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Il regime dei beni degli enti locali nell’impostazione precedente alla riforma costituzionale del 2001.

Verso una nozione oggettiva di beni pubblici: valoriz zazioni e privatizzazioni.

2. Del rapporto tra attribuzione di funzioni amministrative e titolarità dei beni strumentali: il trasferimento dei beni agli enti territoriali.

2.1. Il regime dei beni degli enti locali nell’impostazione precedente alla riforma costituzionale del 2001.

Il regime dei beni degli enti locali precedente l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana era circoscritto alla disciplina prevista dal Codice civile il quale, con la di- sposizione di cui all’art. 824, si limitava ad estendere ai beni demaniali appartenenti a province e comuni il regime giuridico stabilito per il demanio statale dall’art. 823 e ad includere nella disciplina dei beni pubblici i beni patrimoniali degli enti locali, (artt. 826 e 828 cod. civ).

La Costituzione – oltre a legittimare la presenza di una proprietà pubblica accanto a quella privata – ha inciso sul regime dei beni pubblici anche ponendo espressamente la necessità di assicurare alle Regioni una loro autonomia patrimoniale. Inoltre, nelle Regioni a statuto speciale, la disciplina dell’attribuzione di beni patrimoniali e demaniali veniva demandata ai rispettivi statuti, chiamati ad individuare direttamente le specifiche categorie di beni oggetto di trasferimento in favore dell’ente regionale.

Per quanto riguarda le Regioni a statuto ordinario, l’articolo 119 ultimo comma, nella versione precedente la riforma, chiudeva la disciplina sull’autonomia finanziaria con l’as- segnazione di un loro demanio ed un loro patrimonio, rimettendo alla legge statale il compito di definire le relative modalità di attuazione. La previsione veniva completata dall’articolo 117 – sempre nella versione previgente – il quale, seppure non includeva i beni pubblici tra le materie oggetto di potestà legislativa concorrente, riconosceva alle Regioni una potestà normativa di fonte primaria su alcuni tipi di beni pubblici (cave e torbiere, acque minerali e termali, ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi di- pendenti dalla Regione).

Il combinato disposto degli articoli 117 e 119 Cost. aveva condotto dottrina e giuri- sprudenza a riconoscere alle Regioni la competenza a gestire il patrimonio, finendo così

322 In generale sul tema cfr. N. GULLO, Beni pubblici, in G. CORSO, V. LOPILATO (a cura di), Il diritto

con l’includere i beni pubblici tra le materie di legislazione concorrente. La gestione del proprio patrimonio veniva ricompresa tra i connotati essenziali dell’autonomia finanziaria e patrimoniale delle Regioni, il quale si riteneva comprendesse il potere strumentale di disciplinarne la gestione nell’ambito dell’organizzazione degli uffici323.

Rimanevano tuttavia ferme le norme di principio dettate dal Codice civile e dalle leggi statali speciali vigenti in materia, permanendo in capo al legislatore statale la competenza a definire i caratteri della demanialità ed i parametri di riconducibilità dei vari beni al patrimonio indisponibile o disponibile. In aggiunta, si riconosceva la competenza statale relativamente alla regolamentazione dei modi di acquisto e alienazione dei beni, alla di- sciplina della costituzione dei diritti reali di godimento su di essi, nonché alla tutela dei diritti della pubblica amministrazione e dei terzi.

Vista l’ampiezza delle competenze legislative statali, l’ambito riservato alla compe- tenza regionale sui beni appartenenti alle stesse rimaneva confinato alle attività relative alla conservazione, valorizzazione e utilizzazione324.

Sempre con riferimento alle Regioni a statuto ordinario, nell’attuare l’articolo 119 Cost., particolarmente ardua si era mostrata l’individuazione in concreto dei criteri di ri- parto dei beni; questione alla quale era pure connessa quella dei criteri in base ai quali distribuire le funzioni amministrative tra Stato ed enti territoriali nel medesimo ambito.

A tal riguardo, vi è stata una divaricazione tra le ricostruzioni degli studiosi in quanto un primo approccio metteva in relazione il trasferimento dei beni dallo Stato alle Regioni con il trasferimento di funzioni, dimodoché per determinare la titolarità del bene occor- reva fare riferimento alla titolarità della funzione che esso contribuisce ad assolvere, con- formemente alla propria vocazione e struttura325. Di conseguenza, i beni da trasferire

dovevano essere identificati in quelli destinati alle funzioni regionali, avuto riguardo sfera di competenze delineata dalla Costituzione326.

Per un secondo e diverso approccio, il testo costituzionale si sarebbe limitato a rico- noscere in capo alle Regioni la titolarità di un complesso di beni da destinare a finalità di pubblico interesse, senza però fornire un criterio vincolante per il legislatore ordinario nell’identificazione dei beni da assegnare agli enti territoriali327.

323 S. BUSCEMA, Trattato di contabilità pubblica. La contabilità delle Regioni, III, Milano, 1984, p. 810. 324 A. PUBUSA, Art. 119, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna – Roma,

1985, p. 442 ss.

325 A. PUBUSA, Art. 119, cit., p. 434.

326 G. FALZONE, I beni delle Regioni a statuto ordinario, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971, p. 296. 327 L. PALADIN, Diritto regionale, Padova, 2000, p. 261.

Sul punto si è pronunciata la Corte costituzionale, la quale ha tendenzialmente negato che dall’attribuzione di competenze legislative ed amministrative alle Regioni potesse di- scendere come conseguenza automatica il trasferimento di beni ad opera dello Stato.

La Corte, pertanto, ha riconosciuto al legislatore statale un’ampia discrezionalità nell’attuazione dell’art. 119, ultimo comma328 e, al contempo, ha riconosciuto che il tra-

sferimento di beni dallo Stato alla Regione può comportare una devoluzione di poteri amministrativi sugli stessi, dal momento che «il trasferimento di specie [di beni] più che una successione può qualificarsi come un passaggio di poteri fra enti pubblici per il quale l’ente subentrante può esplicare ogni potere pubblicistico e privatistico sul bene, non esercitato dall’ente che precedentemente lo gestiva»329.

In altri termini, la Consulta ha riconosciuto che «a beni trasferiti al patrimonio regio- nale non corrispondano funzioni regionali determinate o che alla presenza di funzioni regionali possa, in altri casi ancora, non corrispondere la proprietà dei relativi beni […]».

328 Cfr. Corte cost. 23 aprile 1976 n. 111 nella quale si legge che «il riferimento alle enunciative di ordine generale contenute negli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione non offre un puntuale parametro costituzionale».

La medesima impostazione è stata confermata dalla sentenza 4 giugno 1992 n. 281 ove si afferma che «in linea generale va, infatti, escluso che, ai sensi degli artt. 118 e 119 della Costituzione, sia possibile configurare l'esistenza di una sorta di parallelismo necessario tra funzioni trasferite alle Regioni ed appartenenza regionale dei beni strumentalmente connessi all'esercizio di tali funzioni (…). E invero, se in linea di massima tale parallelismo sussiste, può talvolta accadere che a beni inclusi nel patrimonio regionale non corrispondano funzioni regionali determinate o che alla presenza di funzioni regionali possa, in taluni casi, non corrispondere la proprietà dei beni strumentalmente connessi all'esercizio delle stesse: e questo in relazione al rapporto di non assoluta dipendenza che, sul piano costituzionale, è dato rilevare tra la disciplina in tema di funzioni amministrative regionali (di cui all'art. 118 Cost.) e la disciplina del demanio e del patrimonio regionale (di cui all'art. 119, ultimo comma, Cost.).

Tale orientamento è stato ribadito anche relativamente alle Regioni ad autonomia speciale, avendo la Consulta in proposito sostenuto la necessità «che il trasferimento di diritti demaniali alla Regione a statuto speciale risulti espressamente da una disposizione». In altri termini, il trasferimento di beni demaniali o patrimoniali indisponibili a tali Regioni deve risultare in modo univoco da una disposizione statutaria né può essere ricavato dall’attribuzione di poteri legislativi o amministrativi riferiti all’impiego di tali tipologie di beni. Cfr. Corte cost. 18 maggio 1989 n. 326 ove si richiamano le pronunce 133/1986 e 152/1971.

Oltre a ritenere legittima l’eventuale dissociazione tra appartenenza del bene e titolarità delle funzioni al cui svolgimento il bene risulta strumentale, la Corte ha altresì riconosciuto in capo al soggetto proprietario il potere di determinare il quantum del canone nonché il diritto alla sua riscossione rispetto al soggetto concessionario. Tuttavia, all’amministrazione titolare del potere concessorio spetta il potere di imporre al concessionario ulteriori oneri come, ad esempio, le tasse sulla concessione. Simili diritti e poteri discendono dalla situazione dominicale in quanto tale e prescindono quindi dall’imputazione dei compiti di natura amministrativa. Cfr. Corte cost. 9 giugno 1986 n. 133; per un commento cfr. V. CERULLI IRELLI, Profili dominicali e profili funzionali

nel rapporto Stato – Regioni in materia di beni pubblici. Nota a Corte Costituzionale 9 giugno 1986 n. 133, in Le Regioni, I – II, 1987, p. 250 ss.

329 Corte cost. 4 gennaio1977 n. 27 ove si legge, inoltre, «alla vicenda del trasferimento di beni demaniali dallo Stato alla Regione non presiedono principi identici a quelli delle successioni tra privati, dovendosi valutare, caso per caso, le specifiche norme dirette a regolare la materia anche in relazione all'oggetto del trasferimento», ossia, si è affermato che sussiste una profonda differenza tra il trasferimento dei beni, nella fattispecie demaniali, dallo Stato alla Regione e la successione tra privati.

La Corte ha cioè considerato legittima la scelta del legislatore ordinario di trattenere alcune funzioni amministrative relative a beni di proprietà delle Regioni o, al contrario, di non trasferire loro la proprietà di taluni beni pur conferendo alle stesse determinate funzioni amministrative di gestione relativamente a quei determinati beni (come nel caso del demanio marittimo)»330.

La legge 16 maggio 1970, n. 281, all’articolo 11 ha individuato i beni delle Regioni a statuto ordinario, stabilendo che «i beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell’art. 822 del Codice civile, se appartengono alle Regioni per acquisizione a qualsiasi titolo, costituiscono il demanio regionale e sono soggetti al regime previsto dallo stesso codice per i beni del demanio pubblico»; il riferimento al comma 2 comporta l’esplicita esclusione dei beni di cui al comma 1 dello stesso art. 822, ossia il c.d. demanio necessario dello Stato. I successivi commi dell’articolo in commento hanno poi disposto il trasferi- mento dallo Stato alle Regioni di alcuni specifici beni demaniali, quali i porti lacuali e gli acquedotti di interesse regionale (comma 3), nonché la devoluzione di determinati beni patrimoniali indisponibili dello Stato, come le foreste, le cave e le torbiere, le acque mi- nerali e termali, gli edifici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati ad uffici e servizi pubblici di spettanza regionale (comma 5).

La cessione di beni dallo Stato alle Regioni ha dunque costituito uno degli strumenti attraverso cui sono state portate a compimento le varie fasi del decentramento ammini- strativo, ampliando i compendi patrimoniali regionali in ragione del corrispondente am- pliamento delle funzioni trasferite a tali enti. Questo processo graduale, di cui una tappa fondamentale è rappresentata dalle “leggi Bassanini”331, come già accennato, «ha cercato

330 N. GULLO, Beni pubblici, cit., p. 223. Secondo questo Autore, inoltre, «l’impostazione seguita dalla giurisprudenza costituzionale si dimostrava compatibile sia con le linee di fondo del modello au- tonomistico italiano, sia con le specifiche peculiarità connesse alla proprietà pubblica, a cui si po- tevano ricollegare l’esigenza di garantire la certezza nei rapporti di successione, in modo da preservare la continuità nell’attività di conservazione e tutela del bene, l’esigenza di omogeneità nelle regole di utilizzazione del bene, in ossequio ad un principio di uguaglianza ed, infine, l’esi- genza di scomposizione delle funzioni di gestione, per coniugare autonomia e buon andamento, e cioè corresponsabilità tra i diversi soggetti istituzionali ed efficienza nell’impiego del bene in conformità alla sua destinazione pubblica», ivi, p. 227.

331 Con “leggi Bassanini” si fa riferimento ad una serie di leggi di riforma organica dell’amministrazione pubblica (federalismo amministrativo), che prendono il nome dall’allora Ministro per la Funzione Pubblica e gli Affari Regionali. Si tratta in particolare della legge delega 15 marzo 1997, n. 59 e dei decreti legislativi che la attuano (15 maggio 1997, n.127 (Bassanini bis); 16 giugno 1998, n.191 (Bassanini ter); 8 marzo 1999, n.50 (Bassanini quater).

La necessità di un mutamento globale del sistema, avvertita da ampi strati dell’opinione pubblica, era in direzione di un rafforzamento delle autonomie con uno Stato centrale “leggero” che svolgesse una funzione regolatrice di raccordo, lasciando la gestione agli enti territoriale. Tale mutamento era da attuare sia attraverso un concreto conferimento di funzioni amministrative alle Regioni e agli enti locali, sia attraverso la contestuale ridefinizione dei ruoli e delle competenze delle amministrazioni centrali dello Stato, mediante la riforma dei Ministeri.

In particolare, la legge 15 marzo 1997, n. 59, recante la delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per

di riavvicinare i centri di gestione del bene pubblico alle collettività che più direttamente usufruiscono delle utilità del bene, alla stregua di un rapporto di congruità tra beni e fun- zioni». Anche se, dall’altro lato, «non è mai venuto meno l’ampio margine di discreziona- lità del legislatore statale nella selezione dei beni» interessati dai processi di federalismo demaniale332.

E difatti, nonostante il tentativo della dottrina di affermare il principio della corri- spondenza tra beni e funzioni, il legislatore statale non ha mostrato di seguire un criterio di corrispondenza rigorosa tra titolarità delle funzioni e dei beni nel trasferimento agli enti territoriali delle funzioni amministrative, anche quando queste riguardavano l’ammi- nistrazione e la tutela dei beni pubblici.

la semplificazione amministrativa, impone i due principi della semplificazione delle procedure amministrative e dei vincoli burocratici alle attività̀ private ed il federalismo amministrativo, cioè̀ il perseguimento del massimo decentramento realizzabile con legge ordinaria, senza modifiche costituzionali. La legge delega trae spunto dalle spinte all'armonizzazione ed unificazione amministrativa degli apparati dei diversi Paesi membri dell'Unione europea e, attribuendo al Governo il potere di emanare decreti delegati, si poneva il fine di sviluppare un’ampia attività̀ di innovazione e riforma del sistema amministrativo italiano incidendo, tra l’altro, sui rapporti tra Stato, Regioni e sistema delle autonomie locali, procedendo a ridefinire i rapporti e la distribuzione delle competenze.

A livello di atti aventi forza di legge ordinaria dopo una prima regionalizzazione, ad opera della legge 16 maggio 1970, n. 281, in materia di “Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Re- gioni a statuto ordinario” la quale ha dato avvio al processo di decentramento amministrativo previsto dagli articoli 5 e 118 della Costituzione, il federalismo amministrativo si è sviluppato, in particolare, con il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, il quale predisponeva una ulteriore devoluzione di competenze alle Regioni e, poi, con la legge 8 giugno 1990, n. 142 la quale, all’art. 9, ha previsto che spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la comunità̀ rappresen- tata in tre settori cruciali, ovvero territorio, sviluppo economico e servizi sociali.

Nella medesima ottica è da leggere anche il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (T.U.E.L.), il quale prevede, tra l’altro, che “i Comuni e le Pro- vince sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della Re- gione, secondo il principio di sussidiarietà̀” (art. 3, comma 5). Inoltre, si prevede che “spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità̀, dell’assetto ed utilizza- zione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze” (art. 13, comma 1). 332 Cfr. N. GULLO, Beni pubblici, cit., p. 213 ss. In questa ottica si è anche parlato del federalismo amministrativo modo per procedere ad un riordino del complessivo sistema amministrativo, al fine di avviare anche una «riforma delle istituzioni attraverso l’amministrazione». Per approfondimenti si rimanda al fascicolo monotematico sulla riforma costituzionale, AA.vv. Governi

locali, Regioni e Stato nel nuovo Titolo V, in Le Regioni, 6, 2001 nonché ad A. PAJNO, L’attuazione del

2.2. Segue: i principi ispiratori della disciplina dei beni degli enti locali

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