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Disciplina comune attualmente applicabile alle concessioni: ra gioni della distinzione dall’autorizzazione.

Evoluzione dell’istituto della concessione ammini strativa di beni pubblic

5. Disciplina comune attualmente applicabile alle concessioni: ra gioni della distinzione dall’autorizzazione.

Oltre al tourbillon classificatorio che caratterizza lo sforzo sistematico, la concessione trova una propria disciplina in alcune disposizioni della legge sul procedimento.

Anzitutto, la figura viene espressamente menzionata nella disciplina concernente la conferenza di servizi, in particolar modo in relazione ai progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi l’Amministrazione procedente può indire una conferenza preliminare finalizzata ad indicare al richiedente le condizioni per ottenere vari atti (i.e. pareri, intese, concerti, nulla osta, autorizzazioni, concessioni o altri atti di assenso) e, in specie e fra l’altro, le necessarie concessioni. Lo stesso vale in caso di pro- cedure di realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico (là dove la conferenza di servizi si esprime sul progetto di fattibilità tecnica ed economica, proprio allo scopo di indicare le condizioni per ottenere, in relazione al progetto definitivo, le concessioni cui il richiedente vorrebbe accedere), nonché ove un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale (art. 14 della l. 241/1990590).

Come è ben noto, la determinazione motivata di conclusione della conferenza pro- duce un effetto sostitutivo rispetto a tutti gli atti di assenso e, quindi, anche rispetto alle concessioni. I termini di efficacia delle concessioni acquisite in seno alla conferenza di servizi decorrono dalla data della comunicazione della determinazione motivata di con- clusione della conferenza (art. 14-quater della l. 241/1990).

589 F. FRACCHIA, Concessione amministrativa, cit. pp. 264.

590 Articolo modificato ad opera della dall’art. 1, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127, le cui di- sposizioni trovano applicazione ai procedimenti avviati successivamente alla data della sua entrata in vigore, ossia dal 28 luglio 2016 (art. 7, d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127).

Altra disposizione fondamentale relativa alle concessioni investe, in particolare, quelle «non costitutive». Si tratta dell’art. 19 in tema di segnalazione certificata di inizio atti- vità, secondo cui la concessione non costitutiva rientra nel novero degli atti che sono suscettibili di essere sostituiti da una segnalazione dell’interessato.

In tema di contenzioso, le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, nonché quelle in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi sono devoluti alla giurisdizione esclusiva del giu- dice amministrativo (art. 133 del d.lgs. 104/2010). Spettano, invece, al giudice ordinario le controversie relative alle medesime materie, ma concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi591.

Sempre in punto di disciplina delle concessioni sostituite da accordi della pubblica Amministrazione, le controversie in ordine alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Più nel dettaglio, si rimarca che la giurisdizione del giudice amministrativo spetta anche in rela- zione agli accordi integrativi del contenuto di provvedimenti amministrativi di natura concessoria, i quali, pur dopo le modifiche apportate dall’art. 7 della l. n. 15 del 2005 all’art. 11 della l. n. 241 del 1990 (ovvero dopo l’ampliamento della possibilità di utilizzo di strumenti mar- catamente privatistici anche oltre i casi previsti espressamente dalla legge) sono assogget- tati al sindacato del giudice a cui appartiene la cognizione sull’esercizio del potere amministrativo, per ciò che trattasi pur sempre di atti che costituiscono espressione di un potere discrezionale dell’Amministrazione592.

Molto spesso nelle disposizioni citate le concessioni e le autorizzazioni sono poste sullo stesso piano, come nel caso dell’art. 14 della legge 241/1990 sulla conferenza di servizi. Ma pare molto interessante nell’ottica di una possibile ricostruzione del sistema la distinzione posta in tema di s.c.i.a., ove l’effetto sostitutivo è possibile solo rispetto alle autorizzazioni e alle concessioni non costitutive (art. 19 della l. 241/1990). E allora sem- bra ancora lecito interrogarsi sulle ragioni che consentono di ricostruire una distinzione fra le due figure, destando interesse il quesito posto dal Ranelletti in ragione dell’utilizzo di denominazioni differenti in seno al diritto positivo.

591 Cfr. l’abrogato art. 5 della l. 6 dicembre 1971 n. 1034.

592 Cass. civ. Sez. Unite ord., 30 maggio 2018, n. 13701; Cass. civ. Sez. Unite ord. 14 gennaio 2014, n. 584; Cass. civ. Sez. Unite, ord. 9 marzo 2012, n. 3689.

A tal riguardo, l’elaborazione teorica dell’Autore citato era netta, per ciò che l’auto- rizzazione non costituiva una nuova situazione giuridica, limitandosi piuttosto alla rimo- zione di un ostacolo all’esercizio preesistente593. Sennonché, questa impostazione

tradizionale è stata oggetto di ripensamento in ragione della crisi che l’autorizzazione ha subito alla stregua dei mutamenti susseguitisi nel corso dello sviluppo giurisprudenziale e dottrinale. In proposito, è stata affermata anche rispetto a tale figura la natura costitutiva, giacché l’autorizzazione avrebbe talvolta l’effetto di conferire al privato una nuova situa- zione giuridica soggettiva corrispondente all’attività permessa594.

Sempre nella prospettiva di revisione della tradizionale contrapposizione, si è ritenuto che l’esercizio dell’attività all’esito del rilascio dell’autorizzazione presuppone una situa- zione giuridica creata ex novo dall’atto e non già sulla scorta di una situazione preesi- stente595. E difatti, l’autorizzazione costitutiva presuppone che in base a norme generali

(di tipo per lo più civilistico) taluni soggetti sarebbero titolari di diritti o potrebbero ac- quistarli al compimento di taluni atti giuridici; in questo contesto, tuttavia, si interpone una norma pubblicistica che deroga alle norme generali, negando per un determinato oggetto la titolarità del diritto (oppure la possibilità di acquistarlo al compimento di un atto) e, quindi, disponendo che «la titolarità del diritto consegua da un atto dell’autorità, che è un provvedimento autorizzatorio»596.

Il riferimento in particolare riguardava i diritti d’impresa relativi allo svolgimento di determinate attività oppure all’utilizzo di determinati beni, quali le imprese bancarie, le imprese assicurative, il commercio, i beni di interesse storico e artistico, l’edilizia. In sif- fatte ipotesi, «l’autorizzazione dunque è creativa ex novo della specifica situazione sogget- tiva considerata, che è diversa dall’analoga situazione che il titolare avrebbe in base alle norme “generali”; l’autorizzazione non reintegra il diritto di una facoltà che gli era stata

593 O. RANELLETTI, Teoria Generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative, cit., p. 18, ove leggesi testualmente che, con riguardo alle autorizzazioni, «alcune consistono in remozioni di limiti, posti alla libera esplicazione dell’attività individuale: sicché rispondono a proibizioni relative e condi- zionate di date azioni. Si riconnettono prevalentemente all’attività giuridica o di conservazione dello Stato; trovano il loro fondamento sempre in una disposizione di legge». Quanto alle conces- sioni, «esse creano un vero nuovo diritto nel subietto giuridico, al quale son dirette, senza che questi ne abbia neppure il germe: trovano il loro fondamento, o il limite, e quindi la sola possibilità astratta, in una legge. Si riconnettono all’attività organizzatrice dello Stato agevola e sprona lo sviluppo dell’attività individuale».

594 R. VILLATA, Autorizzazioni amministrative e iniziativa economica privata, Milano, 1974; F. FRACCHIA,

Concessione amministrativa, cit.

595 Cfr. A. ORSI BATTAGLINI, Autorizzazione amministrativa, in Dig. Disc. Pubb., II, 1987, p. 58 ss., non- ché L. FERRARA, Diritti soggettivi ed accertamento amministrativo, Padova, 1996.

sottratta dalla norma “derogatoria” ma «costituisce un diritto che ha autonoma struttura e funzione in quanto situazione soggettiva»597. Tale impostazione, quindi, pone dei pro-

blemi nella distinzione rispetto alle concessioni, se l’effetto accrescitivo è ravvisabile in entrambe le figure.

Secondo un’altra ricostruzione, invece, la distinzione sarebbe evidente sol ove si tenga conto della natura contrattuale della concessione, ciò che giustificherebbe il man- tenimento di una differenziazione sostanziale e non già meramente nominalistica598. Ma

ferma la difficoltà nel cogliere la premessa teorica su cui si fonda siffatta impostazione, se ne propone una differente in ragione del ruolo riconosciuto al privato nelle due vi- cende. A ben vedere, ciò che si riscontra nelle concessioni è l’incremento dello spazio riconosciuto al privato nella gestione di situazioni che prima dell’atto dell’Amministra- zione non potevano essere a lui pertinenti.

Nelle concessioni costitutive dette situazioni, in mancanza dell’assetto risultante dall’atto amministrativo, non sarebbero comunque attivabili. Lo stesso dicasi anche per le concessioni aventi ad oggetto situazioni “riservate” al soggetto pubblico.

Quanto alle concessioni traslative, l’incremento del ruolo del privato si ritrae dalla circostanza che l’eliminazione del regime concessorio significherebbe che il privato non potrebbe più svolgere la relativa attività (ossia, a seconda dell’oggetto della concessione, si tratta della gestione dell’opera o di un servizio oppure la fruizione di un bene). L’am- pliamento dello spazio del privato in ambito pubblicistico giustifica il mantenimento di penetranti poteri in capo all’Amministrazione. Il discorso relativo alle autorizzazioni è diverso: in mancanza dell’atto, «il privato potrebbe comunque attivare, perché genetica- mente pertinente alla sua sfera giuridica soggettiva»599.

Secondo la ricostruzione che qui si riporta, la distinzione fra autorizzazioni e conces- sioni traslative è più flebile sotto il profilo dell’accrescimento della sfera giuridica del pri- vato. Con la concessione l’Amministrazione si priva di una posizione ad essa spettante, ammettendo l’accesso al privato; con l’autorizzazione, l’Amministrazione può assentire ciò che spetta al privato. Se manca la concessione, l’attività dovrebbe essere svolta dal

597 A. ORSI BATTAGLINI, Autorizzazione amministrativa, cit., ibidem. Cfr. in proposito F.G. SCOCA, Il

provvedimento amministrativo, in ID (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2011, p. 270. D. SORACE, C. MARZUOLI, Concessioni amministrative, cit., p. 299; P. GASPARRI, Autorizzazione, in Enc. Dir., 1959, p. 56 ss.

598 M. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative, cit., p. 8. 599 F. FRACCHIA, Concessione amministrativa, cit.

soggetto pubblico. Se manca l’autorizzazione, il privato potrebbe esercitare liberamente la propria attività.

La distinzione risulta ancora più sfumata se si mettono a confronto casi in cui i prov- vedimenti hanno ad oggetto beni contesi, nel senso che se vengono assegnati a taluno sono sottratti ad altri. In particolare, la concessione traslativa pregiudica le aspirazioni di altri che volevano accedere al bene riservato (ciò che accade nella gestione di servizi e lavori). Questa fattispecie sono poste sullo stesso piano delle autorizzazioni in relazione all’effetto sostitutivo della s.c.i.a..

L’inclusione delle «concessioni non costitutive» nel raggio applicativo dell’art. 19 della l. n. 241 del 1990 non troverebbe delle fondate ragioni e si renderebbe incoerente con il requisito previsto dalla medesima norma, là dove l’effetto sostitutivo si produce nei limiti in cui il «rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presuppo- sti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo». E difatti, se anche le concessioni traslative richiedono una ponderazione alla luce dell’oggetto (ossia i beni contesi), allora non è ben chiaro come possa esservi coerenza rispetto all’accesso allo strumento giuridico della s.c.i.a.: risulta profondamente incoerente (e, forse, addirittura contraria al principio di ragionevolezza e proporzionalità secondo il parametro costituzionale di cui all’art. 3 Cost.), consentire che un “privilegio” possa essere ottenuto unilateralmente dal beneficiario, senza una deter- minazione espressa dell’Amministrazione.

La naturale replica a tale osservazione consta dell’osservazione che l’art. 19 cit. escluda questo genere di concessioni (proprio perché si richiede un quid pluris rispetto al mero accertamento dei “requisiti e presupposti di legge”), tant’è vero che – come già ampiamente illustrato nei precedenti paragrafi – l’istituto introduce una complessa rela- zione che richiede – oltre all’atto di assenso – anche una vero e proprio assetto regola- mentare in ordine ai compiti gravanti sul concessionario600.

600 In giurisprudenza, v. Cons. Stato, 9 maggio 2017, n. 2109; Tar Roma, sent. 2 novembre 2017 n. 10933; Tar Roma, 25 luglio 2017, n. 8934, secondo cui « la concessione di suolo pubblico, pur potendo essere denegata in presenza di interessi in conflitto con la tutela delle attività economiche, come ad esempio l’incompatibilità con le esigenze di tutela artistica, esige sempre e comunque una decisione ponderata in ordine al bilanciamento dell’interesse pubblico con quelli privati even- tualmente confliggenti, di cui dare conto nella motivazione, stante il loro carattere discrezionale, con la conseguenza che la p.A., prima di concederla, deve, attraverso apposita istruttoria, effet- tuare una accurata ricognizione degli interessi coinvolti»; Tar Lazio, Roma, 18 marzo 2013, n. 2744, secondo cui «la scadenza del termine della concessione di bene demaniale senza che l’Am- ministrazione abbia adottato formali provvedimenti di proroga o rinnovazione comporta auto- maticamente la cessazione del rapporto, e, quindi, l’immediato riacquisto da parte della

A tutt’oggi, nonostante i dubbi sollevati circa gli elementi distintivi fra le due figure, la giurisprudenza ha mantenuto l’attuale contrapposizione fra autorizzazioni e conces- sioni in materia urbanistica. Al riguardo, infatti, è stato chiarito che il provvedimento di concessione di occupazione di suolo pubblico non può valere quale permesso di co- struire, essendo disciplinato diversamente e rimesso ad un diverso ufficio, con diverse finalità. Il rilascio della concessione di suolo pubblico non ha alcuna valenza autorizzativa sul piano edilizio e, come tale, non esime dal conseguimento del titolo abilitante all’edifi- cazione601.

Tuttavia, la tesi secondo cui l’istituto della concessione edilizia avrebbe scorporato lo ius edificandi dal nucleo essenziale del diritto di proprietà (ossia dal diritto a godere e a disporre della cosa) è stata rigettata dalla Corte Costituzionale. E difatti, il mero nomen juris utilizzato non è decisivo nell’individuazione del tipo. Su tale premessa, si è ritenuto che la concessione edilizia sia da considerare alla stregua di un’autorizzazione, per ciò che la facoltà di edificare rientra nella sfera giuridica del proprietario e, quindi, in difetto dell’assetto pubblicistico, il privato potrebbe liberamente costruire602.

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