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La scomposizione della categoria dei beni pubblici e l’approccio realista e problematico nell’opera di Massimo Severo Giannin

2. La riapertura della riflessione nella seconda metà del 20° secolo tra superamento delle categorie codicistiche e modello costituzionale

2.2. La scomposizione della categoria dei beni pubblici e l’approccio realista e problematico nell’opera di Massimo Severo Giannin

Massimo Severo Giannini210 rivisita completamente la materia, utilizzando in parti-

colare (con Cassese) l’approccio realista e problematico cui si è fatto riferimento211.

Nello specifico, l’approccio metodologico di Giannini è composito ed attinge alle ricerche sociologiche e storiche, per superare la rigidità dell’impostazione dogmatica pan- dettistica. Ciò lo conduce a riconosce l’esistenza di una molteplicità di istituti che, nel

207 La disciplina pubblica dei beni privati sarà ulteriormente studiata da Giannini, il quale distingue l’interno di tale categoria i beni a circolazione controllata e i beni ad uso controllato, fondando tale distinzione sullo scopo che si vuole ottenere attraverso la disciplina limitativa, confermando così la centralità dell’interesse perseguito per la classificazione degli istituti.

208 Un primo sviluppo dell’impostazione di Sandulli si ebbe con la tesi di S. CASSARINO, La destinazione

dei beni degli enti pubblici, Milano, 1962, p. 24 ss., il quale sostiene che i beni demaniali e quelli

patrimoniali indisponibili appartengono ad una categoria unitaria, «la quale trova la propria ragion d’essere nel fatto che le singole specie hanno tutte come denominatore comune quello di avere una pubblica destinazione». La destinazione viene definita come una attitudine del bene «a soddisfare determinati interessi», per cui la categoria unitaria dei beni pubblici risulta articolata in tre tipi fondamentali, che si differenziano appunto in ragione della loro diversa destinazione, che include i beni di uso pubblico, «destinati ad un uso esercitato direttamente dalla collettività», i beni destinati ad un pubblico servizio, cioè «ad un uso esercitato dall’ente pubblico» e i beni di particolare interesse pubblico, «i quali hanno un intrinseco valore, che rileva a certi fini, generalmente inerenti alla cultura o all’economia nazionale» e che l’ordinamento eleva a interessi pubblici».

209 A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 61 ss.

210 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., in particolare pp. 33-95.

211 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 36 ricorda come «la disciplina dei diritti reali sia di stretto diritto positivo, e pertanto abbia una validità storica e non teoretica generale».

corso del tempo, hanno dato origine a differenti forme di appartenenza a soggetti collet- tivi e a varie discipline di usi pubblici dei beni212.

Lo studioso non ha scardinato la teoria della proprietà pubblica al fine di sostituirla con una nuova, bensì allo scopo di lasciar emergere la realtà giuridica della materia in tutta la sua complessità. Egli ha delineato un quadro del tutto nuovo, per il fatto che le cate- gorie così individuate presentano un profilo di sostanziale differenza rispetto tutte le clas- sificazioni precedenti, trattandosi di categorie di istituti dominicali, non semplicemente di beni.

Una simile impostazione ha condotto questo Autore a negare la possibilità stessa di una teoria generale, dimostrando che non esiste un solo tipo di proprietà pubblica, quanto piuttosto una pluralità di figure impossibili da ricondurre a un denominatore comune213.

In altri termini, ha operato una scomposizione dell’istituto unitario della proprietà pub- blica, facendo emergere una ricca varietà di tipologie dominicali che fino a quel momento non erano state indagate o, se lo erano state, venivano ricondotte ad un unico monolite214.

In particolare, lo studio dell’Autore ha preso le mosse dal superamento delle stesse cate- gorie codicistiche in favore della più completa suddivisione nelle tre tipologie della pro- prietà collettiva, della proprietà divisa e della proprietà individuale pubblica. A fianco a queste categorie, è poi trattata separatamente la disciplina amministrativa dei beni privati. Sarà poi il suo allievo, Sabino Cassese, elaborando una ben strutturata teoria dei beni pubblici fondata sui principi rinvenibili nella Carta costituzionale, ad operare una ancora più comprensiva ricostruzione dei vari istituti che compongono la materia.

Giannini ha sottoposto le coordinate dottrinarie precedenti ad una profonda revi- sione critica, che include non solo la teoria, ma anche il concetto stesso di proprietà pub- blica, «con il quale si ritenne di potere sistemare quasi tutto», mentre «in realtà esso non è niente più che un’espressione verbale, con cui non si è riusciti a spiegar nulla»215. Il

presupposto per cui sotto quell’espressione «seguita a circolare una ben più fervida realtà giuridica»216 ha consentito allo studioso la costruzione di una nuova sistematica, svinco-

lata dalle ormai obsolete categorie romanistiche, che mettesse in luce le caratteristiche specifiche degli istituti che presentano elementi diversi rispetto alle ricostruzioni tradizio-

212 A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 95 ss.

213 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 12 ss.; Cfr. B.TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, cit., p. 214; A. SANDULLI, Costruire lo Stato, cit., p. 251 ss.

214 A. FERRARI ZUMBINI, I beni pubblici e la scienza del diritto amministrativo, cit., p. 280 ss. 215 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 5 .

nali. Tali variazioni non vengono più considerate come anomalie da ricondurre comun- que ad uno schema generale stabilito a priori ma, al contrario, vengono utilizzate al fine di costruire un sistema articolato, maggiormente corrispondente alla realtà giuridica217.

La pubblicità dei beni viene incanalata in due categorie, l’una di carattere soggettivo e l’altra di carattere oggettivo. Vengono considerati pubblici in senso soggettivo quei beni appartenenti a un ente pubblico affinché esso possa svolgere la «specifica attività per cui è pubblico»; sono considerati pubblici in senso oggettivo quei beni che forniscono «una utilità ad una collettività pubblica»218. Dal momento che la scelta dei criteri per individuare

i beni pubblici è rimessa al legislatore positivo, in tale circostanza viene individuata la ragione per cui la materia non è retta da criteri coerenti poiché, si afferma, «le normazioni positive non si ispirano mai ad un canone unitario» ma, di regola, si hanno «delle commi- stioni di canoni»219.

Nello specifico, vengono giudicate come completamente inaffidabili le distinzioni introdotte dal Codice civile220, le cui norme si sostiene abbiano «portato e portano con-

fusione non solo nella disciplina della materia, ma nello stesso ordine nozionale di essa»221.

La distinzione tra beni demaniali e beni patrimoniali indisponibili risulta irragionevole222

per ciò, che entrambe le categorie contengono «dei beni pubblici artificiali, che se “desti- nati” ad una certa utilizzazione, non possono essere a questa sottratti. Si tutela in altre parole, la destinazione di questi beni, non la loro natura materiale […]. Se allora taluni di questi beni con destinazione sono demaniali, altri patrimoniali indisponibili, vuol dire che una differenza dovrebbe esserci. Invece non c’è»223.

217 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 49 s. «se vogliamo bene intendere la materia dobbiamo quindi quasi dimenticare ciò che si è detto e si è scritto sul demanio, e riprendere da capo», facendo notare come «ancor oggi non si riesce a capire quale sia il contenuto dei poteri e dei diritti, degli obblighi e dei doveri, che formerebbero la proprietà pubblica». Cfr. A. FERRARI ZUMBINI, I beni

pubblici e la scienza del diritto amministrativo, cit., p. 375 ss.

218 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 9 s.

219 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 11. Tra l’altro, secondo Giannini «il quasi completo silenzio normativo per i beni pubblici e i diritti reali pubblici», ha fatto sì che questo sia «uno dei non molti settori del diritto positivo odierno del nostro paese in cui vige una normazione giurisprudenziale, nel senso storico del termine: una normazione su cui si fondono e in cui si confondono elaborati consuetudinari con insegnamenti della scienza e pronunce giurisprudenziali», ivi, p. 3 s.

220 Cfr. anche M.S. GIANNINI, Parere sul progetto del II libro del Codice civile, ora in Scritti, vol. II, Milano, 2002, pp. 31-43.

221 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 28 ss.

222 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., ibidem, oltre ad estendere il regime di inalienabilità dei beni demaniali alle miniere, cave, cose d’arte, foreste e altri beni che l’art. 826 cc colloca tra i beni patrimoniali indisponibili, rileva come alcuni beni demaniali siano alienabili una volta cessata la destinazione loro propria (disutilizzazione), in sostanziale analogia con quanto avviene per il patrimonio indisponibile. Le medesime considerazioni vengono svolte con riferimento all’autotutela amministrativa, che la legislazione speciale estende ai beni del patrimonio indisponibile, nonché al divieto di usucapione. Nello stesso senso cfr. S. CASSARINO, La destinazione

dei beni degli enti pubblici, cit., p. 15 ss.

Superando la tripartizione codicistica, egli ha dunque proposto una classificazione a carattere trasversale, giacché non riguarda beni, bensì le diverse tipologie proprietarie. Classificazione volta a mettere in rilievo la necessità di una maggiore aderenza della clas- sificazione normativa alla complessità del quadro positivo il quale, analizzando in modo congiunto i beni demaniali quelli patrimoniali indisponibili, si mostra ben più sfaccettato rispetto al monolitismo dell’impostazione dottrinaria tradizionale e di quello codicistico. Invero, come i beni privati, anche quelli pubblici non costituiscono una categoria ogget- tivamente uniforme, ma differenziata per qualità giuridiche e questa maggiore articola- zione porta al riconoscimento dell’esistenza di più tipologie di proprietà pubblica224.

L’abbandono dell’impostazione secondo cui il diritto pubblico sarebbe riconducibile agli schemi di diritto comune, seppur con alcune connotazioni pubblicistiche, segna la frammentazione dell’istituto della proprietà pubblica, ponendo l’impostazione del Gian- nini in linea di continuità con quanto sostenuto da Pugliatti rispetto alla proprietà pri- vata225.

La complessità del quadro positivo non viene ritenuta semplificabile nella contrap- posizione tra pubblico e privato226 ma conduce invece all’affermazione della presenza di

una vera e propria proprietà privata degli enti pubblici, la quale è poi affiancata da ulteriori istituti dominicali, impossibili da ricondurre allo schema unitario della proprietà indivi- duale227.

La figura cui riportare i beni demaniali d’uso pubblico – come le strade, le aree pub- bliche, le spiagge, il lido del mare, lo spazio aereo, l’etere – viene individuata nella pro- prietà collettiva, il cui tratto saliente non consisterebbe tanto nell’appartenenza della cosa a un soggetto pubblico, quanto piuttosto nel godimento di servizi che la cosa rende ai singoli membri della comunità. Pertanto, demaniali sarebbero soltanto quei beni destinati

224 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 12 ss. Dove si specifica che «nella proprietà collettiva il tratto giuridico saliente è costituito dal godimento di utilità della cosa che spetta a tutti gli appartenenti ad una collettività», «nella proprietà divisa l’appartenenza e il godimento della cosa sono ripartiti fra due soggetti giuridici» e «nella proprietà individuale ad un solo soggetto spettano l’appartenenza e il godimento». Cfr. B.TONOLETTI, Beni pubblici e concessioni, cit., p. 215.

225 Nel saggio “Basi costituzionali della proprietà privata” Giannini critica gli studi precedenti la proprietà pubblica per essersi sviluppate in modo dissociato dalla dottrina privatistica, mentre egli rinviene una prima saldatura tra le due figure nello studio di Pugliatti, dei cui studi si servirà per elaborare un’analisi completa, iniziando significativamente la sua monografia sui beni pubblici con l’enunciato «l’approccio più corretto ai problemi della proprietà dei pubblici poteri quello che prende le mosse dalla proprietà in generale».

226 Su questa linea di pensiero cfr. S. CASSARINO, La destinazione dei beni degli enti pubblici, cit., passim. 227 In tal modo viene confutato un altro caposaldo delle costruzioni precedenti, ovvero

l’identificazione della proprietà pubblica come proprietà individuale degli enti territoriali. Cfr. A. FERRARI ZUMBINI, I beni pubblici e la scienza del diritto amministrativo, cit.

immediatamente all’uso pubblico, cioè quelli che fanno parte del nucleo storicamente originario della demanialità (demanio idrico, marittimo e stradale).

L’aspetto qualificante di questa categoria è da individuare nella garanzia del godi- mento di certe utilità a favore della collettività indeterminata, mentre i beni da ascrivere a questa classe vengono selezionati sulla base di una ricostruzione della disciplina positiva non limitata alle sole norme codicistiche, ma estesa alle leggi speciali e suffragata dall’ana- lisi storica.

In genere, vengono ricondotti alla proprietà collettiva i beni che rendono servizi in- divisibili, ovvero non misurabili e non posti in relazione ai soggetti che ne beneficiano. Oppure i beni che, per la loro naturale abbondanza, possono essere liberamente utilizzati da parte di chiunque, entro limiti volti ad evitare conflitti dovuti all’eventuale utilizzazione contemporanea da parte di più soggetti. Si tratta perciò di beni oggetto di poteri di polizia aventi lo scopo di impedire che l’uso contemporaneo e libero di ciascun interessato in- terferisca e ostacoli l’uso altrettanto libero dell’altro228. In tal senso, sarebbe ammissibile

anche una proprietà collettiva privata, nel caso in cui il gruppo cui è imputabile sia defi- nito, chiuso e si caratterizzi per la tutela di interessi di tipo esclusivamente privatistico, come accade nella comunione229. Seguendo la sistematica gianniniana, la forma più diffusa

di proprietà collettiva sarebbe quella demaniale in senso stretto, la quale spetta a chiunque (cittadino, straniero o apolide), tuttavia, si ammette che tale termine possa assumere un significato relativo (e.g. cittadino residente del comune).

Un tratto essenziale e peculiare di questa forma di proprietà viene individuato nell’es- sere disciplinata nell’interesse diretto della collettività e non dell’ente territoriale, cui for- malmente sono attribuite230. Normalmente, quale naturale gestore viene assunto un ente

territoriale a fini generali, per il fatto di essere rappresentativo di una data comunità ter- ritorialmente individuata. Difatti, seguendo questo significato ristretto, i beni oggetto

228 Tuttavia, l’ente gestore che agisce come autorità deve sottostare «alle norme proprie dell’attività autoritativa, prima fra tutte il principio di legalità e di nominatività (laddove fosse proprietario del bene potrebbe disporre circa l’uso del bene a suo piacimento)» M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 57.

229 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 36, secondo cui la differenza tra proprietà collettiva pubblica e proprietà collettiva privata «non è tanto nella struttura degli istituti, quanto nella rilevanza dei gruppi e nel modo della tutela delle situazioni soggettive. Quanto alla rilevanza dei gruppi, si ricorda che negli ordinamenti generali esistono gruppi che le norme qualificano come portatori di interessi pubblici, e gruppi che si costituiscono e agiscono in base alle sole norme interprivate»; cfr. A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 72 ss.

230 In particolare egli osserva che quelli demaniali sono «beni di proprietà collettiva affidati in gestione legale ad enti territoriali»; la gestione del bene collettivo da parte dell’ente territoriale non è una gestione «negoziale, o volontaria, ma legale e necessaria», pertanto, «l’ente territoriale come tale non trae da questi beni alcuna utilità», dal momento che «le utilità che essi rendono si esauriscono totalmente nelle utilità della collettività». M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 53 ss.

della proprietà demaniale sono, ad esempio, le strade pubbliche, i beni del demanio ma- rittimo, le acque interne e i laghi, la cui proprietà il Codice attribuisce, appunto, al dema- nio proprio degli enti territoriali. A ciò si aggiunga che l’ente territoriale viene indicato come un mero gestore del bene demaniale per natura, essendo questi beni aperti al godi- mento universale in ragione delle illimitate utilità che possono approntare. Ma, trattandosi di un pubblico potere in grado di esprimere per mezzo di organi una volontà sua propria, esso si distingue dalla collettività cui il bene in realtà spetta; ciò comporta che tra i titolari del bene e il gestore vi sia comunque una separazione.

I beni demaniali in senso stretto, dunque, sono attribuiti necessariamente alla ge- stione esclusiva di enti territoriali per ciò che solo a questi enti è affidata la cura istituzio- nale degli interessi di una collettività di soggetti, ossia di chiunque sia stabilmente presente in un dato ambito territoriale. E, allo stesso modo, si spiega anche la necessaria immobilità dei beni demaniali, la quale deriva dal fatto che solo un bene immobile permette una utilizzazione libera (in contemporanea e con le stesse modalità) da parte di chiunque in qualunque momento, ciò che non sarebbe possibile con dei beni mobili.

Alla proprietà individuale pubblica viene ricondotto quello che il Codice civile defi- nisce come patrimonio indisponibile (e alcuni beni del patrimonio disponibile), ovvero una forma di proprietà individuale nella quale assume rilievo centrale l’appartenenza, es- sendo essa caratterizzata da un vincolo di destinazione al servizio dell’ente territoriale, il quale può impiegarla per le proprie esigenze (e.g. sedi di uffici pubblici), oppure per pre- stare servizi pubblici alla collettività231.

L’elemento caratterizzante la proprietà individuale è dunque costituito dalla apparte- nenza del bene ad un soggetto che ha il diritto di appropriarsi di tutte le utilità offerte da esso. Gli enti pubblici, infatti, possono essere titolari di diritti dominicali individuali sia in base al diritto comune, sia secondo il diritto pubblico, ma in questa seconda ipotesi il tratto distintivo risiede nel vincolo di destinazione, da intendere come divieto di adottare atti che comportino la sottrazione del bene alla propria destinazione.

A ciò si aggiunge la considerazione per cui il contenuto del vincolo di destinazione varia a seconda delle utilità fornite dal bene, che può essere ricondotto a due tipologie, cioè aziendale o nazionale. In modo innovativo, in questa ricostruzione l’uso del bene diventa centrale e non è più inteso in termini economici come caratteristica intrinseca del

231 Si sostiene inoltre che dal momento che è il legislatore ad istituire e disciplinare i beni collettivi, egli può arrivare al punto di rompere il legame presente tra i beni e la collettività, attribuendo la proprietà individuale del bene all’ente territoriale (che rappresenta una data collettività), e ai componenti della collettività stessa un diritto reale parziario di uso del bene. M.S. GIANNINI, I beni

bene che consente di distinguere il demanio. Viceversa, esso diventa una componente della disciplina giuridica, in quanto le utilità che possono trarsi da un bene conformano il vincolo e, in ultima istanza, la destinazione da tutelare.

Nella proprietà divisa, infine l’istituto della proprietà privata subisce una profonda rivisitazione, per il fatto di avere una struttura caratterizzata dalla presenza simultanea di due diversi diritti dominicali, uno riferibile al soggetto privato e l’altro a quello pubblico, ai quali sono attribuiti poteri precipui e specifiche facoltà di godimento reciprocamente condizionati. Tale figura viene individuata in quelle norme si pongono lo scopo di tutelare due interessi, attribuendo a due soggetti le distinte utilità che il bene può fornire, in quanto si ammette che il diritto del privato proprietario possa coesistere da pari con il diritto dell’amministrazione di godere e disporre del bene232. La più importante figura di pro-

prietà divisa nel diritto moderno è indicata nelle cose d’arte private233.

Proprio l’individuazione della figura della proprietà collettiva, in cui il rapporto do- minicale appare sostanzialmente «svuotato del suo contenuto di uso» e, per altro verso, di quella della proprietà divisa, in cui «c’è un rapporto dominicale privato o pubblico, ma riempito di un diritto eminente dello Stato»234, permette di evidenziare come, alla luce del

diritto positivo il rapporto dominicale non necessariamente si sostanzi nella facoltà di

232 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, cit., p. 82 s., ove si precisa che nella proprietà divisa «vi sono due interessi tutelati dalle norme, ambedue in via immediata, mediante l’attribuzione a due soggetti di due distinte appartenenze di utilità della cosa. Ciascuno dei soggetti, per la parte che gli appartiene, dispone e gode della cosa nell’ambito delle utilità che essa può prestare, e non interferisce in quelle dell’altro soggetto: i due diritti non sono però indipendenti l’uno dall’altro, ma in vario modo collegati». In particolare, si osserva che normalmente nel diritto pubblico «ad uno dei soggetti sono attribuiti i diritti relativi di disposizione e di godimento del bene a fini economici, all’altro i diritti di disposizione del bene a fini pubblici».

233 M.S. GIANNINI, I beni culturali, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1976, p. 24 ss. Ricostruisce la nozione di bene culturale attorno al concetto di proprietà divisa, osservando che il bene culturale costituisce un’entità immateriale in quanto testimonianza avente valore di civiltà, non rilevando il fatto che consista in una entità materiale. In proposito si osserva anche che «se l’appartenenza dei beni culturali può variare, la funzione è sempre unica, ed unitarie sono le potestà statali di fondo nelle quali si esprime la sostanza della funzione, ossia le potestà di tutela e di valorizzazione». Parimenti, «unitario è il modo di emergere nella realtà giuridica del bene culturale dipendente da quell’interesse cui fanno riferimento le norme di legge per identificare le cose oggetto della tutela pubblicistica», d’altra parte, vi sono due diversi modi di intendere il bene culturale, se «come bene

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