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Il demanio come mezzo per soddisfare i bisogni della collettività ed il ruolo dello Stato nell’impostazione di Oreste Ranelletti.

1. Le appartenenze pubbliche nella prospettiva dello Stato liberale.

1.1 Il demanio come mezzo per soddisfare i bisogni della collettività ed il ruolo dello Stato nell’impostazione di Oreste Ranelletti.

Dalle teorie liberali classiche si discosta in modo netto l’interpretazione di Oreste Ranelletti, il quale aderisce a presupposti filosofici, politici ed economici riconducibili alla teoria organicistica tedesca53. Il Ranelletti, in particolare, distingue tra attività giuridica e

51 Cfr. B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., ibidem.

52 A. FERRARI ZUMBINI, I beni pubblici e la scienza del diritto amministrativo, cit. Si veda anche A. SANDULLI, Costruire lo Stato, cit., p. 97 ss.

53 O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico. Teoria, Rivista Italiana di Scienze Giuridiche, 1898, p. 1 ss. e 159 ss., ora in Scritti scelti, p. 131 ss. Il primo paragrafo si apre con la frase «incominciamo dal vedere qual è la funzione dei beni demaniali nella vita dello Stato e degli altri enti pubblici».

Il Ranelletti aderisce alla definizione di Stato e delle sue funzioni essenziali proposta da Orlando nella Introduzione al Trattato, in base alla quale «lo Stato deve attuare le condizioni negative e positive, perché la società possa raggiungere tutti i suoi scopi. Questo suo fine generale si scinde in due elementi», ovvero, realizzare il diritto e promuovere il benessere e la cultura. «Questo ente è la società stessa organizzata coattivamente per la soddisfazione dei bisogni collettivi[...] il che vuol dire che di fronte allo Stato come termine finale della sua azione vi è il popolo inteso politicamente […] come una unione organica di uomini, unità organica, che si attua appunto nello stato e per mezzo dello stato», ibidem.

attività sociale e afferma che attraverso quest’ultima lo Stato «soddisfa direttamente e immediatamente i bisogni della società con cose materiali»54. Pur partendo dal presuppo-

sto per cui «l’interesse pubblico, che questi beni diretti soddisfano, non coincide colla somma degl’interessi dei singoli associati attuali», tuttavia, «poiché la società non è un concetto astratto, che possa esser concepito indipendentemente dai singoli», il bene per essere definito pubblico deve soddisfare dei bisogni dei singoli e, anzi, dalla capacità del bene a soddisfare tali interessi dipende la sua classificazione55.

Da questa considerazione egli ricava il carattere basilare dei beni demaniali, indivi- duato nel fatto che essi «debbono essere destinati all’uso diretto e immediato di quei sin- goli componenti quella data collettività, i quali sentono quel dato bisogno, a soddisfare il quale la cosa è destinata», per ciò che «il bene diretto per la società dev’essere bene diretto anche per i singoli attuali»56. Dal momento che il Ranelletti non aderisce alla tesi per la

quale sono pubbliche le cose che servono ad un interesse pubblico – come invece farà Santi Romano nel decennio successivo – mantenendosi così all’interno della corrente tra- dizionale, attraverso l’assunto summenzionato l’Autore punta a delimitare in modo rigo- roso la sfera dei beni demaniali rispetto ai beni destinati a pubblici servizi, nonché a dimostrare la teoria della destinazione all’uso pubblico57.

Ponendo l’accento sull’attività positiva dello Stato, inteso quale entità politica che offre ai singoli un bene di consumo immediato, necessario alla soddisfazione dei loro bisogni, il ruolo della pubblica amministrazione passa dalla funzione di regolazione (recte, di polizia), alla funzione di produzione diretta di utilità collettive. In altri termini, i beni sarebbero i mezzi attraverso cui «lo Stato tende a promuovere il benessere, la ricchezza la cultura del popolo»58. Ovvero, al Ranelletti sembra interessare la valorizzazione sostan-

ziale del ruolo che lo Stato svolge attraverso l’offerta dei beni demaniali, piuttosto che la

54 O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., p. 135 s.

Tutta l’impostazione del giurista qui illustrato si fonda su un essenziale criterio, ovvero quello per cui «il punto logico di partenza non è la libertà ma lo Stato», in quanto è quest’ultimo il «creatore del diritto di libertà» e colui che ha il compito di tutelare «ogni libertà». In altri termini, senza lo Stato non vi è diritto e non vi è libertà. O. RANELLETTI, Concetto e contenuto giuridico della libertà civile, Macerata, 1899, ora in Scritti scelti, cit., p. 210.

55 Leggasi testualmente: «se non la quantità degl’interessi che soddisfa, certo la qualità del bene rispetto alla società deve coincidere con la qualità, che esso ha rispetto a quei singoli attuali, che sentono quel bisogno, a soddisfare il quale il bene è destinato, e anzi tale qualità della cosa dipende dalla posizione, che essa ha rispetto ai bisogni dei singoli, che simultaneamente o successivamente se ne valgono» O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., p. 139 s.

56 O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., ibidem. 57 B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., p. 152 ss.

58 Nella visione dell’Autore, sottolineare che i beni pubblici devono essere destinati all’uso diretto e immediato dei singoli che sentono quel dato bisogno non serve cioè soltanto a spiegare il carattere dei beni demaniali, ma soprattutto a spostare il ruolo dell’amministrazione dalla funzione estrinseca della regolazione di polizia, alla funzione di produzione diretta di utilità collettive. Ovverosia, secondo la sistematica orlandiana si sarebbe passati dall’attività giuridica all’attività

definizione formale degli stessi. E se il carattere dei beni demaniali è appunto quello di essere «messi dagli enti pubblici a disposizione della società» allora, alla demanialità viene ad essere correlata alla presenza di una collettività «come destinataria dei beni». Per tale ragione sarebbe da respingere la concezione liberale in base alla quale alcuni beni sareb- bero pubblici per natura, per ciò che «la destinazione presuppone un atto di volontà, tacita o espressa, col quale la cosa sia diretta ad un dato scopo. La destinazione, quindi, non è coerente alla cosa, ma dipende dal fatto della società stessa o dell’autorità, che la rappresenta»59.

Seguendo questa impostazione, gli scopi ai quali la cosa è destinata debbono avere una rilevanza sociale, al punto che il desiderio della loro soddisfazione viene a costituire un bisogno collettivo, poiché «solo con questo presupposto si può capire un’attività degli enti pubblici, che si esplichi riguardo a tali scopi destinando un bene alla loro attuazione». A ciò si aggiungeva la considerazione per cui, siccome le esigenze sociali variano nel tempo e nello spazio, varieranno di conseguenza anche gli scopi d’interesse pubblico e quindi i bisogni collettivi. In ragione di ciò muterà anche la destinazione che può dare il carattere demaniale a una cosa60.

Tuttavia, pur se il concetto di demanialità viene inteso come fisso ed invariabile, es- sendo l’effetto di un rapporto in cui si trovano i beni della collettività, di contro sarà l’estensione del demanio a «variare col variare dei bisogni, che si pongono come collettivi nei vari tempi e luoghi e che assumono quindi importanza sociale. Coll’aumentare sempre più dell’attività sociale degli enti pubblici, aumenta insieme anche l’ampiezza del demanio pubblico». Perciò, la risposta alla domanda quali sono i beni demaniali può essere data soltanto per un determinato diritto positivo e in un certo tempo, in ragione della funzio- nalità di alcuni beni al soddisfacimento di taluni bisogni. In quest’ottica, la destinazione consiste nella funzionalizzazione del bene al soddisfacimento di un dato bisogno, cioè è necessario che il soddisfacimento del bisogno costituisca la funzione della cosa stessa. Ovvero, la «funzione, per cui una cosa esiste, è la sua destinazione». Il collegamento fra tradizionale destinazione all’uso pubblico e soddisfazione di un bisogno sociale rappre-

sociale: «nella funzione conservativa i beni diretti per la società sono i servigi resi dallo Stato e non le cose, di cui questo si vale per attuare la sua funzione, cose, le quali sono beni di primo grado solo per l’ente; e per conseguenza questi beni diretti per la società, di cui parliamo, cioè cose materiali, si possono trovare soltanto nell’altra parte dell’amministrazione interna, cioè nell’attività sociale, e quindi sono beni per mezzo dei quali lo stato tende a promuovere il benessere, la ricchezza la cultura del popolo» O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., p. 170 s.

59 O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., p. 210 ss. 60 O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., passim.

senta dunque il mezzo per allargare e reinterpretare il primo concetto. In tal senso, l’ag- gettivo “pubblico” non viene più riferito al carattere libero e aperto dell’uso quanto, piut- tosto, al carattere collettivo del bisogno che l’uso del bene appare diretto a soddisfare61.

La prospettiva organicista del pensiero del Ranelletti emerge con chiarezza nel mo- mento in cui egli sostiene che il concetto d’interesse pubblico «non si fonda sul bisogno dei singoli come tali, ma dei singoli in quanto associati, in quanto fan parte di una deter- minata collettività: e, così inteso, è chiaro che molte volte la collettività intera può vedere un bisogno collettivo in un bisogno diretto di pochi soltanto, e quindi trovare a soddisfa- zione diretta di un bisogno collettivo dell’uso diretto e immediato, che soltanto pochi facciano di una data cosa»62. In altri termini, il vantaggio economico privato di uno o di

pochi singoli in sé – direttamente e immediatamente – può essere considerato come la soddisfazione di un bisogno collettivo.

L’affermazione della presenza di una pluralità di usi ammissibili comporta che il tipo di uso pubblico dipenda dalle caratteristiche del bene. Per tale ragione vi saranno dei beni i quali compiono la loro funzione mediante un certo uso implicante un’occupazione sol- tanto momentanea degli stessi, «lasciandoli intatti per l’uso degli altri possibili utenti, co- sicché la loro potenzialità di soddisfazione del bisogno, cui sono destinati, è indefinita»; dall’altra parte saranno soggetti all’uso pubblico anche quei beni i quali compiono la loro funzione mediante un diverso uso, «il quale importa una sottrazione di una data parte dei medesimi all’uso degli altri, e per conseguenza la loro potenzialità di soddisfazione del bisogno, cui sono destinati è limitata». Questi ultimi non contraddicono l’essenza dell’uso pubblico, in quanto «non possono essere liberi senz’altro a tutti, perché con ciò si ver- rebbe a rendere impossibili e a negare la funzione stessa del bene»63.

Ciò che aveva impedito alla dottrina precedente di assimilare tali usi a quello pubblico e aveva condotto ad una rimozione della concessione dalla teoria dei beni pubblici sta nel fatto che essi hanno la stessa struttura dei privilegi che venivano concessi all’epoca dello Stato patrimoniale. La descritta criticità viene superata chiarendo che «se il bene deve essere pubblico, cioè posto in relazione con tutto l’aggregato di una società, si deve rico- noscere in tutti una eguale posizione giuridica di fronte all’uso della cosa». Per raggiungere questi due scopi (cioè rendere possibile la funzione della cosa – quindi l’attuazione della sua destinazione – e riconoscere a tutti una posizione di uguaglianza giuridica di fronte

61 O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., p. 212 ss. B. TONOLETTI,Beni

pubblici e concessioni, cit., 155 ss.

62 O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., ibidem. 63 O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., ibidem.

all’uso pubblico), occorre «negare a tutti qualsiasi pretesa giuridica all’uso della cosa e far sorgere tale facoltà in ognuno, volta per volta, con un atto di concessione. In questi beni o usi, quindi, la possibilità dell’uso di tutti i componenti della collettività si riduce ad una possibilità puramente astratta, non giuridica, e che può diventare concreta e giuridica solo in base a un atto amministrativo di concessione, che sarà accordata nei limiti della capacità del bene»64. La profonda modifica della nozione di destinazione e del concetto di uso

pubblico conduce il Ranelletti a creare uno spazio logico per la concessione all’interno della teoria dei beni pubblici, riconoscendo la stessa come uno strumento necessario all’attuazione della destinazione del bene demaniale, ove richiesto dalla natura del bene o dell’uso65.

Per quanto riguarda la natura del rapporto di appartenenza dei beni demaniali agli enti pubblici e le situazioni soggettive individuali rispetto all’uso dei medesimi, la dottrina tradizionale affrontava le due questioni separatamente e secondo prospettive antitetiche. Da una parte, infatti, si negava la sussistenza di un diritto di proprietà dello Stato e degli enti territoriali minori sui beni demaniali; dall’altra parte, le pretese dei singoli all’uso pub- blico venivano ridotte a interessi di mero fatto.

Detto altrimenti, si osservava cioè che il potere di godimento dei beni destinati per natura all’uso pubblico implicava che l’amministrazione si limitasse ad esercitare sul bene soltanto funzioni di conservazione e di polizia, allo stesso tempo però si negava la consi- stenza delle pretese dei singoli, sostenendo che l’uso pubblico dipendeva interamente dal potere di moderazione dell’autorità. Nella teoria liberale vi era una netta contrapposizione tra i due poli dell’autorità e della libertà, per cui si credeva che la netta la separazione tra Stato e società comportasse che nella sfera privata ci dovesse essere solo autodetermina- zione, mentre in quella pubblica soltanto coercizione.

Tale visione viene modificata dal Ranelletti, il quale unifica le due questioni in una visione coerente, affermando che la natura della situazione soggettiva dei singoli all’uso comune dei beni demaniali non può essere inclusa tra i diritti individuali giacché all’am- ministrazione è attribuito un potere di apprezzamento (e quindi di regolazione) in merito alla destinazione del bene66.

Infatti, affinché l’amministrazione attui l’interesse pubblico – che in questo caso coincide con l’uso pubblico della cosa – attribuito dalla norma giuridica che ne stabilisce

64 O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., p. 283 ss. 65 B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., p. 159.

66 Leggasi testualmente: «in questi casi l’ente ha diritto assoluto di a mantenere o far cessare, a limitare o no tali facoltà, e solo ha l’obbligo di trattare ogni associato in maniera perfettamente eguale agli altri, conformemente alle norme, che regolano l’uso di questi beni» O. RANELLETTI,

la destinazione, occorre riconoscerle una ampia facoltà di apprezzamento. E difatti il Ra- nelletti riconosce quelle di uso pubblico come «facoltà normali, che derivano esclusiva- mente e direttamente da una disposizione giuridica generale, qual è l’atto di destinazione della cosa». Pertanto, «se si vuole che l’amministrazione attui nel modo più completo i suoi scopi di benessere e di cultura della collettività, è necessario dare ad essa la facoltà più ampia di apprezzamento delle esigenze dell’interesse pubblico, che col bene dema- niale si mira a soddisfare, ed è necessario, quindi, riconoscerle la possibilità di adattare a queste esigenze le condizioni del bene medesimo. Ciò comporta il riconoscimento in capo all’ente a cui il bene appartiene di un diritto assoluto a mantenere, far cessare o limitare queste facoltà di godimento», dal momento che tale diritto viene riconosciuto allo scopo di tutelare l’interesse comune.

In conclusione, secondo questo Autore, l’ente pubblico avrebbe «piena facoltà di regolare la destinazione dei beni pubblici e di farne, perciò, cessare l’uso pubblico senza il consenso dei singoli utenti, senza le forme dell’espropriazione per causa di pubblica utilità, e senza indennità», per il fatto che esso rappresenta la comunità di riferimento. In quest’ottica, il potere discrezionale di regolazione dell’uso verrebbe anche a costituire il fondamento delle concessioni d’uso a titolo particolare67.

Tuttavia, malgrado la situazione soggettiva creata dalla concessione con l’uso speciale e individuale attuativo della destinazione sia identica, la posizione dell’autorità, di fronte agli uni ed agli altri, è profondamente diversa. Ciò in quanto nel caso degli usi speciali «le facoltà di uso dei singoli sono nella funzione stessa del bene; i beni esistono per questi usi, e i diritti dell’ente si attuano in essi; nei secondi, invece, le facoltà di uso sono ecce- zionali di fronte alla funzione del bene, e quindi ad essa contrapposte»68.

Seguendo tale ragionamento al centro della teoria dei beni pubblici vi sarebbe il po- tere di disposizione degli usi spettante alla p.a., che possiede il medesimo fondamento sia nella regolazione dell’uso comune, sia nel rilascio di concessioni; ovvero, sia per la costi- tuzione di diritti d’uso che attuano la destinazione del bene, sia per la costituzione di diritti d’uso eccezionali69. La pubblica amministrazione, nel suo rapporto con i beni de-

maniali, eserciterebbe un diritto d’imperio, agendo quindi nella sua personalità di diritto

67 O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., p. 166 ss.

68 Nel caso degli usi speciali l’amministrazione vede in essi «lo scopo principale della sua attività, la ragione stessa della formazione della cosa come demaniale; negli altri, invece, vede degli scopi i quali sono certo importanti dal punto di vista dell’interesse pubblico, ma, in rapporto alla cosa demaniale, sono secondari, accessori, e vengono soddisfatti solo in quanto sono compatibili con lo scopo principale, quello, cioè, per cui la cosa è demaniale». O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti

del demanio pubblico, cit., ibidem.

pubblico, di tal che «il diritto d’imperio non resta qualche cosa di estrinseco al diritto di proprietà, ma lo investe, modificandone gli effetti giuridici», poiché «lo scopo diretto della cura dell’interesse pubblico investe e spiega tutto il bene nella sua formazione, nella sua esistenza e nella sua funzione».

In tal modo risulta evidente che l’elemento caratteristico della proprietà pubblica non è tanto l’uso pubblico, quanto piuttosto il diritto d’impero70. Questa conclusione porta

con sé anche il riconoscimento del fatto che quando l’amministrazione esercita il proprio potere discrezionale nella regolazione dell’uso pubblico oppure nel rilascio delle conces- sioni i singoli risultano titolari di interessi legittimi. In tutti questi casi sarebbe dunque da ammettere la presenza di un interesse individuale che rivela l’esistenza di un diritto sog- gettivo. Pur tuttavia «questi diritti d’uso, guardati nella loro essenza, cioè nella loro esi- stenza ed integrità, sono compenetrati e dipendenti da quell’interesse pubblico, per la cura del quale il bene demaniale, di cui si tratta, è stato formato, e l’autorità pubblica ha un ampio potere discrezionale nell’apprezzamento delle esigenze del medesimo»71.

1.2. La centralità della pubblica amministrazione nella nozione di pro-

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