• Non ci sono risultati.

71Alcuni parenti di mia madre sono morti a Jasenovac44, ma noi grazie a Dio siamo rima-

Le voci e il silenzio

71Alcuni parenti di mia madre sono morti a Jasenovac44, ma noi grazie a Dio siamo rima-

sti tutti vivi, tutti e cento, tutto il vagone si è salvato.

Ma perché vuoi sapere tutte queste cose? Vuoi scrivere? Sì, scrivi un giorno e manda a stampare. Ma non voglio una copia di quello che scrivi, perché mi farebbe pensare troppo. Io non voglio saperne più.

Gennaro Spinelli 45

Mi ricordo che vennero questi tedeschi e ci portarono a Torino di Sangro, non poteva- mo scappare, ci hanno caricati sul treno e sui vagoni come le bestie e noi non sapevamo il perché, non lo so. Ci hanno caricato ma non so il motivo, il perché. Sono stato depor- tato, non dai nazisti, ma dai fascisti italiani, ancora bambino con la mia famiglia, circa 29 persone. Mi rasarono i capelli, ci misero in vagoni per animali e ci mandarono a Bari. Da Bari siamo stati rinchiusi a Rapolla in provincia di Potenza, vicino a Melfi, in quella che era una scuola.

Rave Hudorovi

č

46

Io sono arrivato in Italia nel 1942. Prima eravamo in Jugoslavia a Kočevje. Lavoravo con i cavalli come adesso […] Quando è venuta la guerra abbiamo dovuto buttar via i cavalli, perché si doveva sempre scappare e nascondersi. Non si poteva portarsi dietro i cavalli. Gli ustaša ammazzavano tutti della nostra gente. Tagliavano la testa con una mannaia. A mio fratello hanno dato una scure e gli hanno detto di tagliare la testa a sua moglie ed ai suoi tre bambini. Mio fratello non aveva il coraggio e gli ustaša lo hanno ammazzato. Dopo che era morto da una settimana, hanno preso sua moglie e i suoi tre bambini. Allora che cosa hanno fatto? Questa donna l’hanno presa e l’hanno portata sotto una montagna. «Fai un buco qui», dicevano. Allora questa donna per tre giorni faceva sempre questo buco. Con una zappa, capisce? Quando il buco era pronto, l’hanno ammazzata e l’hanno buttata dentro. Era anche in stato interessante. Poi sono rimasti i tre bambini. La gente diceva: «Non i bambini, non ammazzare i bambini, li vogliamo noi», ma siccome questi bambini andavano lì vicino a quel buco e piangevano e chiama- vano la mamma – dicevano: «Mamma vieni, vieni mamma» – allora questi ustaša hanno visto. E cosa hanno fatto? Hanno preso e ammazzato anche loro, questi tra bambini là, vicino alla loro mamma. Sto male, quando penso a queste cose, non le posso pensare. Menčeri. Una bambina si chiamava Menčeri. Un’altra Nos, Nossi. Non dimenticherò mai quei bambini là, mai […].

Gli ustaša hanno ammazzato anche mio padre, ma io ero furbo e mi nascondevo e non sono stati capaci di trovarmi. A Lubiana c’erano gli italiani e io mi nascondevo sempre in mezzo agli italiani.

Poi un giorno eravamo fermi su un posto, Rasuplje si chiama, e sono arrivati gli ita- liani. Eravamo molti sinti insieme, cinquanta persone, forse più. C’era tutta la famiglia di mia moglie. Anche Branko c’era assieme a noi. Sono venuti in camion e hanno detto:

44 Sullo sterminio dei Rom a Jasenovac cfr. Genocide carried out on the Roma-Jasenovac 1942 in Jasenovac

Memorial Site, Zagreb 2006, pp. 154-osceren181.

45 Intervista a Gennaro Spinelli, Lanciano, 2012.

72

«Preparatevi che andiamo a Lubiana». Ognuno ha fatto il suo fagotto e via. Eravamo contenti, come no. Se rimanevo là, mi ammazzavano. Quando siamo arrivati a Lubiana, ci hanno detto che ci portavano in Italia, e noi siamo stati molto contenti. A Lubiana ci hanno messo insieme a tanti altri sinti. Siamo stati a Lubiana per una settimana, poi in treno fino a Tossicia, vicino a Teramo. Non mi ricordo di preciso che mese era, ma era estate, forse luglio.

A Tossicia sono stato 18 mesi. Anton era piccolo. Poi siamo scappati tutti. A Tossicia eravamo tutti sinti assieme. Anche se era un campo di concentramento, era come un villaggio. Ci davano mangiare e da vestire e si dormiva dentro, come in baracche. Poi la gente del paese era buona. C’era qualche carabiniere qua e là che faceva la guardia, ma non eravamo chiusi. Il campo era un po’ in alto e il paese più in basso. Un giorno abbia- mo sentito che erano arrivati i tedeschi in basso, e noi via in montagna. Siamo scappati tutti, fino all’ultimo. Anche i carabinieri sono fuggiti. Mi ricordo che era in pieno inver- no e c’era la neve alta.

Da allora sempre in montagna da Tossicia fino a Bologna. Mai in pianura, ma sempre in montagna. In montagna siamo stati insieme ai ribelli, ai partigiani. Loro ci insegnavano in quali case andare e allora la gente era sempre buona. Anche in casa dormivo. «Venite, venite», ci dicevano. Portavano la paglia e ci si dormiva. A piedi si andava sempre. Portavo Anton in spalla. Anche quando si doveva attraversare i corsi d’acqua.

Dovevo attraversare, perché, sennò, mi prendevano i fascisti, capisce? Ecco quelli ammazzavano la gente […].

Rezi Kolaros 47

Io non mi ricordo molte cose. È passato tanto tempo da quella volta. Sono nata nel 1935, in Austria. Appartengo alla comunità detta Jenische, che è forse un po’ simile agli

Estreikarja, ma non è proprio la stessa cosa. Mia mamma e mio papà venivano dalla

Cecoslovacchia, ma non so perché sono venuti via da là. Mia madre è venuta in Austria quando era ancora molto giovane. Io e i miei fratelli siamo nati tutti o in Austria o in Germania. Quando sono venuta via dall’Austria, i miei erano ancora vivi, quando ho preso marito. Da quella volta, non li ho più visti, e sono passati quasi 24 anni. Non so nemmeno se saranno ancora vivi. Eravamo canestrai. I miei facevano cesti che vende- vano ai contadini. Non avevamo cavalli, e giravamo a piedi. Tutto ciò che possedevamo, lo portavamo in spalla. Eravamo molto poveri. Adesso siamo signori rispetto a quella volta. Eravamo io, un’altra sorella, tre fratelli e la mamma e il papà. Durante la guerra era la vera miseria. Sempre fuori, sempre fuori eravamo. Non avevamo neanche le tende. C’era la neve. Sempre nei boschi eravamo per scappare dai soldati. Ci arrampicavamo perfino sugli alberi per nasconderci. Non eravamo mai in pace, ma sempre con paura che prendevano e ci mettevano in quei campi. Qualche volta qualcuno aveva un pezzo di straccio; allora prendeva un pezzo di legno e si faceva una tenda piantata sulla neve; allora prendeva un pezzo di legno e si faceva una tenda piantata sulla neve. Era una miseria lì. Mi ricordo che le scarpe si ghiacciavano sotto i piedi. Questa è la sacra verità. I calzini non andavano più giù, ma si gelavano e rimanevano attaccati alla pelle. C’era il fuoco per scaldarci, e ci mettevano a dormire vicino al fuoco. Ma era freddo… Qualche volta qualche contadino ci dava un poco di patate, e un po’ di farina, ma era senza

73

Outline

Documenti correlati