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107Ottanta, io e la mia famiglia vivevamo in America, ma i miei problemi di salute erano

Le voci e il silenzio

107Ottanta, io e la mia famiglia vivevamo in America, ma i miei problemi di salute erano

così seri che dovetti tornare in Germania. Decisi allora di schierarmi dalla parte di mia madre per lottare e ottenere un risarcimento, anche se questo significava separarmi dai miei due figli per molto tempo. È stata una lotta dura, e abbiamo sempre avuto paura che gli orrori del passato potessero ripetersi. Molti dei responsabili dell’Olocausto non furono mai puniti. Per esempio, il capo del “Dipartimento zingari” a Würzburg, Christian Blüm, dopo la guerra, ha lavorato presso il dipartimento di polizia di Würzburg, con un incarico di alta responsabilità.

Nonostante tutte queste esperienze, non provo alcuna amarezza. Sento invece una forte responsabilità e un desiderio: voglio che una cosa del genere non accada mai più.

Oggi faccio parte di una missione internazionale di pace, grazie alla Comunità di Sant’Egidio, che lavora per la pace in molti campi diversi. Quando ero ad Auschwitz con la Comunità, nove anni fa, ho raccontato la mia storia a più di 400 giovani provenienti da tutta Europa. Non è stato facile per me. Molti, molti della mia famiglia sono stati assas- sinati ad Auschwitz e leggere tutti i loro nomi su una lavagna e vedere le loro foto mi ha molto scosso. Ma ha cambiato anche qualcos’altro in me: l’incredibile sofferenza che ho visto lì, mi ha fatto capire che la sofferenza non si supera con l’odio ma con il perdo- no. Il perdono è una grande forza! Credo che solo il perdono costruisca il futuro, l’odio deve essere una cosa del passato. Il futuro può essere costruito solo con la comprensione reciproca. Non si può costruire nulla con l’odio. L’odio e la guerra non portano a nient’al- tro che a nuovo odio e distruzione, a divisione e nuova sofferenza. Io ho perdonato. Ho perdonato, ma non dimenticherò mai. Potrei raccontare per ore delle grandi sofferenze vissute dalla mia famiglia e dai miei amici, a causa delle persecuzioni, discriminazioni, sterilizzazioni forzate e violenze. Ma vorrei anche soffermarmi brevemente su ciò che noi viviamo oggi. Viviamo in tempi difficili. Il Coronavirus ci ha costretti a praticare il distanziamento sociale. Per me sono stati tempi difficili, senza incontrare amici, senza abbracciare i miei cari, ma per molte persone del mio popolo questi tempi sono stati un disastro. Molti rom, soprattutto nell’Europa dell’Est, sono seriamente minacciati. In questi Paesi, lo stato di salute di molti rom è già notevolmente peggiore rispetto alla maggioranza della popolazione. A causa dell’antiziganismo e dell’esclusione, vivono in povertà, in con- dizioni disumane: senza accesso ad acqua pulita, senza cibo a sufficienza, servizi igienici e cure mediche. C’è un rischio maggiore di diffusione del virus. Le scuole sono chiuse, molti genitori non sono in grado di insegnare ai bambini, gli mancano i mezzi per parteci- pare alla didattica online. I rom, come tanti, devono affrontare le conseguenze disumane della crisi. Mi duole il cuore sapere che la sofferenza del mio popolo continua a crescere.

La crisi del Coronavirus ha rivelato un altro gruppo vulnerabile: gli anziani. Gli anziani sono in pericolo. Il drammatico numero di morti negli istituti fa rabbrividire. In numerosi Paesi sta emergendo un modello pericoloso che favorisce l’“assistenza sanitaria selettiva” e che considera la vita degli anziani come un avanzo. Non dobbiamo accettare quella che papa Francesco chiama la “cultura dello scarto”. Nella cultura dei rom e dei sinti, la gene- razione degli anziani viene considerata un capitale, gli anziani portano con sé un tesoro di conoscenza e di esperienza. Questa generazione che ha combattuto le dittature, che ha lottato per la ricostruzione dopo la guerra e ha costruito l’Europa, non può essere lasciata morire. Non sono pessimista, perché so che insieme possiamo cambiare il mondo, perché diventi più umano! Costruiamo una società in Europa e nel mondo in cui i sinti, i rom e tutte le altre minoranze non siano più discriminati. Non restiamo in silenzio di fronte all’ingiustizia, alziamo la voce contro l’indifferenza! La pace inizia da ognuno di noi. Non odiamo coloro che ci sono estranei. Parliamo con gli altri, superiamo i nostri pregiudizi. Ho visto con i miei occhi che ogni pregiudizio può finire in un disastro, come Auschwitz.

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Estirpare il nomadismo dai bambini della Svizzera

Mariella Mehr 83

Sono nata a Zurigo nel 1947, in un mondo molto violento e la violenza è stata la prima cosa che ho conosciuto da bambina. Tra il 1926 ed il 1974, sono stata tra gli almeno 600 bambini sottoposti ad un progetto eugenetico in Svizzera che voleva eliminare tutti gli Jenische, i rom della Svizzera, come me. Era finanziato dallo Stato.

Prima hanno chiuso le frontiere e nessun rom o sinto è potuto più rientrare in quei con- fini, mentre per noi bambini, all’interno del Paese, cominciò l’allontanamento dai genitori, da allora non so più nulla di mia madre. Era vietata anche la nostra lingua. Ci hanno divisi dai genitori, in tanti sono stati mandati in orfanotrofio, per me è andata anche peggio, per- ché ero disobbediente e allora mi mandarono in un ospedale psichiatrico, dove a 5 anni mi facevano l’elettroshock. Ci hanno sterilizzati e tolto qualsiasi contatto con le nostre origini e con madri e padri. Iniziò tutto nel1926, è passata la guerra, ma hanno continuato anche dopo, così tanto a lungo.

Quando siamo tornati liberi, all’inizio ho combattuto politicamente, perché quanto subito fosse riconosciuto, poi mi sono dedicata alla scrittura di racconti e poesie. Avevo vissuto solo violenza ed allora solo pensando e lavorando sul mio pensiero ho potuto capire che non c’era solo quel tipo di risposta da poter dare. Vorrei dire un’ultima cosa: i rom, sinti, gli

jenische si sono sempre mossi per scappare, non abbiamo il nomadismo nel sangue, non è

genetica, ma per questo ci sterilizzavano e ancora per questo ci odiano oggi.

Poi Labambina giacque in un letto, mani e piedi legati alle sbarre,

i lacci di cuoio incidevano in profondità la carne, Labambina non lo sentiva,

fissava con gli occhi nudi il vuoto, aveva un sogno nel cervello,

il sogno di un dio nero che si sarebbe portato via tutti. che li avrebbe stritolati, sognava Labambina.

che avrebbe girato il destino a suo favore

e che le avrebbe permesso di abitare la terra, da sola.

Mariella Mehr, Labambina

83 Intervista a Mariella Mehr, Mantova 2006. Si vedano anche il volume di M. Mehr, Labambina, Effigie,

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