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33Herzenberger, mio nonno, è stato partigiano Mia madre invece è nata nel campo di concen-

tramento fascista sorto a Prignano sul Secchia15, in provincia di Modena. Li raccoglievano in

quel luogo per poi decidere dove inviarli. A Prignano, nel 2010, abbiamo messo una targa a memoria dei deportati in quel campo di concentramento che doveva essere di passaggio per poi finire ad Agnone. Ci sono stati anche dei testimoni sinti che erano adolescenti o bambini e quindi si ricordano meglio di quel luogo. Anche Giacomo Gnugo De Bar è nato nel campo e lo ha raccontato in un suo libro per bambini che si chiama Strada, patria sinta. Giuseppe Jeca Esposti era invece più grande e si ricorda che lo mandavano a scuola a Prignano, proprio mentre era imprigionato.

Io sono nato nel 1978 e fino alla quinta elementare a scuola sono andato volentieri. Arrivato alle medie ho sentito profondamente il distacco tra la mia cultura e quello che ci insegnavano in classe, non ci ritrovavo niente di mio. Mi ricordo alcune esperienze che mi hanno reso triste: in gita preferivano non portarci e anche sul campo di calcio, sport in cui ero veramente forte, continuavo a fare esclusivamente panchina, ma sono tutte cose su cui ho riflettuto dopo. Il problema della scuola l’ho risolto facendo gli studi da privatista e all’età di quindici anni ho cominciato a frequentare l’associazionismo mantovano. Sono cresciuto ed ho fatto la pazzia di presentarmi alle elezioni come consigliere comunale e sono pure stato eletto, mi ha sempre interessato la politica. Ho imparato sul campo che cosa significhi fare la politica e figuratevi la difficoltà di far capire le necessità di sinti e rom. C’è una cosa che però ho concluso d’im- portante: io ero nell’estrema sinistra ed ero in minoranza, quindi era difficilissimo riuscire a fare qualcosa di concreto, ma ho costruito rapporti con tutti e dopo avermi avuto seduto in consiglio, l’immagine reale dei sinti è comunque entrata nelle istituzioni e le idee sono un po’ cambiate. Mi votarono non soltanto i sinti, non sarebbe bastato, ma anche tanti altri elet- tori. Quello che è evidente è che attaccare sinti e rom, quando fai politica, produce consenso soprattutto per quelli che diffondono messaggi di odio.

Poi ci sono episodi che mi ricordo e che segnalano l’odio subito nel presente: è successo che siamo stati allontanati da un bar soltanto perché siamo sinti, oppure mi è successo che solo a noi veniva dato il caffè, ma non nella tazzina, nel bicchiere di plastica. Sembrano piccole cose ed invece spiegano quanto diventi difficile dichiarare tranquillamente chi sei, neppure un caffè puoi prenderti tranquillo.

Mio padre Fioravante, il partigiano

Mio padre era poco più di un ragazzo, quando fu rinchiuso nel campo di concentramento di Prignano sul Secchia riservato a zingari e che restò in funzione tra il 1940 ed il 1943. Si chia- mava Fiore, tra i sinti, mentre all’anagrafe era Fioravante Lucchesi16. Insieme ad altre famiglie

sinte fu arrestato nella zona di Modena. Con l’armistizio, anche il campo di Prignano non fu più controllato ed i sinti imprigionati poterono uscire. La storia del campo di Prignano è stata recuperata grazie ai ricordi di Vladimiro Torre, detto “Cavallini” tra i sinti, presidente dell’as- sociazione Them Romanò di Reggio Emilia che, con l’antropologa Paola Trevisan, ha verifi- cato l’esistenza di documenti presso il Comune che evidenziassero l’esistenza di quell’area. Nell’archivio sono ancora conservate le schede con i nomi e cognomi dei deportati e pertanto

15 Il paese in provincia di Modena che oggi è indicato come Prignano sul Secchia, in molti documenti d’ar-

chivio è riportato come Prignano sulla Secchia.

16 La storia di Fioravante Lucchesi è stata ricostruita grazie alla narrazione di Massimo Lucchesi e al

recupero di documentazione effettuato da Donatella Ascari, Paola Trevisan, Lorenza Franzoni componenti dell’Associazione Them Romanò.

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nel 2010, la Federazione Rom e Sinti Insieme con l’associazione Them Romanò ha potuto cura- re l’installazione di una delle prime targhe poste a memoria dei deportati in uno dei luoghi di prigionia fascista, riservati a sinti e rom. Oggi in quella stessa zona sorge il municipio.

Mio padre Fioravante, appena si trovò di nuovo libero, scelse di salire in montagna con i partigiani ed entrò nella divisione Modena Armando. Nella sua attività di resistenza si ammalò di tifo e così scese a valle e cercò aiuto presso una chiesa. I frati lo curarono e quando fu guarito anche la guerra si era conclusa. Così cominciò ad avvicinarsi di nuovo al lavoro dello spettacolo viaggiante, già seguito da mio nonno, e siamo lentamente tornati a fare i gio- strai, poi anche quel lavoro ha avuto una crisi. È comunque nei suoi movimenti da giostraio che ha conosciuto mia madre. Mi ricordo che mio padre è rimasto segnato dalla guerra, diceva sempre: «La guerra si fa presto a farla ed a finirla è dura»; aveva il terrore della guerra e quando vedeva dei film con le battaglie si metteva a piangere.

Io sono il figlio di Fioravante e mi chiamo Massimo, sono nato nel 1963 ed attualmente vivo con mia moglie Donatella a Reggio Emilia.

Nel mio caso, quando da bambino sono andato a scuola, ho dovuto frequentare le classi speciali per zingari che erano state create in tutto il nord Italia: mi ricordo bene della scuola e mi è rimasta l’immagine della separazione dagli altri bambini, non li vedevamo mai, neppure per fare merenda. La scuola era qualcosa a cui io tenevo, pensate che, a cinque anni, cercavo di andarci anche se non potevo ancora frequentarla.

Nel 1983, eravamo installati al luna park a Carpi ed è proprio in quel luogo che ho conosciu- to Donatella, che poi è diventata mia moglie, in tre mesi ci siamo fidanzati.

Nel 2008, mia moglie ed io stavamo subendo uno sgombero senza che fosse prevista una soluzione alternativa ed è da quell’anno che siamo diventati attivisti. Ci siamo impegnati per il superamento di quel campo, ma in assenza di alternative abbiamo deciso di creare attenzione pubblica su questo tema. Ci sgomberarono, ma con il tempo siamo arrivati ad una soluzione condivisa e siamo ancora qui a Reggio Emilia nella nostra area di sosta. È stato importante, perché la politica non percepisce l’importanza di progettare con i sinti ed i rom. I politici pen- sano che dal campo si debba passare direttamente alla casa e non percepiscono la possibilità che si creino micro-aree che ci permettano di vivere dignitosamente in gruppo familiare, senza che si creino nuovi campi nomadi.

Proprio in riferimento al luogo dove ancora abitiamo, mi ricordo che una volta stava bru- ciando la vigna di un vicino e noi siamo intervenuti con i nostri idranti del campo, salvando la casa e gran parte della vigna. Un’altra volta ancora, probabilmente a causa del licenziamento di un ragazzo, è successo che il giovane licenziato ha gettato una bottiglia incendiaria nel furgone della sua ex ditta. Siamo di nuovo intervenuti spengendo l’incendio del camion ed evitando che saltasse un deposito di nafta. In tutte queste occasioni, nonostante avessimo aiu- tato delle persone, nessuno ci ha neppure ringraziato o considerato. Ci vedono soltanto quan- do accadono cose negative. Se facciamo qualcosa di buono sembra a tutti scontato, mentre i giornali riportano continuamente occasioni in cui rom o sinti sono coinvolti in fatti negativi. È una situazione che m’infastidisce molto, perché mi sembra che il razzismo sia aumentato in questi ultimi anni. Mio figlio ha trovato un lavoro come casaro in questo periodo, ma non se l’è sentita di dire subito di essere un giostraio (che qui da noi significa affermare di essere sinto). Preso un po’ dal rimorso, ha preso coraggio ed ha detto di essere un sinto al suo datore di lavoro; aveva già dimostrato il suo valore e per fortuna ha conservato tranquillamente anche il posto. Capitemi bene, non è che siamo noi ad aver paura, è che siamo abituati a sentirci scacciare ogni volta che diciamo chi siamo e sul lavoro non possiamo rischiare di perderlo.

Noi viviamo in Emilia Romagna ed attualmente siamo forse nell’unica regione che ha appro- vato una legge che consenta la presenza di micro-aree familiari al posto dei campi nomadi. È un’ottima cosa, ma nella pratica poi ci accorgiamo che sono aree che sembrano gabbie per

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