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La demanialità come condizione giuridico-formale dei beni, nelle ultime elaborazioni nel vigore del Codice del 1865.

1. Le appartenenze pubbliche nella prospettiva dello Stato liberale.

1.3. La demanialità come condizione giuridico-formale dei beni, nelle ultime elaborazioni nel vigore del Codice del 1865.

Verso la metà degli anni Venti Guido Zanobini prende in maniera ancor più decisa le distanze dalla concezione tradizionale, proponendosi di depurare la teoria dei beni pub- blici dalle influenze di carattere extragiuridico e di individuare un criterio certo per la distinzione tra beni demaniali e beni patrimoniali104, ciò in quanto i criteri «comunemente

usati per definire i beni demaniali» gli appaiono «praticamente inadeguati allo scopo», per il fatto di rilevare «tutti da un punto di vista esclusivamente economico». In questa vi- sione, il criterio che fa riferimento alla destinazione del bene ad un servizio pubblico «non differisce in nulla da quello che applica ai beni degli enti pubblici la distinzione economica fra beni finali e strumentali».

D’altra parte, del criterio dell’uso pubblico lo studioso lamenta che esso prende in esame esclusivamente la «forma di utilizzazione della cosa», imponendo così di «ricercare, continuando ad applicare criteri esclusivamente economici, quali beni sono capaci di quella forma di utilizzazione che consiste nell’uso pubblico e quali non lo sono». Infine, anche la definizione di bene pubblico come oggetto immediato di amministrazione «po- stula un criterio economico», perché «prende in considerazione, sotto un particolare aspetto, il modo di comportarsi dei beni nel soddisfare ai bisogni sociali», in quanto il carattere servente rispetto ai fini pubblici costituisce «una circostanza relativa unicamente alle attitudini economiche diverse dei singoli beni dell’amministrazione»105.

102 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 445, p. 436.

103 B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., p. 178 s. A tal proposito Santi Romano osserva che «per demanio necessario è da intendersi quello costituito da cose la cui destinazione ad uno scopo amministrativo non appare come un fatto volontario, ma come una necessità naturale» S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 454, p. 443.

104 G. ZANOBINI, Il concetto della proprietà pubblica e i requisiti giuridici della demanialità, in Studi Senesi, vol. XXXVII, 1923 e ripubblicato con minime integrazioni in Scritti vari di Diritto Pubblico, Milano, 1955, p. 165 ss.

Partendo dal presupposto in base al quale «nessuno dei criteri proposti e che forse si potrebbero proporre, come fondamento della distinzione fra beni demaniali e patrimo- niali, è stato assunto in modo univoco ed esclusivo dal legislatore», Zanobini propone un’inversione dell’ordine logico nell’analisi della materia, osservando che la teoria dei beni pubblici, per stabilire a quali di essi si applichi il regime giuridico della demanialità, deve «cercare esclusivamente nelle norme del diritto positivo relative a ciascuna categoria di beni i segni della sottoposizione o meno a questo regime»106. Contrariamente all’imposta-

zione fino a quel momento vigente, la quale si occupava dapprima di distinguere i caratteri dei beni demaniali da quelli dei beni patrimoniali, con l’intento di stabilire a quali tipi di beni si applicasse il regime della demanialità, l’Autore osserva che tale distinzione «non può farsi in tale momento se non in base a concetti aprioristici». E pertanto la teoria deve in primo luogo identificare il regime della demanialità, allo scopo di stabilire se le norme che regolano specificamente le diverse categorie di beni possano essere riferite a tale re- gime107.

Anche secondo Zanobini la caratteristica principale della proprietà pubblica risiede- rebbe nella natura pubblicistica della disciplina del rapporto con i terzi; ebbene, seguendo Santi Romano, egli sostiene che «ciò che fa qualificare di diritto pubblico la proprietà demaniale è principalmente il contenuto pubblicistico dei rapporti che si stabiliscono fra l’ente titolare e i terzi, a causa di questa proprietà», ossia le funzioni di polizia e di tutela amministrativa che per i beni pubblici costituiscono «l’esercizio del diritto di proprietà nei confronti dei terzi»108. Per cui, ciò che fa qualificare come di diritto pubblico la pro-

prietà demaniale sarebbe individuarsi principalmente nel contenuto dei rapporti fra il sog- getto di diritto e gli altri soggetti.

Da una simile premessa egli fa scaturire la conseguenza in base alla quale il contenuto di tali rapporti è costituito dal potere riconosciuto agli enti pubblici di escludere i terzi dall’esercizio dei poteri di godimento e disposizione sul bene. In alti termini, la pubblicità è presente ogni volta che «il diritto di proprietà sia accompagnato da quella che dicesi “la polizia della cosa pubblica”, espressione dell’uso legislativo per indicare tutte quelle forme di difesa amministrativa e penale, a mezzo di ordini e di provvedimenti esecutori, di coer- cizione diretta e di pena che caratterizzano dal lato esterno la proprietà pubblica».

106 G. ZANOBINI, Il concetto della proprietà pubblica e i requisiti giuridici della demanialità, cit., p. 173. 107 B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., p.181.

108 G. ZANOBINI, Il concetto della proprietà pubblica e i requisiti giuridici della demanialità, cit., p. 178 ss. Cfr. A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 29; A. SANDULLI, Costruire lo Stato, cit., p. 211 ss.

Secondo lo studioso, infatti, «finché i rapporti del diritto privato – o come dicesi, del diritto comune – si mostrano sufficienti alla soddisfazione dei bisogni pubblici cui lo Stato deve provvedere, questi non ha motivo di ricorrere ai rapporti specifici della sua personalità (…). Ma rispetto ad alcuni beni, a certi fini e certe circostanze, la proprietà privata potrebbe riuscire insufficiente». In tal caso, «la proprietà dello Stato allora assume la sua forma specifica, quella di proprietà di diritto pubblico. L’espressione proprietà di diritto pubblico non è che la definizione sintetica della proprietà demaniale»109.

Contrariamente all’impostazione tradizionale, che individuava l’essenza del regime della demanialità nell’inalienabilità e imprescrittibilità sancite dal Codice civile, questo Au- tore afferma essere il regime di polizia e di tutela amministrativa a contraddistinguere i beni pubblici, per ciò che la loro disciplina pubblicistica «si concreta in primo luogo nei poteri di supremazia che accompagnano il lato esterno del diritto reale pubblico»110. Eb-

bene, se la condizione giuridica dei beni demaniali è da identificarsi nel regime della poli- zia amministrativa, così come tratteggiato dalle leggi speciali, diventa possibile stabilire quali beni siano demaniali in base alla presenza di un simile regime. In questa qualifica- zione inalienabilità e imprescrittibilità sarebbero una mera conseguenza del regime di po- lizia amministrativa, dal quale viene a discendere l’applicabilità delle summenzionate clausole generali di inalienabilità e imprescrittibilità, e non viceversa111.

L’adozione di una definizione della demanialità basata sulla condizione giuridico-for- male dei beni piuttosto che sulla loro destinazione sottrae per ciò stesso dal campo di interesse il tema degli usi dei beni e, poiché l’ambito entro cui il tema della concessione rientra nella teoria dei beni pubblici viene definito dal rapporto tra scelte amministrative, destinazione e usi, una volta eliminata la rilevanza teorica di questi ultimi due, perde ri- lievo anche il fatto che la destinazione dipenda dalle scelte concrete dell’amministrazione in ordine agli usi, e che tali scelte avvengano tramite la concessione ai privati a titolo particolare112.

A ciò si aggiunga che tale ricostruzione comporta altresì una riduzione generale del ruolo della p.A. in materia di beni pubblici. E infatti, sebbene la dottrina precedente avesse affermato la centralità del potere amministrativo di regolazione o moderazione

109 G. ZANOBINI, Il concetto della proprietà pubblica e i requisiti giuridici della demanialità, cit., p. 185. 110 G. ZANOBINI, Il concetto della proprietà pubblica e i requisiti giuridici della demanialità, cit., p. 179 ss. 111 Si argomenta, infatti, che «quando la demanialità di un bene sia dimostrata dalla disciplina

pubblicistica fatta al medesimo dalla legge, ad esso restano naturalmente applicabili tutte le norme che secondo il Codice civile governano tali specie di beni: e quindi esso sarà inalienabile, imprescrittibile, non suscettibile d’ipoteca, ecc.», la cui trattazione viene espressamente rinviata all’economia pubblica e alla scienza dell’amministrazione. G. ZANOBINI, Il concetto della proprietà

pubblica e i requisiti giuridici della demanialità, cit., p. 190.

degli usi nella disciplina dei beni demaniali, e sebbene Zanobini avesse identificato l’es- senza di questa disciplina nelle funzioni di polizia che la p.a. esercita sui beni demaniali, in ciò seguendo l’opinione tradizionale, tuttavia, rispetto a quest’ultima, l’Autore limita la sfera della polizia alle «sole forme di difesa amministrativa e penale, a mezzo di ordini e di provvedimenti esecutori, di coercizione diretta e di pena, che caratterizzano dal lato esterno la proprietà pubblica»113.

Coerente con la ricostruzione romaniana sembra essere anche la ricostruzione del Guicciardini114, il quale tratteggia il concetto di proprietà pubblica a partire essenzialmente

dalla disciplina del bene, piuttosto che dalla sua appartenenza ad un soggetto pubblico. Dal momento che l’ente pubblico ha dei fini suoi propri, che lo caratterizzano, e dal momento che anche alcuni beni sono necessari per il perseguimento di questi, ciò signi- fica che il bene è necessario all’ente pubblico per lo svolgimento delle sue funzioni e per il perseguimento dei suoi fini115. Tale visione porta alle estreme conseguenze la tendenza

– tipica della teoria dei beni pubblici – a stabilire un nesso di strumentalità diretta ed esclusiva tra il bene e l’interesse affidato alla cura dell’ente pubblico, interpretando gli interessi cui i beni pubblici sono rivolti non come interessi generali o della collettività, quanto piuttosto come interessi propri dell’ente titolare del bene. Una simile imposta- zione finisce con il ricondurre sotto lo schema del potere di disposizione che spetta al proprietario le scelte compiute dall’amministrazione in ordine all’uso dei beni.

Guicciardini, infatti, osserva che «la proprietà è prima di tutto la signoria di un sog- getto su di una cosa», tuttavia «il godimento del bene demaniale da parte dell’ente pub- blico proprietario avviene in modo del tutto particolare, secondo modalità e con effetti ignoti al diritto privato», i quali non traggono origine «soltanto dalla qualità del soggetto, ma anche, e in non minore misura, dalla natura dell’oggetto: precisamente dall’attitudine che esso presenta a servire allo svolgimento di una funzione pubblica da parte dell’ente proprietario»116.

In effetti, la definizione della demanialità proposta costituisce uno sviluppo delle teo- rie della proprietà pubblica di Santi Romano e Zanobini, in quanto essa fonde in un unico

113 Per Zanobini la polizia è intesa come tutela giuridica pubblicistica di cui all’art 823 del nuovo cod. civ. come specificato nella postilla aggiunta dopo la sua emanazione. G. ZANOBINI, Il concetto della

proprietà pubblica e i requisiti giuridici della demanialità, cit., p. 183.

114 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit.; cfr. A. SANDULLI, Costruire lo Stato, cit., p. 219 ss. 115 A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 31.

116 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 12 s. e 14 s.; l’autore si riferisce in particolare alle tesi del Romano e dello Zanobini, i quali ritenevano sottoposti al diritto pubblico i rapporti tra l’ente proprietario e i terzi in ordine alla cosa fossero, mentre i rapporti interni tra l’ente e la cosa fossero quelli caratteristici della proprietà privata.

concetto l’idea del bene come oggetto immediato di pubblica amministrazione, fatta pro- pria dal primo, a quella della soggezione al potere di polizia come causa della demanialità, adottata dal secondo117. Nonostante che per il Guicciardini la demanialità presupponga

«la necessarietà del bene ad una funzione dell’ente cui esso appartiene, necessarietà in senso assoluto, tale cioè che venendo meno il bene cessa la possibilità dell’esercizio della funzione»118, tuttavia egli ritiene insufficiente il criterio così formulato.

A ben vedere, la ricostruzione in commento in parte viene a divergere da quella di Santi Romano, poiché il primo ritiene che i beni per essere pubblici non solo debbano avere una specifica funzione, ma debbano anche appartenere ad un ente pubblico territoriale119.

Egli attribuisce rilievo, quindi, al requisito dell’appartenenza pubblicistica, ponendo in relazione tale carattere con quello della finalizzazione ad una funzione pubblica. Per cui, un bene può dirsi demaniale quando è assoggettato ad un particolare regime di pro- tezione, che comporta la sua sottrazione al diritto comune (inusucapibilità, incommercia- bilità) in ragione della sua necessarietà ad una funzione esclusiva dello Stato o di altro ente territoriale120. Fino a che i beni demaniali risultano necessari alla funzione o fino a

quando l’amministrazione non cessa di esercitarla, la legge impedisce che la stessa possa disfarsi di questi beni di sua volontà, in modo da assicurarne il godimento in capo all’ente pubblico121.

Il requisito specifico della demanialità, dunque, è da individuarsi «nella natura della funzione cui sono destinati i beni degli enti pubblici», poiché è la specifica destinazione del bene che «ne determina la demanialità». Nello specifico, «la qualità di bene demaniale consiste nel fatto che il bene serve ad una funzione esclusiva dell’ente pubblico come tale, e cioè ad una funzione pubblica esclusiva dell’ente medesimo»122. Con questa riflessione

si realizza l’avvicinamento all’impostazione adottata da Zanobini, poiché con riferimento ai beni demaniali «utilizzati dall’ente pubblico mediante la destinazione all’uso comune»,

117 B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., p. 186.

118 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 70 ss. Questo, tra l’altro, era il punto fino al quale era giunta la riflessione di Santi Romano.

119 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 43.

120 Le originarie concezioni del demanio escludevano del tutto la possibilità di considerare i beni come elementi patrimonialmente valutabili; in quanto oggetto o strumento di funzioni pubbliche proprie dell’ente territoriale, essi erano considerati extra commercium, per cui ne era preclusa qualsiasi valutazione in termini finanziari e venivano in rilievo come meri attributi della stessa funzione pubblica propria dell’ente, con la conseguente esclusione dell’applicazione del diritto comune.

121 A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 33. Si osserva infatti che «il rapporto esistente fra il bene demaniale e la funzione svolta rispetto ad esso dall’ente pubblico come tale, e cioè quale ente che rappresenta e provvede agli interessi dei consociati, contribuisce largamente alla precisazione del concetto di proprietà pubblica […] come proprietà necessaria dell’ente pubblico per lo svolgimento di certe sue funzioni, e quindi per l’adempimento di certi suoi fini […] che l’ente pubblico si pone quali suoi propri ed essenziali» E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 15.

il Guicciardini osserva che l’attività dell’ente non si esaurisce con la destinazione a tale uso, in quanto «occorre anche che ad ogni singolo sia assicurato il libero uso del bene in condizioni di eguaglianza rispetto agli altri». Difatti, «per la tutela di un tale diritto l’ente pubblico esplicita un’attività di garanzia, mediante l’instaurazione di un regime di polizia specifico del bene, che rientra nella sua ‘attività giuridica’, e come tale gli appartiene in modo esclusivo»123.

Inoltre, sebbene Guicciardini critichi la tesi in base alla quale i beni demaniali sareb- bero insuscettibili di proprietà privata, tuttavia ammette che «il bene demaniale, che venga in proprietà di un privato, si snatura e quasi diviene altra cosa: il che dimostra, ove si ricordi il collegamento esistente fra il bene demaniale e una funzione pubblica, che è la particolare attività svolta dall’ente pubblico in ordine al bene che, non essendo nelle pos- sibilità del privato, preclude a quest’ultimo la qualità di soggetto di beni demaniali»124. E

poiché rispetto a questi lo Stato svolge delle attività che mirano alla soddisfazione diretta e immediata dell’interesse pubblico, la potestà concreta su di essi si afferma quale com- petenza propria della pubblica amministrazione, alla quale è affidato il compito di soddi- sfare tale interesse mediante la sua concreta attività. Pertanto, nel bene demaniale non si ha «insuscettibilità di proprietà privata», quanto piuttosto «incapacità in ogni altro sog- getto ad esercitare sul bene la stessa attività che vi esercitano gli enti pubblici territoriali: e quindi esclusività per questi ultimi delle funzioni che si svolgono sui beni demaniali»125.

Con questa interpretazione la destinazione torna al centro della teoria della proprietà pubblica, mediante la sostituzione dell’uso pubblico con la funzione amministrativa, per cui l’attività autoritativa svolta dalla pubblica amministrazione assume lo scopo di rendere possibile l’attività materiale di fruizione del bene da parte dei singoli. Di qui la definizione del bene demaniale come «bene immobile, appartenente ad un ente pubblico territoriale, e necessario ad una funzione esclusiva dell’ente stesso, che ad essa lo abbia destinato»126.

Se si parte dalla considerazione per cui la destinazione non ha per oggetto l’uso o il fine pubblico, bensì l’esercizio di una funzione amministrativa esclusiva, allora non è pos- sibile parlare di inizio della demanialità rispetto ad un singolo bene «perché la demanialità non sorge mai singolarmente, ma sempre in via generale per tutti i beni della medesima specie: come è un controsenso parlare di demanialità che sorge per volontà della Pubblica Amministrazione, perché il suo sorgere avviene in modo non particolare e concreto, ma

123 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 73. 124 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 30. 125 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 72 ss. 126 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., ibidem.

generale ed astratto, e come tale non può avere la sua fonte in un atto o fatto ammini- strativo, ma soltanto in un atto materialmente legislativo»127. Questo spostamento incide

sul tema della destinazione dei beni, dal momento che la prospettiva adottata da Guic- ciardini esclude consequenzialmente che l’amministrazione possa influenzare la destina- zione mediante atti di concessione d’uso del bene a titolo particolare128.

Proprio perché la destinazione costitutiva della demanialità è compiuta dalla legge, l’atto dell’autorità amministrativa che la attua «corrisponde alla destinazione effettiva di ogni singolo bene»129; la destinazione effettiva, d’altra parte, non influisce sul sorgere della

demanialità per ciò che la determinazione amministrativa che la realizza per un singolo bene può essere unicamente rivolta ad una utilizzazione «conforme alla destinazione della sua specie»130. In altri termini, questo Autore nega espressamente che l’amministrazione

sia titolare di un potere autonomo di destinazione effettiva del bene demaniale ad un uso difforme dalla destinazione legislativa della categoria (per forma normale di destinazione effettiva di un singolo bene si intende l’instaurazione su di esso del regime generale di polizia, come avviene tipicamente per le strade). Infatti, il rapporto tra l’ente pubblico e la cosa non può essere ricostruito in termini di godimento, in quanto «il godimento dei beni demaniali da parte dello Stato non è fine a sé stesso: poiché i beni demaniali rappre- sentano sempre soltanto un mezzo, un elemento dell’attività statuale rivolta alla soddisfa- zione di un interesse pubblico»131.

La teorizzazione di Guicciardini prevede tre possibili usi dei beni demaniali: uso co- mune, speciale ed eccezionale132. Per questa ricostruzione l’Autore fa riferimento non

solo al Codice civile, ma anche alle discipline speciali relative ai singoli beni che integrano il primo. L’uso comune è indicato come conforme alla generale destinazione del bene stabilita dalla legge, potenzialmente eguale per tutti e non sottoposto ad alcun previo atto di assenso dell’amministrazione, come avviene per la circolazione ordinaria sulle strade pubbliche. Nell’uso speciale l’utilizzo del bene è conforme alla sua generale destinazione, ma viene integrato da un quid pluris, conferito dall’amministrazione, ossia da ulteriori fa- coltà riconosciute ad alcuni soggetti determinati rispetto alla generalità degli utenti, come avviene nel caso della circolazione dei veicoli fuori misura133.

127 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 176 ss.

128 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 164 ss. B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., p. 188. 129 Siccome il termine “destinazione effettiva” si presta a letture diverse, si preferisce usare il termine

“utilizzazione”. E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 202. 130 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., ibidem.

131 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 259. 132 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 262 ss.

133 E. GUICCIARDINI, Il demanio, cit., p. 264 ss. L’uso speciale viene definito come quello conforme alla destinazione del bene, ma che «consiste nella facoltà conferita ad un determinato soggetto di far qualche cosa di più rispetto al bene, di quello che fa la generalità: facoltà che è costituita in

L’uso eccezionale comporta invece la sottrazione del bene all’uso generale e, per de- finizione, non è compatibile con essa134. La deroga all’uso comune richiede quindi un atto

di assenso dell’amministrazione, che normalmente consiste in una concessione, la quale

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