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Segue: i principi ispiratori della disciplina dei beni degli enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.

Verso una nozione oggettiva di beni pubblici: valoriz zazioni e privatizzazioni.

2. Del rapporto tra attribuzione di funzioni amministrative e titolarità dei beni strumentali: il trasferimento dei beni agli enti territoriali.

2.2. Segue: i principi ispiratori della disciplina dei beni degli enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.

La riforma costituzionale del 2001333 ha prodotto significativi effetti sul sistema am-

ministrativo, inclusi i beni pubblici, ed ha portato a compimento quel processo di pro- fonda modifica dell’assetto amministrativo dello Stato (già iniziato con le “leggi Bassanini”) e volto a rafforzare l’autonomia ed a valorizzare il ruolo degli enti locali, an- che mediante la ridistribuzione della potestà legislativa.

In tale complessiva ridefinizione del sistema amministrativo pubblico appare centrale la costituzionalizzazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, av- venuta ad opera del nuovo articolo 118 Cost. In conseguenza di questo passaggio è ve- nuto meno il parallelismo fra funzione legislativa e funzione amministrativa, riferibile al precedente assetto costituzionale del rapporto tra Stato ed Autonomie334.

A tale quadro deve aggiungersi la confusione creata dal mancato inserimento della materia “beni pubblici” nella ripartizione di cui al novellato articolo 117 Cost.. Ebbene, il silenzio del legislatore costituzionale al riguardo avrebbe potuto indurre a considerarla compresa tra le materie di potestà esclusiva regionale, similmente a quanto avvenuto per la competenza in tema di “ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione”, prima affidata alla legislazione concorrente. Invece una simile imposta- zione non può essere accolta per ciò, che i beni pubblici spesso assolvono a funzioni complesse, che coinvolgono numerosi interessi anche a livello super regionale.

333 Si tratta della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione». Sul tema S. CASSESE, L’amministrazione nel nuovo titolo quinto della Costi-

tuzione, Giorn. dir. amm., 12, 2001, p. 1193 ss. e G. GARDINI, Le nuove competenze legislative e ammini-

strative. Introduzione, in C. BOTTARI (a cura di), La riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione, Rimini, 2003, p. 67 ss.

334 In base al principio di sussidiarietà, una data funzione deve essere svolta dall’ente più vicino ai cittadini destinatari di essa, in ragione del fatto che il livello amministrativo più vicino ai destinatari meglio può interpretarne aspettative e bisogni. Il principio di adeguatezza si pone lo scopo di temperare la sussidiarietà, in ragione delle esigenze di qualità del servizio da rendere; essa pertanto impone di svolgere una valutazione comparativa fra funzione ed organizzazione tale per cui, nel caso in cui l’ente risulti non adeguato alla realizzazione di una certa funzione, ovvero essa richieda una organizzazione particolarmente complessa, rispetto ad essa diventa competente l’ente di livello superiore. Infine, il principio di differenziazione implica la possibilità di approntare un sistema diversificato nell’ambito della stessa tipologia di ente, al fine di tenere conto delle caratteristiche specifiche dell’ente in questione. Sul punto di veda in merito, compiutamente D. DONATI, Il paradigma sussidiario. Interpretazioni, estensione, garanzie, Bologna, 2013; M. RENNA,

Sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, in M. RENNA, F. SAITTA (a cura di) Studi sui principi di diritto

amministrativo, Milano, 2012, 283 ss.; G.C. DE MARTIN, Le funzioni comunali tra sussidiarietà e

La rilevanza e la funzione dei beni sono invero venute in rilievo nell’ambito della riforma, per sancire il passaggio di alcune specifiche species di beni dalla legislazione con- corrente a quella residuale delle Regioni (e.g. acque termali e minerali), ovvero dalla legi- slazione esclusiva dello Stato a quella concorrente (e.g. porti e aeroporti civili).

Al contrario, in sostanziale continuità con la precedente previsione costituzionale si pone il nuovo testo dell’articolo 119 della Costituzione il quale, al comma 6, prevede che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono titolari di un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali, determinati con legge statale. La for- mula utilizzata è ampia ed è perciò idonea a individuare una generalità di beni pubblici da trasferire, sia demaniali che patrimoniali, in modo coerente con quella tendenza norma- tiva che ha portato all’assottigliarsi delle tradizionali ripartizioni fra i beni pubblici335. E

invero appare significativa la scelta del legislatore della riforma di non menzionare il de- manio, ma di fare unicamente rifermento al patrimonio degli enti locali. Scelta che appare come una implicita conferma del superamento della distinzione tradizionale tra demanio e patrimonio, di stampo codicistico336.

Il legislatore statale, in base alla nuova formulazione, deve limitarsi ad individuare i “principi generali” di attribuzione; ciò implica che la potestà legislativa dello Stato sia circoscritta alla sola “attribuzione” di alcuni beni o categorie di beni a determinate cate- gorie di enti, mentre non sembra essere consentita l’apposizione di vincoli ai beni volti ad imporre un determinato regime o una determinata destinazione ai beni337.

Infatti, l’attribuzione di un patrimonio agli enti territoriali è da porre in relazione con la necessità di fornire agli stessi gli strumenti materiali per svolgere in modo efficiente le

335 Prima di tale modifica, la norma costituzionale in questione prevedeva al comma 4 che «La Re- gione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità̀ stabilite con legge della Repub- blica». Il testo attuale dell’art. 119 si differenzia rispetto al precedente sotto vari aspetti. In primo luogo, vi sono divergenze per quanto riguarda la riserva di legge statale in quanto nella versione attuale il patrimonio viene attribuito agli enti territoriali secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato, mentre prima si faceva riferimento al demanio e al patrimonio, i quali erano riconosciuti alle Regioni secondo le modalità stabilite dalla legge della Repubblica. Ovvero, si fa riferimento all’attribuzione secondo principi generali (non secondo le modalità stabilite); viene meno ogni riferimento alla nozione di demanio e, infine, vengono inseriti tra i soggetti territoriali aventi diritto ad un proprio patrimonio anche gli enti locali.

336 Sul punto si veda M. RENNA, La regolazione amministrativa dei beni pubblici, cit., p. 261, ove si afferma che il mancato riferimento al demanio del nuovo testo costituzionale risponde all’esigenza «di liberare il legislatore ordinario dai lacci costituiti dalle categorie dei beni pubblici formalizzate nel Codice civile» e, allo tesso tempo, tale scelta risulta coerente con la fase di «profonde e significative trasformazioni legislative della regolamentazione generale dei beni pubblici».

G. DELLA CANANEA, Dalla proprietà agli usi: un’indagine comparata, in A. POLICE (a cura di), I beni

pubblici, cit., p. 71, osserva che la riforma costituzionale avrebbe allontanato il demanio dal

patrimonio nel senso che «solo quest’ultimo è attribuito agli enti esponenziali delle collettività infranazionali».

337 G. DELLA CANANEA, G. FRANSONI, Art. 119, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, p. 2375; Cfr. anche A. PUBUSA, Art. 119, cit.

funzioni loro attribuite, sia che i beni siano destinati ad essere utilizzati dalla stessa am- ministrazione territoriale, sia che essi vengano fruiti da parte delle collettività territoriali, sia che vengano a costituire una garanzia patrimoniale per il finanziamento delle spese di investimento, sia, infine, che costituiscano una fonte di entrata patrimoniale, ad esempio mediante concessioni a terzi o alienazioni.

In linea con la dottrina si è mostrata anche la giurisprudenza costituzionale interve- nuta dopo la modifica del Titolo V, la quale ha chiarito che una volta avvenuto il trasfe- rimento, l’ente territoriale diviene a tutti gli effetti il dominus del bene, rispetto al quale esercita tutte le funzioni di conservazione, gestione e valorizzazione anche se l’articolo 119, comma 6, nel prevedere che Regioni ed enti locali abbiano un patrimonio attribuito secondo i principi determinati dalla legge statale, «non detta alcuna regola in ordine alla individuazione dei beni oggetto dell'attribuzione, né, tantomeno, vieta allo Stato la ge- stione e l’utilizzazione, medio tempore, di tali beni»338.

Per quanto riguarda la disciplina dei beni appartenenti allo Stato, la stessa sembra dover essere ricompresa nella potestà legislativa esclusiva, in quanto riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali. Ciò che conferma l’inesistenza di automatismi tra trasferimento di funzioni ed attribuzione dei beni, proprio in quanto una simile valutazione spetta al legislatore statale339. E difatti,

l’applicazione del principio di sussidiarietà al problema del riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni dovrebbe condurre a riconoscere in capo al legislatore statale la com- petenza ad allocare le funzioni amministrative di rilievo unitario all’amministrazione cen- trale, oltre a regolarne gli aspetti strumentali, materiali ed organizzativi, con particolare riguardo ai beni340.

338 Corte cost. 16 dicembre 2004, n. 427

339 In sintesi, la Corte costituzionale distingue pacificamente tra funzioni dominicali e funzioni ge- stionali dei beni e tale impostazione è stata mantenuta ferma anche a seguito della riforma costi- tuzionale. A proposito della spettanza della potestà di imposizione e riscossione del canone per la concessione di aree del demanio marittimo, la Corte, in sostanziale continuità con pronunce pre- cedenti la riforma (sentenze n. 150 del 2003, n. 343 del 1995 e n. 326 del 1989), ha chiarito che «determinante è la titolarità del bene e non invece la titolarità di funzioni legislative e amministra- tive intestate alle Regioni in ordine all'utilizzazione dei beni stessi». Cfr. Corte cost. 13 luglio 2004, n. 286

Concorde anche la dottrina cfr. V.CERULLI IRELLI, Profili dominicali e profili funzionali nel rapporto

Stato-Regioni in materia di beni pubblici, cit., p. 250 ss., secondo cui «i diritti e le facoltà dominicali

(quelli che pur residuano con oggetto beni pubblici) necessariamente appartengono al titolare della situazione dominicale». Per una ricostruzione critica cfr. M. OLIVI, L’extracommerciabilità dei beni

pubblici e la frantumazione della proprietà, in A.POLICE (a cura di), I beni pubblici, cit., p. 49 ss. 340 Cfr. N. GULLO, Beni pubblici, cit., p. 243.

La Corte costituzionale (ex multis, la sentenza n. 303/2003) ha stabilito che il perseguimento dell’unitarietà̀ della funzione amministrativa costituisce un principio idoneo a superare il normale criterio di riparto delle competenze legislative e ad attrarre anche la disciplina delle sottostanti funzioni amministrative nelle materie riservate alla competenza concorrente.

Dall’altro lato, con riferimento alla questione concernente l’esistenza e l’estensione di un’autonomia delle Regioni nella regolamentazione dei propri beni, dal momento che la norma contenuta nell’art. 119 Cost. sembra essere volta principalmente a definire il regime finanziario, appare ragionevole ritenere che la disciplina dei beni pubblici risulti affidata in via esclusiva allo Stato in virtù di quanto stabilito dall’articolo 117, comma 2 lettera l), che ricomprende tra le materie oggetto di potestà legislativa esclusiva l’ordina- mento civile341.

A tal proposito si è osservato che, siccome «la definizione dell’assetto proprietario degli enti pubblici finisce con il limitare e comprimere sia la legittimazione dei soggetti privati ad acquistare beni, sia la loro autonomia contrattuale», ciò comporta sia il cambia- mento della disciplina sui beni pubblici, sia un’alterazione delle «regole fondamentali di materia di diritto privato, dato che, nel momento in cui si definisce il regime giuridico dei beni pubblici – anche di quelli regionali – non si incide solo genericamente sui rapporti tra p.a. e privati, ma anche sull’ampiezza della proprietà privata»342. Pertanto, poiché la

disciplina dei beni è suscettibile di condizionare fortemente la capacità giuridica dell’ente pubblico e siccome ciò si riflette sulle situazioni giuridiche soggettive dei privati, di con- seguenza essa deve essere ricondotta alla nozione di ordinamento civile e, quindi, alla legislazione esclusiva dello Stato.

In definitiva anche nel mutato assetto costituzionale, in virtù del riferimento all’ordi- namento civile (art. 117, comma 2 lett. l)), nonché ai principi generali (art. 119, comma 6) è stata ribadita la centralità del ruolo del legislatore statale nella definizione del regime giuridico dei beni pubblici, pur riconoscendo alle Regioni la possibilità di provvedere ad un suo adattamento, in special modo sotto il profilo funzionale. In altri termini, «le cate- gorie in cui si può articolare il regime della proprietà pubblica, le diverse specie di beni che si possono ascrivere all’una o all’altra di tali categorie, le modalità di acquisto della proprietà pubblica, i tratti peculiari di fondo e le regole della privatizzazione devono es- sere definiti ancora con la legislazione statale»343.

341 Sul punto cfr. D.SORACE, La disciplina generale dell’azione amministrativa dopo la riforma del Titolo V della

Costituzione. Prime considerazioni, in Le Regioni, 4, 2002, p. 757 ss.

342 N. GULLO, Beni pubblici, cit., 280.

343 N. GULLO, Beni pubblici, cit., 285 s. Cfr. C. cost., sent. n. 427 del 2004.

Vi è stata quindi una sostanziale continuità nell’individuazione dei criteri di attribuzione dei beni alle Regioni ed agli enti locali in quanto, nonostante il ridimensionamento della portata della ri- serva di legge statale, limitata alla determinazione dei principi generali, ciò non ha comportato l’attribuzione automatica dei beni pubblici agli enti territoriali diversi dallo Stato. Si è ribadito cioè che la dotazione patrimoniale di un ente pubblico non è predeterminata dalla Costituzione e pertanto la sua individuazione esula dalla competenza della Corte costituzionale, che è giudice

D’altra parte la dottrina, valorizzando la previsione di cui all’art. 119 comma 4 Cost., in base al quale le risorse economiche (finanziarie e patrimoniali) degli enti territoriali debbono consentire loro di finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite, ha sostenuto l’esistenza di una «correlazione necessaria» tra beni e funzioni. O meglio, si è sostenuta l’impossibilità di scindere le competenze amministrative affidate ai suddetti enti dai mezzi per esercitarle in concreto, nel senso che il conferimento delle funzioni a Re- gioni ed enti locali non può prescindere dal trasferimento delle risorse indispensabili per esercitarle344. Siffatta impostazione è stata ulteriormente specificata nella legislazione di

attuazione delle disposizioni costituzionali.

Il primo provvedimento di “attuazione” della riforma costituzionale è dato dalla c.d. legge La Loggia345 la quale, tuttavia, ha disciplinato soltanto alcuni aspetti del nuovo Ti-

dei conflitti di attribuzione, e necessita della mediazione del legislatore statale. Sul punto la giuri- sprudenza costituzionale è stata costante, sin dalla sentenza n. 111 del 1979 a cui sono seguite, ex

multis, le sentenze n. 223 del 1984, n. 309 del 1993, n. 179 del 2004.

344 In tale senso M. PERINI, Rei vindicatio, teoria della prospettazione e nuovo ordinamento delle autonomie locali, in Giur. Cost., 2004, p. 1849 il quale afferma esservi una «correlazione necessaria tra le competenze regionali […] e i mezzi per esercitarle in concreto», di modo che «quanto stabilisce l’art. 119 comma 4 Cost. appare allora di fondamentale rilievo imponendo a tutti gli attori istituzionali della Repubblica […] di fare in modo che dove si ravvisi una competenza regionale (comunale, metropolitana e provinciale) la si individuino anche i mezzi e le risorse necessari per farvi fronte». Nello stesso senso F. BASSANINI, Introduzione, in F. BASSANINI, L. CASTELLI (a cura di), Semplificare

l’Italia. Stato, Regioni, Enti locali, Firenze, 2008, ove si legge che «l’autonomia sul versante della spesa

non può̀ essere slegata dalla attribuzione alle istituzioni territoriali (a ciascuna istituzione territoriale) delle risorse sufficienti al “finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite” (art. 119, quarto comma), e dunque dalla applicazione del principio di solidarietà̀ che caratterizza il modello del federalismo cooperativo (art. 119, terzo e quinto comma); ma anche dalla rigorosa attuazione dei principi di autonomia e responsabilità̀ nella provvista delle risorse, propri del modello federale (art. 119, commi 1, 2, e 6)». Del medesimo autore si vedano anche ID.,

L’attuazione del federalismo fiscale. Una proposta, F. BASSANINI e G. MACCIOTTA (a cura di), Bologna, 2004; Principi e vincoli costituzionali in materia di finanza regionale e locale, in A. ZANARDI, Per lo sviluppo:

rapporto sul federalismo fiscale, Bologna, 2006. Concorda con questa impostazione anche A.

BRANCASI, L’autonomia finanziaria degli enti territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost., in Le Regioni, 2003, p. 97 ss., nonché E. CASTORINA, G. CHIARA, I beni pubblici, in Il codice civile – commentario – artt. 822‐830, fondato e già diretto da P. SCHLESINGER e continuato da F.D. BUSNELLI, Milano, 2008, p. 72, secondo i quali l’autonomia finanziaria della Regione costituisce uno strumento per rafforzare l’autonomia degli enti territoriali nei confronti dello Stato.

Concorde è anche la giurisprudenza, in particolare si vedano le pronunce della Corte costituzio- nale 24 luglio 2015 n. 188 e 29 gennaio 2016 n. 10, le quali ribadiscono principio in base al quale l’attribuzione di funzioni agli enti locali deve essere necessariamente accompagnata da adeguate risorse finanziarie per l’esercizio delle stesse. Circa la valenza fortemente autonomistica del fede- ralismo si vedano le sentenze 13 luglio 2004 n. 286 e 16 dicembre 2004 n. 427, le quali hanno ribadito che fino all’entrata in vigore delle leggi di attuazione dell’art. 119 Cost. lo Stato rimane dominus dei beni, sui quali esercita tutte le funzioni di conservazione, gestione e valorizzazione, facendo emergere a contrario come al momento del passaggio dei beni la titolarità (ed i connessi poteri) passerà agli enti territoriali.

345 Legge 5 giugno 2003, n. 131, recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, Per un primo commento della legge, AA.vv., Legge ”La Loggia”. Commento alla l. 5 giugno 2003, n. 131 di attuazione del titolo V della Costituzione, Rimini 2003, p. 19 ss.; AA. Vv., Il nuovo ordinamento della Repubblica. Commento alla l. 5 giugno 2003, n.

131 (La Loggia), Milano, 2003, p. 17 ss. La Corte costituzionale è stata chiamata più volte a

tolo V. Per ciò che concerne in particolare le norme sull’allocazione delle “funzioni fon- damentali” degli enti locali, la legge ha subordinato l’effettivo esercizio delle funzioni amministrative da conferire agli enti territoriali all’assegnazione delle risorse necessarie, in termini di personale, dotazioni finanziarie ed organizzative, tra cui possono rientrare anche gli eventuali beni pubblici di proprietà dello Stato. Le procedure per la determina- zione dei beni e delle risorse da trasferire a comuni, province e città metropolitane, in esito alla definizione, da parte del legislatore delegato, delle funzioni fondamentali loro riservate sono regolate dall’articolo 2 comma 5346, mentre l’articolo 7, ai commi 2 e 3,

disciplina il procedimento per il trasferimento dei beni e delle risorse conseguente all’at- tuazione delle disposizioni costituzionali di cui all’articolo 118 sull’allocazione delle fun- zioni amministrative347.

2.3. Il federalismo demaniale come forma di valorizzazione dei beni.

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