• Non ci sono risultati.

La centralità della pubblica amministrazione nella nozione di pro prietà pubblica elaborata da Santi Romano.

1. Le appartenenze pubbliche nella prospettiva dello Stato liberale.

1.2. La centralità della pubblica amministrazione nella nozione di pro prietà pubblica elaborata da Santi Romano.

Il primo ad elaborare una nozione compiuta ed autonoma di proprietà pubblica è stato Santi Romano, alla cui impostazione ha aderito la maggior parte della dottrina suc- cessiva. I Principii, abbandonando definitivamente la teoria dell’uso pubblico e acco- gliendo la teoria organicistica di Otto Mayer, segnano il definitivo passaggio ad una concezione dei beni pubblici basata sulla centralità del ruolo della pubblica amministra- zione nella loro gestione72. Invero, in tale visione la proprietà pubblica «appare parallela

alla proprietà privata, non come una modificazione di quest’ultima e tantomeno come un suo contrapposto; l’una e l’altra non sono che modificazioni di una nozione comune, che

70 Pertanto, «i beni demaniali sono gli stessi diritti subbiettivi privati […] trasformati in pubblici dal diritto d’impero, che riguardo ad essi l’ente pubblico, che ne è subbietto, esercita per la destinazione che questi beni hanno, e per la funzione sociale che essi compiono». O. RANELLETTI,

Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., p. 383; B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., p. 165 ss.

71 Poiché «i singoli hanno diritto di usare il bene demaniale così come l’interesse pubblico permette e come, quindi, l’autorità nel suo apprezzamento determina» risultano per ciò stesso presenti «tutti quegli elementi e tutti gli effetti di quelle pretese, che io ho altrove chiamate interessi legittimi». Infatti, si osserva, «nulla vi può essere di arbitrario nelle amministrazioni pubbliche, ma va inteso come dipendente dal suo potere discrezionale, cioè dal libero apprezzamento delle esigenze dell’interesse pubblico». O. RANELLETTI, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico, cit., p. 386. 72 B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., p. 172; A. SANDULLI, Costruire lo Stato, cit., p. 156.

si rende necessaria tutte le volte che si vuole designare un diritto che investe una cosa nella sua totalità»73.

La nozione proposta dal Romano individua come pubbliche quelle cose che «per lo scopo cui vengono destinate, stanno sottoposte ad un potere giuridico che rientra nel campo del diritto pubblico, senza che perciò resti escluso l’esercizio su di esse dei poteri propri del diritto privato»74. In particolare, gli elementi specifici della nozione di proprietà

pubblica vengono individuati nello «scopo cui la cosa serve» e nella «natura del diritto di cui essa è obietto»75. I beni pubblici, secondo questa concezione, sono tali perché con il

loro valore d’uso servono direttamente ad uno scopo, ad un interesse della p.a., mentre ne sono esclusi quei beni che sono un semplice mezzo per fini amministrativi. Perché un bene possa essere definito come pubblico, dunque, occorre determinarne l’effettiva na- tura, non essendo ritenuto sufficiente che questo sia adibito a servizio pubblico.

Secondo la ricostruzione di questo Autore, per determinare il carattere pubblico dei beni non dovrebbe fare riferimento all’uso da parte della collettività quanto, piuttosto, alla loro sottoposizione ad un potere giuridico di diritto pubblico. Con un’inversione di prospettiva, che segna il distacco rispetto all’impostazione tradizionale, al centro della teoria dei beni pubblici viene ora posta l’azione svolta dall’amministrazione nella cura dello scopo cui i beni sono destinati. In altri termini, il Romano sposta l’attenzione dai fruitori del bene al soggetto amministrativo che lo gestisce nell’esercizio delle sue fun- zioni, sostituendo nello schema tradizionale l’amministrazione e il fine amministrativo alla collettività e all’uso pubblico, in tal modo riconoscendone la centralità76.

Secondo questa impostazione, cioè, per poter rientrare nella categoria del demanio un bene pubblico deve appartenere ad un ente amministrativo, che sia lo Stato o altro soggetto pubblico, e deve altresì essere sottoposto ad una disciplina peculiare in ordine al godimento e alla circolazione77. In sintesi, il carattere peculiare della proprietà pubblica

starebbe nel fatto che, nella disciplina dei beni in questione, intervengono norme e prin- cipi del diritto pubblico giacché «il concetto di proprietà, considerato in sé stesso e nei suoi caratteri essenziali, non è né di diritto privato né di diritto pubblico, ma è un concetto

73 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, II ed., Milano, 1906, n. 445, p. 436. 74 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 433, p. 423.

75 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, n. 433, ibidem. 76 B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., ibidem.

77 L’Autore afferma che «la demanialità, dunque, non esclude che i beni che tale carattere posseggono soggiacciono ad un rapporto di proprietà; proprietà non limitata, come molte volte si ripete, dall’uso comune, giacché questo, quando esiste, ben lungi da rappresentare una limitazione del proprietario, può derivare da un atto di disposizione di lui, ma piena e nella sua natura non diversa dalla proprietà delle cose non pubbliche» S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 444, p. 436.

generale; esso poi nelle sue applicazioni si qualifica diversamente, secondo la diversa po- sizione del subietto di fronte agli altri subietti con cui viene in contatto»78. Ovvero, nelle

relazioni giuridiche con soggetti terzi, gli enti non agiscono su un piano di parità, bensì come superiori, dato che «l’uso dei singoli quando esso si riscontra non soggiace alle regole di diritto civile, ma del diritto amministrativo»79.

Inoltre, i modi d’uso dei singoli sui beni demaniali non sono sottoposti al diritto civile, quanto piuttosto al diritto amministrativo. Per tale ragione, sul versante esterno dei rapporti con i cittadini, i soggetti pubblici risultano dotati di poteri di polizia per la sor- veglianza e la protezione dei beni in questione; poteri che «non solo sono diretti ad im- pedire l’uso contrario delle norme generali, ma ben spesso hanno carattere discrezionale» e quindi «possono regolare, limitare o anche provvisoriamente sospendere il diritto d’uso per tutti allo stesso modo»80. Da ciò deriva che, nel caso dei beni a fruizione collettiva, i

privati sono titolari di una posizione garantita solo di riflesso81.

Dall’altro lato, sul versante interno del rapporto con la res, gli enti amministrativi non possiedono «quel diritto che alla proprietà è sostanziale, di disporre cioè delle cose pub- bliche nel modo che credono opportuno»82. Vale a dire che la proprietà pubblica «è sot-

tratta alle norme che sono esclusive al diritto privato: solo il commercio, come da quest’ultimo è inteso, non è ammissibile, non ogni commercio, intesa questa parola in senso largo»83. Dal momento che la proprietà pubblica viene ritenuta strutturalmente

compatibile con la proprietà privata e dal momento che, sotto il profilo della disciplina, non vi sono differenze di carattere sostanziale tra le due forme, per distinguerle viene ritenuto decisivo il requisito della incommerciabilità, la quale non è da intendersi in modo assoluto, dovendo escludersi soltanto l’esercizio di quei diritti che contraddicono la de- stinazione della cosa84.

Se dunque la p.a. non può vendere a privati la cosa demaniale, può però «su di essa stabilire diritti dei privati, ma non con gli effetti del diritto civile, ma solo con le forme e l’efficacia che sono consentite dal diritto amministrativo: per mezzo di autorizzazioni, concessioni e così via»85. La demanialità cioè trova la propria origine nella destinazione

della cosa, la quale non è più costituita dall’uso pubblico, bensì da un fine di pubblica

78 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 445, p. 437. 79 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 445, ibidem. 80 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 472, p. 459. 81 A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 21 ss.

82 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 461, p. 448. 83 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 472, p. 459. 84 Cfr. A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 23-24.

amministrazione86. L’origine della destinazione a cui viene collegato il regime della dema-

nialità viene individuata in «un atto amministrativo o un’azione dell’autorità diretta al conseguimento di tale effetto»87. Di conseguenza, la cessazione della demanialità viene

identificata dell’esercizio di un potere di disposizione del bene, riconoscendosi che «la pubblica amministrazione può disporre della cosa demaniale cambiandone la destina- zione e spogliandola in tal modo della demanialità»88.

Siccome la nozione di proprietà esprime una pretesa giuridicamente tutelata che ri- guarda il bene inteso nella sua totalità e siccome la demanialità89 è connessa alla funzione

amministrativa attribuita, qualora questa fosse in capo ad altri soggetti rispetto ai tradi- zionali enti territoriali – inclusi i privati – il carattere della demanialità del bene non ver- rebbe per ciò meno, in ragione del fatto che ad un soggetto privato siano affidate funzioni amministrative rispetto alle quali il bene sia strumentale90.

Secondo la ricostruzione in commento la demanialità discenderebbe da diversi atti o fatti. Innanzitutto un bene è demaniale in ragione dello scopo a cui esso è destinato, per cui assume un rilievo primario la destinazione del bene, cioè la finalizzazione a soddisfare l’interesse pubblico. In secondo luogo, assume rilievo la natura del bene, la quale rende la p.a. l’unico soggetto idoneo ad avere la proprietà di un certo bene, in ragione dello scopo di pubblica utilità a cui esso per natura è destinato, dal momento che la proprietà pubblica ha «uno scopo ben più determinato che non quella privata»91. E, proprio per lo

scopo di soddisfazione dell’interesse pubblico, il contenuto di questa proprietà si caratte- rizza per l’attribuzione alla p.a. di potestà autoritative. Come è stato notato, il «distacco dalle originarie dottrine francesi del demanio inteso come espressione di sovranità è netto»92.

86 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 452, p. 441, ove si legge: «generalmente la demanialità ha origine per destinazione della cosa ad uno degli scopi di cui essa […] è conseguenza necessaria».

87 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., ibidem.

88 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 461, p. 448; cfr. B. TONOLETTI,Beni pubblici e

concessioni, cit., p. 179.

89 Per quanto riguarda le nozioni di demanialità e proprietà pubblica già il Guicciardini, Il demanio, cit., p. 11, notava una certa confusione tra i due termini, nel senso che si affermava «la piena equivalenza delle due espressioni “bene demaniale” e “bene oggetto di proprietà pubblica”». 90 Afferma l’Autore che ove «diritto di proprietà appaia come obietto immediato delle loro funzioni

amministrative [rispetto agli enti autarchici], nulla in astratto sembra che vieti di ritenere pubblico siffatto diritto. Lo stesso è in genere a dirsi delle persone private cui sia affidato l’esercizio di una pubblica funzione» S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 448, p. 439.

91 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 463, p. 450. 92 A. LALLI, I beni pubblici, cit., p. 28.

Santi Romano, come prima di lui Ranelletti e Cammeo, fa riferimento alla contrap- posizione tra uso diretto e uso indiretto per distinguere tra beni demaniali e beni patri- moniali indisponibili. A questi ultimi beni vengono riconosciuti dei punti di analogia con le cose pubbliche «perché servono direttamente, con il loro valore di uso, ad un interesse amministrativo»93. Tuttavia, tra le due tipologie vi sono delle differenze in ragione del

fatto che «le parole ‘interesse amministrativo’ possono intendersi in due sensi: su una cosa, cioè, può esercitarsi una signoria che abbia essa stessa i caratteri della pubblica am- ministrazione, che sia fine a sé stessa e fine amministrativo; su di essa può esercitarsi una signoria che è soltanto mezzo ai fini amministrativi veri e propri». La definizione di pub- blicità proposta si basa dunque sull’immediatezza della destinazione del bene rispetto allo svolgimento dell’azione amministrativa, che si sostituisce all’uso da parte dei singoli. Pub- blica pertanto può essere ritenuta soltanto quella cosa che «forma immediatamente ob- biettivo di pubblica amministrazione»94.

La medesima inversione di prospettiva si registra nella trattazione della destinazione e degli usi delle cose pubbliche. Per quanto riguarda i beni che formano il nucleo costi- tutivo della demanialità (strade, acque, porti, spiagge, lido del mare) il contenuto della destinazione resta comunque quello classico in quanto, pur sostenendo che «l’uso delle cose pubbliche da parte dei cittadini non costituisce l’elemento specifico della demania- lità», si riconosce che «sta però in fatto che quasi tutti i beni che, per diritto italiano, debbono dirsi demaniali, sono a questo uso sottoposti». In tal caso, l’uso pubblico dei beni demaniali diviene allora «quello scopo amministrativo che li caratterizza»95. Nella

sostanza tale teoria sembra non allontanarsi molto dall’impostazione tradizionale96 per

ciò, che l’uso pubblico viene inteso come «l’uso ordinario delle cose pubbliche», l’unico che sia «conseguenza della destinazione della cosa»97. Si osserva, cioè, che se l’uso pub-

blico esaurisce la sfera della destinazione della cosa pubblica, ogni uso che eccede la sfera

93 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 435, p. 427, ove anche spiega che deve trattarsi di un «mezzo diretto, giacché altrimenti anche le cose adibite a scopo di lucro rientrerebbero in tale categoria». Al contrario, i beni puramente patrimoniali per gli enti amministrativi sono «fonti di lucro, per le utilità economiche che da questi beni possono trarsi, e solo per tali utilità che hanno un valore di scambio e servono quindi all’amministrazione come mezzo indiretto per i vari fini che essa si propone». La casa comunale o la sede di un ministero, rispetto la comune o allo Stato sono ritenuti un «semplice mezzo perché questi possono esercitare i loro uffici, ma non sono obbiettivi di poteri pubblici e non sono perciò cose pubbliche». La casa comunale o la sede di un ministero, rispetto la comune o allo Stato sono ritenuti un «semplice mezzo perché questi possono esercitare i loro uffici, ma non sono obbiettivi di poteri pubblici e non sono perciò cose pubbliche», a differenza di quanto avviene per le strade, le quale appartengono agli enti amministrativi «perché la viabilità è uno dei rami della loro attività». Ivi, n. 434, p. 426.

94 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 435, p. 427. 95 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 466, p. 452. 96 B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., p. 174.

della destinazione deve essere inquadrato come eccezionale, sia che si tratti di «facoltà eccedenti quelle ordinarie», si che si tratti di facoltà «da esse diverse»98.

Di conseguenza, la concessione non attua la destinazione del bene pubblico, ma con- sente di derogare ad essa, ovverosia non costituisce una forma di esercizio del potere di regolare autoritativamente l’uso della cosa da parte dei terzi, quanto piuttosto del potere di disporre liberamente della cosa, facendone commercio (in senso ampio) con i terzi. E siccome la concessione è il titolo in base al quale queste facoltà eccezionali possono essere costituite, essa viene intesa come strumento funzionale a derogare alla destinazione dei beni pubblici, piuttosto che non ad attuarlo; difatti, si afferma che il titolo della facoltà d’uso eccezionale «non è a ricercarsi in una norma generale, e nemmeno nella destina- zione della cosa pubblica, cui possono talvolta ed entro certi limiti contradire: deve trat- tarsi invece di un titolo speciale»99.

In tal senso si contesta l’impostazione del Ranelletti, il quale aveva invece cercato di ricondurre, più correttamente, la concessione al più ampio concetto di destinazione. Tut- tavia, a differenza della teoria liberale classica, alla specialità della concessione il Romano non fa corrispondere alcuna riserva in ordine alla sua legittimità, neppure in modo impli- cito. Per cui, sebbene la concessione si presenti come il titolo speciale di attribuzione di una facoltà d’uso eccezionale se guardata nell’ottica dell’uso generale, essa si presenta come uno strumento del tutto normale rispetto al potere di disposizione che l’ammini- strazione esercita sulla cosa pubblica100. E invero, essendo l’ente amministrativo proprie-

tario della cosa pubblica, questa non è soltanto «oggetto di pubblica amministrazione», ma risulta anche soggetta all’esercizio di «poteri propri del diritto privato»101.

Non viene tuttavia affrontato il nodo problematico del rapporto che lega il potere di regolazione dell’uso generale e il potere di disposizione della cosa mediante concessioni d’uso eccezionale. L’ampiezza del potere di disposizione, infatti, è ritenuto inversamente proporzionale all’ampiezza dell’uso generale, nel senso che quanto più esteso sarà il se- condo, tanto più compresso sarà spazio per l’esercizio del potere dispositivo.

Inoltre, trattando del potere di polizia che spetta all’amministrazione sul bene, Santi Romano osserva che la destinazione di una cosa ad uno scopo amministrativo «non di- pende dalla volontà concreta del suo proprietario, ma da una serie di norme di diritto

98 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., n. 476, p. 461. 99 S. ROMANO, Principii di diritto amministrativo, cit., ibidem.

100 B. TONOLETTI,Beni pubblici e concessioni, cit., p. 175. Per un’analisi della dottrina formatasi sotto il previgente Codice civile si rinvia a M. RENNA, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione

pubblica, Milano, 2004.

pubblico»102. Da ciò sembra potersi dedurre che l’ente proprietario non abbia un potere

di disporre della destinazione del bene, in ragione del fatto che questa venga sempre de- finita giuridicamente prima dell’esercizio del potere concreto di regolazione dell’uso da parte della p.a., a prescindere dal fatto questo sia stabilito per legge o dalla natura stessa della cosa, come avviene nel caso del demanio necessario103.

1.3. La demanialità come condizione giuridico-formale dei beni, nelle

Outline

Documenti correlati