• Non ci sono risultati.

113considerati corpo sociale estraneo, la comunità scientifica e le accademie erano unanim

Attraversando Auschwitz

113considerati corpo sociale estraneo, la comunità scientifica e le accademie erano unanim

nel riconoscimento dell’Indian Connection90, e pertanto dell’origine ariana degli stessi.

La via d’uscita dall’impasse fu trovata disponendo un criterio classificatorio, arbitrario e pseudoscientifico, che legittimasse le azioni politiche. Ritter aveva dunque ipotizza- to un percorso degenerativo del ceppo “zingaro” originario, causato dalle numerose e incontrollate mescolanze – avvenute nei secoli della migrazione – con popoli di razza inferiore. Il risultato finale indicava un’alta percentuale di persone (circa il 90%) effetto di un meticciato tra discendenti di individui appartenenti agli strati più infimi della scala sociale e pertanto da ghettizzare, sterilizzare, deportare e, infine, eliminare. Ritroviamo le conseguenze di tali riflessioni nelle storie contenute nel volume, ad esem- pio nella storie di Rita Prigmore e di Barbara Richter, vittime di esperimenti eugenetici. La persecuzione nazista degli “zingari”, con il biennio 1937-1938, si avvia inesora- bilmente verso la soluzione genocidaria con la creazione della “Centrale del Reich per la lotta contro la nocività degli zingari” nell’ambito dell’Ufficio di polizia criminale, e con il citato decreto dell’8 dicembre 1938 sulla “Lotta alla piaga zingara”, firmato da Himmler, che richiedeva in via ufficiale “la soluzione della questione zingara sulla base delle caratteristiche intrinseche di questa razza”.

Da questo momento per migliaia di rom e sinti la tragedia del Porrajmos o Samudaripen91

aveva ufficialmente inizio: il 16 dicembre 1942 Himmler firmò l’ordine di internare “gli zingari”, che avranno sul petto un triangolo nero e una “Z” cucita sul vestito.

Il sentimento ziganofobico, mai scomparso dalla scena, assumeva così la sua forma più drammatica nel nuovo quadro di revisionismi e governi totalitari: la minoranza romanì si vedeva assediata, oltre che in Germania e nei territori occupati, anche nei paesi alleati o satelliti92, con forme e modalità diverse.

Proprio nel quadro europeo, va registrato come negli ultimi anni sia cresciuta la con- sapevolezza istituzionale di approfondire queste fondamentali (e tragiche) tappe della storia, ponendosi in un dialogo costante e costruttivo con le comunità rom e sinte93. Per

quanto riguarda l’Italia, dal confronto e dal dibattito che ne è scaturito è emersa la scelta condivisa di costruire un “percorso della memoria” per attraversare insieme i momenti e

90 Si fa riferimento alle interpretazioni successive all’opera di Grellmann, che attraverso i propri studi di

linguistica comparata a l’origine dei rom nel Nord-Ovest del Subcontinente indiano.

91 A livello internazionale il termine più utilizzato per riferirsi allo sterminio dei rom e dei sinti è Porrajmos,

una parola che in romanés letteralmente significa «divoramento». Il termine fu proposto da Ian Hancock, professore rom dell’Università di Austin, in Texas, per indicare la persecuzione e lo sterminio del popolo rom e sinto durante il nazifascismo. A partire dalla diffusione che ha avuto tale termine si sta tessendo un dibattito più ampio circa l’utilizzo delle parole vernacolari nella pubblicistica. Porrajmos, infatti, non è usato in tutte le varianti del romanés, mentre in alcuni dialetti ha anche il significato di “stupro” ed è considerata una parola molto volgare. Da diversi sinti e rom oggi viene messo in discussione il fatto che una parola con una connotazione peggiorativa sia usata anche in documenti istituzionali a livello nazionale e internazionale. Altri termini in romanés meno problematici e utilizzati nelle comunità per riferirsi al genocidio subìto sono:

Samudaripen (massacro generale) Baro Merape, (grande sterminio), oppure, Sintegre Laidi (sofferenza dei

sinti), Kali Traš (terrore nero).

92 Si vedano i riferimenti alle deportazioni in Transnistria, citate nel racconto di Iuliana Baicu raccolto da S.

Luciani e alle vicende di Jasenovac, evocati da Zlato Bruno Levak, Suzana Jovanovic, Mirko Levak riproposte nei precedenti capitoli. Il racconto di Rasema Halilovic è stato raccolto da Sandro Luciani e trascritto nel precedente capitolo.

93 Riunite per la prima volta – su impulso della Strategia nazionale di inclusione – in una Piattaforma

Nazionale e in un Forum delle comunità, istituiti con un Decreto nel 2017 come organismo di dialogo e con- sultazione tra le istituzioni, le comunità e le associazioni.

114

i luoghi più significativi di una fase storica “rimossa”, di cui questo volume è un primo esito94.

Ribadire l’impegno per l’integrazione di rom e sinti partendo dalla commemorazione e dal ricordo di un passato così tragico, in un contesto sociale di evidente conflitto e mancato riconoscimento, potrebbe apparire una scelta difficile, se non anacronistica. In realtà si tratta di una scelta strategica, forse l’unica possibile. “Il senso della vita è resi-

stere all’aria del tempo” – scriveva Albert Camus. Il significato denso di queste parole

riecheggia in quelle del Capo dello Stato Sergio Mattarella, che, evocando l’esperienza del genocidio di rom e sinti, ha affermato: “questa tragedia appartiene a pieno titolo alla

comune storia europea e costituisce appello ulteriore alla responsabilità per superare pregiudizi, arbitrarie generalizzazioni e diffidenze residue che alimentano discriminazio- ni, xenofobie, ostilità”95. Affermazioni che rispondono in modo alto a un silenzio assor-

dante e fanno da eco a quell’assenza di tracce ufficiali del genocidio di rom e sinti nei processi ai responsabili del genocidio, alle compensazioni negate alle vittime e ai loro familiari e alle mancate rimozioni di dirigenti, ufficiali e ricercatori compromessi, che hanno continuato a esercitare la professione. Al silenzio sul genocidio di rom e sinti nel palazzo di giustizia di Norimberga è seguita l’assenza (o la subalternità) di un dibattito che ha avuto interessi e approfondimenti isolati e poco supportati dal mondo accademico e dalle istituzioni. Un ritardo culturale che è giusto recuperare, ed in fretta.

Tuttavia, perché questo percorso abbia un reale impatto, non è sufficiente che “in pochi” conoscano le tappe fondamentali della storia e dell’odio antizingaro fin qui appena tratteggiate. Vi è la necessità per l’intera società di metterle di fronte alla scena attuale, sulla strada del presente, come pietre di inciampo per coglierne continuità e degenerazione.

Il secondo passo. Riconoscere l’antiziganismo (ma non basterà a comprenderlo)

Risulta difficile ormai a chiunque ignorare l’esistenza di una forma specifica di raz- zismo che da qualche decennio chiamiamo con il termine “antiziganismo” (in inglese

antigypsism, in francese antitsiganisme, in tedesco antiziganismus). Sebbene si tratti di

un sentimento di ostilità diffuso e radicato da secoli, accettato ed elaborato dalla società fino a sancire la normalità dei rapporti tra comunità rom, sinte e gagé, il termine “anti- ziganismo” è piuttosto recente mentre la pratica che esso definisce è decisamente più antica96.

La storia dell’antiziganismo coincide con la storia degli “zingari”, tanto che riconoscer- lo aiuta a scovare la continuità di una presenza dei rom e sinti nella storia. Osservarne le multiformi sembianze e prassi ci aiuta a capire meglio la storia di un territorio e i sentimenti dei cittadini che “possono essere oggetto di analisi storica”, citando L. Febvre, barometro delle relazioni sociali e dell’atteggiamento delle autorità verso i gruppi minoritari. Alcuni autori hanno individuato nell’opposizione con i gagé e nella storica percezione negativa della società maggioritaria l’elemento comune nella storia di queste popolazioni97.

Dopo aver assistito agli orrori del nazifascismo non si avrà traccia del genocidio di rom e sinti nelle aule di Norimberga. Nei decenni della Guerra Fredda i rispettivi blocchi si

94 http://www.unar.it/cosa-facciamo/strategie-nazionali/memoria-e-cultura/

95 Dichiarazione del Presidente Mattarella in occasione della Giornata internazionale dei Rom, Sinti e

Caminanti dell’8 aprile 2018.

96 L. Piasere, Scenari dell’antiziganismo. Tra Europa e Italia, tra antropologia e politica, Seid, Firenze 2012. 97 M. Stewart, The Time of the Gypsies, Westview Press, Boulder, 1997; Piasere, cit. 2004.

115

Outline

Documenti correlati