; l’art. 43 disciplina l’impresa e si pone come limite dell’articolo 41, ma la disciplina prevista incide anche sui beni strumentali all’esercizio delle imprese oggetto di un eventuale provvedimento di riserva o di espropriazione, in ragione della connessione logica che vi è tra esercizio di impresa bene strumentali ad essa, dal momento che «la disciplina costituzionale dell’impresa reagisce su quella dei beni, fornendo una serie di limiti alle riserve che sui beni possono essere operate». L’articolo 43, a differenza di 42, ammette la riserva per generiche finalità di utilità generale e non solo per consentire l’accesso a tutti ad alcuni beni.

L’articolo 44 invece prevede che la legge possa fissare limiti all’estensione della proprietà terriera privata in base alla ripartizione delle zone agrarie; oltre tali limiti i privati non possono appropriarsi della terra. In altri termini si prevede una riserva a favore di enti pubblici e collettività definita per eccedenza. Cfr.S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 230 ss.

259 La proposta ricostruttiva esaminata sviluppo considerazioni già presenti in M.S.GIANNINI, I beni

pubblici, cit., p. 77 ss.

260 In questo senso, per la Costituzione «le dimensioni del settore privato e del settore pubblico sono indifferenti» S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 78.

I privati, cioè, pure essendo costituzionalmente titolari di una generale capacità giu- ridica, non sono legittimati ad essere proprietari dei beni inclusi nella riserva, la quale opera nei confronti di tutti i privati e non a danno di qualcuno e in favore di altri.

In questa accezione i beni pubblici sono incommerciabili, da intendersi come esclusi dal diritto privato, ovverosia, la riserva di cui all’art. 42 Cost. rende improduttivo di effetti ogni possibile atto mirante all’acquisto di proprietà individuale del bene collettivo, poiché i singoli vengono privati della legittimazione a ricevere261. Per tale ragione quelli pubblici

sono beni in senso giuridico solo nei confronti dei soggetti pubblici, mentre sono cose per tutti i soggetti privati, non potendo costituire oggetto di diritti. Dunque, pur se nei confronti dei beni sottoposti a riserva si potrà anche acquisire un possesso mediante atti concessori, esso non potrebbe mai avere un effetto acquisitivo in capo ai privati.

Per individuare i beni pubblici in senso stretto, cioè quelli riservati, la ricostruzione di questo Autore fa riferimento ad un criterio soggettivo, che consente di verificare even- tuali limitazioni di capacità poste in capo ai privati per categorie determinate di beni. Essendo il soggetto ad essere posto «al centro dei fenomeni giuridici, è ad esso – e ai suoi attributi - che occorre far riferimento»262 per cui, l’individuazione dei beni pubblici passa

necessariamente dallo studio delle posizioni di soggetti pubblici e privati nei confronti dei beni263. Di conseguenza, viene escluso il ricorso al criterio oggettivo, in base al quale taluni

beni sarebbero pubblici in virtù delle loro caratteristiche intrinseche che li renderebbero inidonei a fornire utilità ai privati. E neppure sarebbe da aderire all’impostazione che individua nell’attualità della destinazione ad un uso pubblico il carattere distintivo di que- sto tipo di beni, ma assumerebbe rilievo esclusivo la mera potenzialità dell’uso pubblico, giacché l’attualità della destinazione caratterizza i beni del patrimonio indisponibile, che però non vengono inclusi nel numero dei beni riservati264.

261 A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 86.

262 S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 115. In questa prospettiva vi rientrano i beni del demanio, ad esclusione di quelli del demanio militare, e ne sono altresì esclusi i beni del patrimonio indisponibile

263 Si osserva infatti che il termine “demanio” è stato ambiguo fin dall’origine perché comprendeva sia cose pubbliche quae in publico uso sunt, sia i beni posseduti dallo Stato come persona giuridica

quae in patrimonio sunt. In seguito, i beni in uso pubblico e quelli appartenenti allo Stato a titolo di

proprietà (beni demaniali) sono stati sottoposti ad una medesima disciplina, indistinzione dura fino ai nostri giorni «con la riduzione delle varie forme di proprietà pubblica alla proprietà della persona pubblica». S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 186.

In ultima analisi, il demanio viene ristretto alle classiche figure del demanio idrico, stradale e marittimo. Tale riduzione risulta drastica nella prospettiva di Santi Romano, il quale sosteneva che lo sviluppo storico del demanio era andato nel senso dell’appartenenza dei beni dalla collettività allo Stato e ad altri enti pubblici.

E se, pertanto, la Costituzione sembra mettere al centro della teoria della proprietà pubblica i beni destinati all’uso pubblico265, ciò ripropone l’antico problema dell’ammis-

sibilità di usi a titolo particolare su questi beni poiché il principio costituzionale di ugua- glianza e la finalità stessa della riserva impongono che essa non possa «operare a favore di un privato e a danno di tutti gli altri»266.

Un punto critico del sistema viene dunque riscontrato ove un bene «inappropriabile da parte dei privati» sia goduto da alcuni di essi «in via esclusiva», anche se lo strumento classicamente individuato per conseguire questo effetto, che è la concessione, più che presupporre la proprietà pubblica, sembra presuppone la riserva267.

L’indagine sul ruolo della concessione nella teoria dei beni pubblici viene affrontata dall’Autore nell’ottica della compatibilità dell’uso concesso con la base costituzionale della riserva dei beni demaniali alla proprietà pubblica. Cassese, similmente agli autori richiamati sopra, contesta l’espressione “uso eccezionale” se riferita all’oggetto, ma la ri- tiene appropriata ove intesa in senso soggettivo, riconducendo l’eccezionalità al fatto che, in taluni casi, il bene è attribuito in godimento ad alcuni privati, escludendo gli altri268.

265 Per quanto riguarda, poi, le figure di proprietà pubblica, Cassese individua un prima tipologia nella proprietà individuale dell’ente pubblico sui beni riservati. Tuttavia, se a giustificare la riserva è il fine di rendere la proprietà accessibile a tutti, soltanto la proprietà collettiva soddisfa questo requisito, ciò in quanto il fondamento della riserva risiederebbe nella regola per la quale «nessuno può divenire proprietario di alcuni beni per assicurare a tutti la possibilità di usare tali beni, impedendo così l’appropriazione a titolo di proprietà individuale ad opera degli stessi proprietari collettivi o di altri estranei alla collettività.

Si individua poi l’ipotesi in cui alla riserva non consegue l’assunzione della titolarità del diritto da parte di nessuno, per cui essa opererebbe con riferimento ad alcuni beni senza che la loro proprietà venga assunta in capo ai pubblici poteri o ad altri soggetti, come nel caso delle res communes omnium (mare territoriale, cielo). In queste ipotesi, i poteri di polizia attribuiti all’amministrazione sono giustificati dalla necessità di garantire il rispetto delle norme di convivenza rispetto all’uso del bene stesso, il quale per sua natura è in grado di fornire utilità quantitativamente illimitate. Allo Stato cioè spetterebbe il ruolo di autorità di polizia, più che di amministratore della cosa, dal momento che non vi sarebbe alcuna proprietà, ma solo una riserva. Di conseguenza, nessuno può divenire proprietario in ragione della vigenza di un regime di libero godimento del bene, che il legislatore deve limitarsi a regolare. Nell’ultima figura individuata la riserva opera contestualmente all’uso da parte dei privati; si tratta, in altri termini, di quelli che la dottrina tradizionale definiva usi speciali. S.CASSESE, I beni pubblici, cit., pp. 53, 172 ss.; cfr. B.TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, cit., p. 226 ss.; A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 90.

266 S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 81. 267 S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 207.

268 Aderisce a questa impostazione M. Olivi, il quale respinge le critiche che alla contrapposizione tra uso comune e usi eccezionali erano state sollevate da Giannini e Sandulli, in stretta connessione con la concezione della riserva come garanzia di non appropriabilità a titolo individuale del bene, cui l’Autore aderisce. In particolare, egli sostiene che «la locuzione usi eccezionali fa parte del bagaglio di origine degli studi sulla demanialità, quando cioè la demanialità era incentrata sull’uso comune del bene […]. Questa espressione può quindi essere ancora adoperata nello specifico senso di individuare gli usi diversi dall’uso collettivo, quelli che qui sono indicati come rivali, che comportano cioè l’esclusione di altri soggetti dall’uso contestuale del bene». M.OLIVI, Beni dema-

L’espressione “uso eccezionale” viene dunque ritenuta non appropriata se con essa si presuppone che il bene, in virtù delle sue caratteristiche naturali, debba essere usato in un certo modo, mentre quelli eccezionali «si discosterebbero da tali modi di uso perché meno frequenti o meno atti a realizzare fini propri della collettività». Difatti, egli riprende l’obiezione avanzata contro la teoria degli usi eccezionali osservando che «contro una concezione di questo tipo, si potrebbe quindi chiedere perché sia qualificato ancora ec- cezionale l’uso di acqua pubblica al fine di produrre energia elettrica a fronte di quello della navigazione […]» 269. Nonostante ciò, all’eccezionalità dell’uso viene attribuito un

significato chiaro e ben definito, che viene spiegato facendo riferimento ai soggetti, piut- tosto che alle caratteristiche naturali del bene, in quanto viene ritenuto eccezionale «quell’uso col quale un privato sottrae ad altri l’uso. Il metro per giudicare l’eccezionalità, cioè, non è da ricercare «nel tipo di uso ma nel fatto che gli ‘usi eccezionali’ comportano un godimento del bene in via esclusiva»270.

La concessione, del resto, attribuendo in via esclusiva al singolo solo alcuni usi del bene, non entrerebbe in contrasto con il regime di riserva ma servirebbe, piuttosto, ad attuarlo. Val quanto dire che la concessione potrebbe operare solo limitatamente a delle porzioni del bene collettivo, poiché essa sottrae il bene all’uso comune, che costituisce la ratio stessa della riserva271. La concessione quindi non elimina la riserva neanche per il

concessionario, il quale si trova in una situazione di precarietà, per ciò che questi non può travalicare gli specifici usi a esso consentiti dalla concessione stessa.

Dal momento che gli usi eccezionali comportano che «beni sottoposti a riserva siano accessibili solo ad alcuni soggetti: quelli che abbiano ottenuto una concessione», tali forme di utilizzazione «comportano un’eccezione alla regola che i beni sottoposti a riserva debbono essere accessibili a tutti»272, per tale ragione occorre poter «comprendere come,

una volta che si sia operata una riserva per rendere i beni accessibili a tutti, si possa poi concedere l’uso esclusivo degli stessi»273.

Sicché Cassese tenta di fondare sulla Costituzione il limite al potere amministrativo di restringere lo spazio dedicato all’uso comune tramite il rilascio di concessioni sui beni di proprietà collettiva, giustificando la sua operatività entro un ambito particolarmente

269 Si argomenta cioè che l’uso idroelettrico delle acque, un tempo considerato eccezionale, realtà oggi divenuto assai più normale rispetto a quello ad esempio della navigazione ritenuto normale in epoche ormai passate). S.CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 207.

270 Per contro, l’uso ‘normale’ viene indicato come «quello che permette il contemporaneo uso di tutti gli altri soggetti, cioè quello che realizza appieno lo scopo indicato dalla Costituzione». S. CASSESE, I beni pubblici, cit., p. 208.

271 Da tale argomento sono escluse le ipotesi in cui la riserva non sia posta per rendere i beni accessibili a tutti come avviene nell’art. 42, ma per le altre ragioni indicate dagli artt. 43 e 44 Cost.

Outline

Documenti correlati