Attraversando Auschwitz
121leranza antizingara non riguardano solo frange politiche estremiste ma si insinuano
trasversalmente tra i cittadini (nello spazio urbano e rurale, in differenti classi di età, genere, condizione economica e sociale) e nei luoghi di dibattito più diversificati, anche in quelli istituzionali. Dalla narrazione storica al Web il pregiudizio cambia pelle ma non sostanza. Ecco perché oggi monitorare l’odio in rete è sempre più decisivo: comprendere le dinamiche della comunicazione odierna ed i frame del dibattito pubblico122, diven-
gono elementi imprescindibili per valutare, immaginare, costruire narrazioni differenti che possano incidere realmente sui pregiudizi e sugli stereotipi, contribuendo a definire punti di incontro e convivenza.
Nel corso del seminario “Ma perché tanto odio? Informazione, media e antiziganismo in Italia”, organizzato dall’UNAR123, accanto ad importanti contributi di carattere storico,
antropologico e giuridico, ai nostri fini risultano interessanti alcune conclusioni pre- sentate dai rappresentanti delle principali piattaforme social. Diego Ciulli, Public policy manager di Google Italia, nel suo intervento ha ribadito la necessità di “popolare” il Web di una narrazione differente a proposito di rom e sinti: “Sia su Google che su Youtube il
primo problema che abbiamo è raccontare la nostra storia, raccontare la vostra storia”.
Laura Bononcini, rappresentante Facebook e Instagram per l’Italia, nel corso del medesi- mo seminario, ha espressamente dichiarato: “Non ci sarà spazio per l’antiziganismo nelle
nostre Piattaforme”. Il corsivo è nostro ma evidenzia il medesimo concetto già espresso
in precedenza: quel “vuoto” di racconto nell’ambiente digitale lascia immediatamente spazio (solo) all’algoritmo nel trovare contenuti che possano riempirlo: in questo caso, prevalentemente, contenuti negativi.
Concludiamo questo breve percorso con le parole di Rita Prigmore124, sinta tedesca
sopravvissuta ad esperimenti eugenetici durante il nazismo. Il suo discorso, lucido su quanto subìto da rom e sinti in passato e sulle discriminazioni dell’oggi, è privo di qual- siasi retorica e traccia un percorso netto sul “come” riempire questo vuoto, costruendo una narrazione positiva: “Vorrei dirvi che non si può costruire nulla con l’odio. L’odio e la
guerra non portano altro che a nuovo odio e distruzione, a divisione e nuova sofferenza. Io ho perdonato, ma non dimenticherò mai. Miei cari amici, potrei raccontarvi per ore delle grandi sofferenze subite dalla mia famiglia e dai miei amici a causa delle persecu- zioni, discriminazioni, sterilizzazioni forzate. Ma vorrei soffermarmi sulle sofferenze che viviamo oggi … A causa dell’antiziganismo e dell’esclusione molti vivono in povertà, in condizioni disumane: senza accesso all’acqua pulita, cibo a sufficienza, cure mediche. Ma non sono pessimista perché so che insieme possiamo cambiare il mondo, perché diventi più umano. Costruiamo una società in Europa e nel mondo in cui sinti e rom e tutte le altre minoranze non siano più discriminate. Non restiamo in silenzio davanti alle ingiustizie. Alziamo la voce contro l’indifferenza. La pace inizia da ognuno di noi. Non odiamo coloro che ci sono estranei, parliamo con loro, superiamo i pregiudizi. Perché ho visto con i miei occhi che ogni pregiudizio può finire in un disastro, come Auschwitz”.
122 Su questi aspetti si vedano: G. Pitruzzella, O. Pollicino, S. Quintarelli, Parole e potere. Libertà d’e-
spressione, hate speech e fake news, Egea 2017; M. Binotto, M. Bruno, V. Lai (A cura di), Tracciare confini. L’immigrazione nei media italiani, Franco Angeli 2016.
123 Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) – “Ma perché tanto odio? Informazione, media
e antiziganismo in Italia”. Corso formativo per studenti di giornalismo, operatori del settore e attivisti rom e
sinti. 27-29 novembre 2019 – Città dell’Altra Economia, atti in fase di pubblicazione.
124 Trascrizione dal contributo video, raccolto da Sandro Luciani nell’ambito dell’evento nazionale pro-
mosso dall’UNAR nel 2020 per la commemorazione del 2 agosto 1944, anniversario della liquidazione dello
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Postfazione
di Leonardo Piasere
Sono sicuro che i nazifascisti che crearono in giro per l’Europa campi di sterminio e detenzione anche per rom e sinti, non si sarebbero mai immaginati quanto sarebbero diventati importanti quei campi, decenni dopo, per il riscatto politico di rom e sinti stessi. La mia è la sicurezza di chi vede nella stupidità dei razzismi – e quindi nella loro perico- losità – la loro incapacità di vedere quanto le sfumature del mondo siano positive per la creatività e il progresso del mondo stesso. Per quello che se ne sa, ad Auschwitz non furono deportati rom e sinti dall’Italia, ma anche per i discendenti di costoro quel luogo è oggi il simbolo attorno a cui si sta costruendo la memoria e il riscatto. Furono imprigionati in tanti altri campi, e che si chiamassero Agnone o Jasenovac, Tossicia o Lackenbach, Bolzano o Prignano o Perdasdefogu o altri ancora sconosciuti, il nome “Auschwitz” riunisce oggi tanti rom e sinti, morti e viventi, in quella comunità di sofferenza che dà il tono alle pagine di questo libro.
Mio padre raccontava spesso in famiglia di come riuscì a gettarsi dal treno che lo stava deportando in Germania in quanto disertore e partigiano. Ma non raccontava della sua precedente esperienza di soldato semplice dell’esercito italiano che, fino all’8 settembre 1943, occupava la Slovenia. Tanti anni dopo mi sono chiesto, troppo tardi per potermelo far dire, se per caso fosse stato coinvolto anche lui, in un qualche modo, nei rastrellamenti che colpirono rom e sinti sloveno-croati che venivano poi trasportati nei campi di con- centramento in Italia centrale. Quell’8 settembre fu una esperienza condivisa: tanti rom e sinti fuggirono dai campi di concentramento, si sparpagliarono per l’Italia e divennero partigiani; mio padre, con tanti suoi commilitoni, abbandonò la sua compagnia, tornò a piedi in Italia e divenne partigiano. Ma dopo il 25 aprile del 1945, tutto tornò come prima e la condivisione di un nemico comune venne meno. I rom e sinti che raccontano in queste pagine si sentono vittime tre volte: per quello che hanno subito i genitori in quei tempi, perché quelle sofferenze e quella loro partecipazione alla Resistenza non sono pienamente
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