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Introduzione: le innovazioni di fine secolo in merito alla titolarità e alla funzione dei beni.

Verso una nozione oggettiva di beni pubblici: valoriz zazioni e privatizzazioni.

1. Introduzione: le innovazioni di fine secolo in merito alla titolarità e alla funzione dei beni.

Nell’ultimo trentennio del secolo da poco concluso alcuni cambiamenti nell’ordina- mento e, più in generale, nella società, hanno influenzato in modo netto la disciplina della proprietà pubblica, quasi fino al punto di ribaltare concettualmente lo schema di prote- zione speciale e di titolarità statale di alcune categorie di beni.

Gli studiosi hanno così iniziato ad interessarsi ad alcuni profili che hanno condizio- nato (e ancora condizionano) il dibattito, prendendo in considerazione l’impatto sull’eco- nomia dell’incrementato intervento pubblico, dovuto allo sviluppo delle imprese e dei servizi pubblici. In seguito all’emergere di tale mutato contesto socio-economico lo studio dei beni pubblici ha iniziato ad includere analisi su questioni nuove relative alla gestione, all’amministrazione, alla valutazione e all’efficiente utilizzo dei beni pubblici impiegati in economia. In alcuni studi in particolare l’oggetto della ricerca è stato ampliato, prendendo

in esame anche i beni patrimoniali, in considerazione dell’evoluzione in atto sul versante economico303 e della rilevanza acquisita da questa categoria di beni nel corso del tempo.

Allo stesso tempo – ed in modo coerente con l’evoluzione accennata – la dottrina ha iniziato ad interessarsi anche al profilo gestionale dei beni304, giungendo a mettere in evi-

denza la mancanza di un dibattito relativo alle giustificazioni economiche della proprietà pubblica305. Tale interesse era stato stimolato anche dai risultati dell’indagine condotta

dalla Commissione presieduta da Sabino Cassese, che aveva messo in luce la grave ca- renza conoscitiva relativa ai sistemi di inventariazione e valutazione del patrimonio pub- blico, contribuendo per tale via a far emergere i dati relativi alla consistenza del patrimonio immobiliare pubblico306.

Negli anni Settanta giunge poi a compimento il processo di istituzione delle Re- gioni307, cui vengono trasferite quote di beni pubblici allo scopo di fornirle di una dota-

zione patrimoniale, necessaria per lo svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione. E, sebbene vi sia stata una sostituzione soggettiva dal punto di vista del proprietario dei beni, in un contesto in cui la proprietà pubblica era ancora prevalente- mente concentrata in capo all’apparato centrale, tale modifica non ha assunto rilevanza dal punto di vista del regime giuridico dei beni pubblici anche se sono state evidenziate alcune conseguenze derivanti dal decentramento308.

Da ultimo, la recente introduzione del federalismo demaniale ha avuto per oggetto e per effetto il decentramento di titolarità, competenze e funzioni di taluni beni agli enti locali. La novella tuttavia, pur animata dalla volontà di favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, non è stata accompagnata né da un adeguato censimento dei cespiti patrimoniali, né da una sufficiente definizione dei criteri di gestione e trasferi- mento, lasciando così numerose questioni aperte309.

303 Questo profilo è specificamente riscontrabile nella monografia di Caputi Jambrenghi, che dedica due capitoli rispettivamente all’uso pubblico e pubblico servizio e alla produttività dei beni. 304 Cfr., in particolare, G.COLOMBINI, Conservazione e gestione dei beni pubblici, cit.; Atti del convegno su

Conservazione e gestione dei beni di proprietà pubblica, Milano, 29 novembre 1989, in Economia Pubblica,

1990, p. 519 ss.; N.GRECO,F.GHELARDUCCI, I beni pubblici in Italia. Profili funzionali e problemi di

gestione, Bologna, 1982.

305 Cfr. G.NAPOLITANO, I beni pubblici e le tragedie dell’interesse comune, cit., p. 125 ss.

306 Cfr. S.CASSESE,E.DE RUVO,F.A.D’AGOSTINI, Relazione della commissione di indagine sul patrimonio

immobiliare pubblico, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1986, p. 1117 ss.; ID., Relazione conclusiva della commissione

di indagine sul patrimonio immobiliare pubblico, ivi, 1988, p. 171 s.

307 O. RANELLETTI, Note sul progetto di Costituzione presentato dalla commissione dei 75 all’assemblea costituente, in Foro Italiano, 1947, IV, p. 87, ora in ID., Scritti scelti, cit., nonostante fosse contrario all’istituzione delle Regioni, era tuttavia pienamente favorevole a un «largo decentramento amministrativo, con attribuzioni agli enti locali [...] di tutti i servizi di carattere locale, mantenendo nella competenza dell’amministrazione governativa solo i servizi di carattere unitario, che per la loro stessa natura non possono essere decentrati».

308 Cfr. infra §2 e seguenti.

Tuttavia, lo spostamento della titolarità di alcuni beni pubblici in capo agli enti terri- toriali (Regioni ed enti locali), pur rappresentando una barriera tra i singoli, veri beneficiari delle utilità offerte dai beni pubblici (in particolare da quelli di uso pubblico) e l’ente territoriale, che è il titolare formale di essi, contribuisce in ogni caso a garantire la gestione pubblica dei beni nonché la loro funzionalizzazione agli scopi di pubblico interesse310.

L’ente territoriale, cioè, è chiamato a provvedere alle esigenze della propria collettività di riferimento in ragione della sua vocazione generale; esigenze tra le quali devono essere incluse quelle collegate alle utilità ricavabili dai beni stessi, a prescindere dal fatto che esse abbiano natura economica o non311.

Nel periodo successivo (anni ‘90 del 1900) l’interesse della dottrina per i beni pubblici è stato ridestato dalle prime politiche di dismissione del patrimonio dello Stato adottate dal legislatore il quale, sul piano normativo, ha introdotto numerose e significative modi- fiche, dovute anche alla necessità di rispettare i vincoli europei che imponevano (e tuttora impongono) di ridurre il debito pubblico312.

La disciplina normativa sui beni pubblici ha subito innovazioni rilevanti con le poli- tiche che, in sintesi, possono essere definite di privatizzazione di beni e di imprese già pubblici e di liberalizzazione dei mercati. Simili processi, pur implicanti tematiche diverse, risultano tuttavia tra loro connessi ed incentivati dal legislatore europeo. E difatti, sono stati messi in moto dalla raggiunta consapevolezza che il patrimonio della pubblica am- ministrazione fosse scarsamente redditizio, in parte a causa di una cattiva gestione e in parte a causa del regime giuridico dei beni, giacché la incommerciabilità ha un costo do- vuto alla rinuncia al valore di scambio dei beni313. In proposito si è osservato che i termini

dismissioni locali?, in Giorn. Dir. Amm., 12, 2010, p. 1233 ss.

310 Per tale via viene quindi riaffermata la connessione tra beni pubblici e interessi delle collettività che sono in più diretto contatto con essi. Infatti, se spetta agli enti locali nel cui ambito territoriale si trovano i beni a doverne promuoverne la valorizzazione, ciò inevitabilmente mette in risalto il rapporto diretto bene pubblico e collettività stanziata sul territorio nel quale il bene si trova, oltre a rendere centrale il ruolo dell’ente locale, considerato come gestore di un bene a vantaggio della collettività. Cfr. A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 140 ss.

311 A. LALLI, I beni pubblici, cit., ibidem.

312 In tale processo riveste influenza decisiva la corrente di pensiero indicata con il termine new public management sviluppatasi nei paesi anglosassoni, per la quale il settore pubblico deve essere considerato in un’ottica imprenditoriale, ovverosia volto a perseguire una politica gestionale efficiente ed economica; In tale prospettiva lo Stato è da considerarsi un operatore economico al pari dei privati, per cui deve essere valutato in base agli stessi criteri, può utilizzare strumenti privatistici nonché ricorrere gestionali dei privati collaborando con essi. Ciò comporta la necessaria commistione tra elementi pubblicisti e privatistici, di tal che si nega l’utilità di un confine tra le due sfere.

313 È stato acutamente osservato che «se lo Stato fosse un’azienda dovremmo dire che paga troppo per indebitarsi, mentre potrebbe gestire meglio il proprio patrimonio, assicurandosi entrate patri- moniali ed indebitandosi meno», cfr. S.CASSESE, Conclusioni, in AIPDA, Annuario 2003., cit., p. 379

“gestione” e “valorizzazione” devono essere intesi nel senso della necessità di una ammi- nistrazione oculata del patrimonio, di modo che siano garantiti gli equilibri economici nell’uso dei beni stessi. Ovvero, il fatto di considerare i beni non solo per il loro valore d’uso (come era stato per lungo tempo) ma anche per il loro valore di scambio, contri- buisce a rendere la pubblica amministrazione economicamente sostenibile314.

Nella legislazione e nell’opinione degli studiosi ha iniziato perciò ad affermarsi l’idea della rilevanza economico-finanziaria dei beni, idea in base alla quale anche la proprietà pubblica deve essere gestita secondo criteri di economicità che garantiscano la copertura delle spese di gestione assicurino al proprietario pubblico un’occasione di introiti finan- ziari315.

Gli Autori hanno affrontato la tematica delle dimissioni mostrando una finalità “pro- positiva”316 verso il legislatore, esponendo le trasformazioni introdotte e mettendone in

rilievo le contraddittorietà e le questioni problematiche, allo scopo di elaborare indica- zioni e proposte in vista di una riforma unanimemente ritenuta indispensabile. Ciò ha comportato la necessità di includere nell’analisi anche fattori esterni, non giuridici, come il contesto economico e politico, anche internazionale. E questa necessità ha portato il dibattito ad attribuire rilievo ad elementi come la riduzione del debito pubblico, i vincoli derivanti dall’Unione Europea, la pressione verso l’attuazione di una politica gestionale economica ed efficiente, nonché verso il coinvolgimento di soggetti privati nella valoriz- zazione dei beni317.

ss. Significativa in tal senso è l’espressione coniata dai giudici con riferimento al processo di di- smissione, il quale ha indicato i beni pubblici come «manomorta pubblica». Tar Milano – Brescia, 2 ottobre 1992, n. 1040.

314 A.LALLI, I beni pubblici, cit., p. 125; cfr. A.LOLLI, Proprietà e potere nella gestione dei beni pubblici e dei

beni di interesse pubblico, in Dir. amm, 1, 1996, p. 79.

Ammette che «la scelta fra più usi rivali o fra più aspiranti ad un uso rivale», sia sostituita «da appositi vincoli che risiedano a scelte da attuare con strumenti di diritto comune», proprio perché queste utilità hanno in sé una rilevanza puramente economica» M.OLIVI, Beni demaniali a uso

collettivo, cit., p. 124 ss., il quale sostiene anche che «non sembra infatti che una gestione degli usi

esclusivi del bene mediante strumenti di diritto comune sia in conflitto con i principi di libertà di uso del bene, più di una gestione inefficiente mediante strumenti amministrativi» ivi, p. 223. 315 Nel senso della compatibilità tra destinazione pubblica dei beni e loro utilizzazione economica V.

CERULLI IRELLI, Utilizzazione economica e fruizione collettiva dei beni pubblici, in AIPDA, Annuario 2003, cit., p. 19 ss. Ove si chiarisce che la «utilizzazione economica è concetto non necessariamente correlato con il carattere patrimoniale del bene appartenente allo stato o ad enti pubblici (del bene soggettivamente pubblico), che in via di principio non si esclude che il bene pubblico, restando nella proprietà pubblica, pur in costanza di destinazione, possa essere economicamente utilizzato, possa costituire una fonte di entrate per lo Stato anziché un costo; o almeno possa essere gestito in modo tale da far fronte, in tutto o in parte, con i proventi da esso ricavati, ai costi della destinazione». Cfr. anche M.ARSÌ, I beni pubblici, in S.CASSESE (a cura di), Trattato di diritto

amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Milano, 2003, p. 1265 ss.

316 A. FERRARI ZUMBINI, I beni pubblici e la scienza del diritto amministrativo, cit.

317 Il tema della scarsa valorizzazione del patrimonio pubblico nella prospettiva reddituale e conservativa è stato indagato da G.COLOMBINI, Conservazione e gestione dei beni pubblici, cit.

In tale ottica, inoltre, le alienazioni dei beni pubblici, fenomeno in atto pressoché ovunque nelle società contemporanee, possono essere assunte come esempio paradigma- tico della mobilità storica delle frontiere tra diritto pubblico e privato318.

Cionondimeno, il fenomeno delle dismissioni impone all’interprete la necessità di comprendere se e fino a che punto la privatizzazione del diritto amministrativo possa spingersi sino a ricomprendere anche la privatizzazione del diritto dei beni319. In tal senso

occorre valutare se e con quali modalità l’utilizzo di strumenti privatistici nella gestione delle risorse pubbliche – e la conseguente commistione di istituti di diritto pubblico e del diritto privato – possa svolgersi nel rispetto della destinazione pubblicistica dei beni. Tale affermazione nasce dalla consapevolezza che dalla scarsa padronanza di strumenti priva- tistici e da un’ambiguità negli interessi perseguiti deriva la possibilità che si verifichino effetti contrari a quelli perseguiti.

2. Del rapporto tra attribuzione di funzioni amministrative e titolarità

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