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L’ALLESTIMENTO SCENICO DI CEROLI PER LA RIPRESA DELLA FANCIULLA DEL WEST DEL

LA FANCIULLA DEL WEST

L’ALLESTIMENTO SCENICO DI CEROLI PER LA RIPRESA DELLA FANCIULLA DEL WEST DEL

La ripresa della Fanciulla del West di Bolognini e Ceroli viene inserita nel cartellone 1983/1984 del Teatro dell’Opera di Roma722. Rispetto all’edizione precedente, cambia quasi tutto il cast: il direttore d’orchestra Giuseppe Patanè sostituisce Daniel Oren, mentre per quanto riguarda gli interpreti principali Galia Savova sostituisce Olivia Stapp e Corneliu Murgu prende il posto di Giuseppe Giacomini; ad impersonare lo sceriffo Rance è ancora, invece, Gianpiero Mastromei (fig. 12). Ma in questa ripresa «il fatto più nuovo riguarda la scenografia di Mario Ceroli. Lo scultore ha ridotto l’apparato della prima edizione, criticata da molti poiché finiva per debordare dall’opera»723, lo ha «rimaneggiato e rinnovato»724 fino a farne, a detta di Lanza Tomasi, Direttore artistico del teatro romano, «uno spettacolo, se non nuovo, quasi nuovo. Diversa è la scenografia dell’intero terzo atto, diverse le scene della foresta»725.

La messinscena di questa Fanciulla del West viene questa volta preparata sia con due bellissimi saggi pubblicati sul libretto di sala dello spettacolo, rispettivamente di Gianfranco Capitta e Franco Miracco726, sia con un incontro-conferenza con il pubblico alla vigilia della prima rappresentazione. In quest’ultima occasione Lanza Tomasi, che giustifica la ripresa dello spettacolo con il fatto che «nella stagione dell’80 si poté realizzare solo in parte il progetto scenografico di Ceroli», traccia in breve il disegno scenografico e registico di Ceroli e Bolognini in cui è inserito il melodramma: da loro grande sostenitore, spiega che i due «hanno voluto eliminare qualsiasi elemento realistico operando una sorta di mascheramento. Si tratta della prima opera di taglio contemporaneo su una vicenda che si

721 Erasmo Valente, Nel West di legno c’è una fanciulla, cit. 722

La Fanciulla del West è il secondo spettacolo del cartellone, e viene messo in scena il 30 dicembre 1983, il 3, 5, 8, 14, 17, 21 gennaio 1984.

723 Autore anonimo, “La fanciulla del West” a Roma con Ceroli nel foyer, «La Stampa», 3 gennaio 1984. Dello stesso parere è anche il

recensore del Mattino, che dice che l’apporto di Ceroli «nella precedente edizione, per una presenza visiva dei materiali, finiva con debordare alquanto dall’opera in sé»: cfr. Autore anonimo, Le sculture di Ceroli per il West di Puccini, «Mattino», 2 gennaio 1984.

724 Landa Ketoff, Minnie conquistaci ancora il West!, «Repubblica», 30 dicembre 1983. 725

Gioacchino Lanza Tomasi, in Ermanno Gargani, “Fanciulla” quasi nuova, «Paese Sera», 30 dicembre 1983.

726 Cfr. Gianfranco Capitta, La regia di Bolognini, in Teatro dell’Opera di Roma, La fanciulla del West di Giacomo Puccini, programma di sala,

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sottrae al mondo epico. Certo rappresentazione con connotati di verità, ma distacco dal mondo verista nella rappresentazione di un melodramma dai motivi svariati in cui si prefigura il musical, il teatro di divertimento»727. La singolare chiave di lettura prescelta da Bolognini è infatti quella del

musical americano: «“Ho voluto togliere – dice il regista – tutta la polvere di falso realismo che

sempre accompagna questa Fanciulla e immaginarmela come il primo esempio di quello che poi farà Brodway: una via di mezzo tra Sette spose per sette fratelli e West side story” […]. Ad aiutarlo in questa sua idea Bolognini ha voluto lo scultore Mario Ceroli. Dice Bolognini: “Gli scenografi, quando lavorano bene, tanto nell’opera quanto in teatro, sono il supporto migliore per un regista. Ma quando, come per la Fanciulla, le scene usate abitualmente risalgono all’epoca del fascismo, occorre il contributo di un grosso artista per tentare una innovazione registica”»728.

E così «l’operazione della regia va in questo caso di stretto concerto con la scenografia. Se è la frontiera californiana della febbre dell’oro ad essere evocata dal libretto di Belasco, Bolognini e Ceroli rinunciano al realismo nel senso del kolossal western. Saltando così a piè pari il rischio, che spesso corre la Fanciulla pucciniana, di finire in un Texas di maniera, che del cinema muto ha la povertà artigianale ma non il fascino»729.

Riquadrati il boccascena e la quinte da una cornice palizzata, il primo atto vede la Polka come interno da cui traspare la strada (fig. 13): ci sono il suo bancone e le sue ordinarie stoviglie; c’è ancora la parete di fondo, di trasparente cristallo, che accumula nei suoi riquadri tutti i segni di quella umana condizione: il carbone, i picconi e così via. Ceroli per questo atto crea una scena che dal punto di vista strutturale non si discosta da quella creata tre anni prima. È tuttavia una scena più ordinata, più sobria, più attinente alle didascalie sceniche del libretto. Gli spezzoni di rami che nella precedente edizione fuoriuscivano dalle pareti laterali vengono eliminati. Le vetrate della parete di fondo sono meno ingombre rispetto a quelle del 1980, e si notano oggetti – una ringhiera lignea, due finestre, una scala di profilo, lo schienale di una sedia – con cui Ceroli allude alla scaletta delle didascalie sceniche del libretto che porta ad un pianerottolo che sporge sulla stanza come un ballatoio, completamente assente nell’allestimento precedente.

Mentre nell’80 l’allestimento dell’artista per il primo atto era stato pesantemente criticato, ora viene rivalutato nella direzione opposta, e lo è soprattutto la parete di fondo, che «diventa insomma una cornice in grado di racchiudere un intero universo, un catalogare di pulsioni e repressioni che sono già esplicite, fuori, e prima, della vicenda. Come si potrebbe altrimenti reggere l’incongruenza di un luogo tipicamente ed esclusivamente maschile, dove lo svago principale è pero il ballo (fra chi?), e per di più gestito brillantemente dall’unica donna presente, a sua volta dichiaratamente casta?»730. Nel secondo atto la scena si restringe al privato alloggio di Minnie, umido e polveroso di paglia (fig. 14). Anche in questo caso Ceroli non apporta grandi innovazioni: le pareti del palco sono ancora coperte di paglia, come nel 1980. Vi è però una maggiore attinenza da parte di Ceroli alle didascalie di Civinini e Zangarini, dal momento che allude a quel solaio tanto importante dal punto di vista narrativo, che viene rappresentato da una ringhiera lignea appoggiata sulla parete sopra il letto, e a cui ipoteticamente si accede attraverso la scala a pioli addossata alla parete di fondo sulla sinistra. Anche qui, come nell’80, a questo locale sopraelevato non si può accedere, però si può notare un maggiore realismo da parte di Ceroli, che riduce dal punto di vista dimensionale quell’armadio/ripostiglio che tre anni prima ingombrava gran parte del palcoscenico.

727 Gioacchino Lanza Tomasi, in Ermanno Gargani, “Fanciulla” quasi nuova, cit. 728

Si. Ro., La “Fanciulla” per Bolognini è un musical, «La Stampa», 28 dicembre 1983.

729 Gianfranco Capitta, La regia di Bolognini, cit., p. 28. 730 Ibidem, p. 28.

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Per il terzo atto Ceroli interviene con un nuovo allestimento scenico (figg. 15 e 16) su cui tutti i critici puntano l’attenzione, e che viene recensito, subito dopo la prima, come «una rivelazione»731. Dimostrandosi, qui più che mai, aderente al testo, lo scultore elimina la paglia, gli spezzoni di tronco e i cavalli sostituendoli con una foresta lignea, tutta di sua creazione, che racchiude in sé lo spirito drammatico della vicenda narrata. «Una foresta: di abeti sì, ma ritagliati e profilati fino a comporre alberi antropomorfi, dalle venature dantesche. Basta un cambio di luce, nell’affollata radura a occidente dove nasce il sole, e il bosco si fa shakespeariano, il luogo magico che agisce come reattivo sulle umane passioni. Al centro la grande scultura di casa Ceroli, albero-totem-crocifisso, da cui pende la forca: a quel punto non c’è più bisogno di deus ex machina perche la Fanciulla faccia valere i diritti suoi, e del suo cuore, e salvi dalla corda il suo primigenio amore, lasciando l’intruso sceriffo nello scorno. C’è quasi una sollevazione popolare in scena, i minatori tripudiano e l’amore vince. E tutto quel legno, finalmente radioso e dorato, è già l’interno rassicurante di un domestico nido coniugale»732.

Ceroli trasla sul palcoscenico il suo Albero della vita del 1972 (fig. 13 di cap. 5.7), similmente a quanto aveva già magistralmente fatto per le messinscene della Norma e di Sancta Susanna733. La grande scultura di Ceroli si impone al centro del palcoscenico. Da un suo ramo pende il cappio, intorno al quale ruota tutta la vicenda, sia dal punto di vista narrativo che drammatico. Nell’allestimento della scena del terzo atto si verifica perciò un cambiamento importante perché l’artista sostituisce il ramo sporgente dalla parete laterale del 1980 con un albero ben saldo a terra e svettante verso il cielo collocato al centro della scena. Ceroli, tuttavia, non dimentica e non rinnega i suoi cavalli, quelli tanto criticati pochi anni prima. Anzi, li dirotta nell’atrio del teatro al primo piano, esponendoli «con felice intuizione»734 come sculture insieme ai disegni ed ai bozzetti di scena realizzati per il precedente allestimento della Fanciulla735 in una «bella mostra»736 a cui non rimangono indifferenti i critici teatrali.

Il contributo di Ceroli per l’allestimento dell’opera di Puccini non si ferma alle scene: infatti è autore anche del grande sipario di preziosa juta dipinto con soggetti che riassumono i temi della storia di Minnie in quel suo lontano West. Purtroppo non sono state trovate fotografie o immagini del sipario, ma i critici lo recensiscono positivamente, come «una composizione misteriosa e meravigliosa, di uomini e di cavalli che sa un po’ di fiaba russa»737.

L’ACCOGLIENZA CRITICA DELL’ALLESTIMENTO CEROLIANO DEL 1983

A distanza di tre anni, le recensioni evidenziano nei confronti del nuovo allestimento scenico ceroliano un mutato atteggiamento che, se non si può definire esattamente opposto, si caratterizza per l’elogio o, per lo meno, per la comprensione della scenografia.

731

Mya Tannenbaum, Le invenzioni di Ceroli per il Puccini-musical, «Corriere della sera», 2 gennaio 1984.

732 Gianfranco Capitta, La regia di Bolognini, cit., p. 28. 733

Cfr. rispettivamente i capp. 5.7 e 5.12.

734

Autore anonimo, Ecco la “Fanciulla” dal West a Roma, «Stampa», 2 gennaio 1984.

735 Il saggio di Franco Miracco pubblicato sul libretto di sala del Teatro dell’Opera è significativamente corredato dalle foto di scena del

precedente allestimento, nonché dalla riproduzione dell’opera Battaglia e dei bozzetti di scena che Ceroli fece in occasione del suo primo allestimento della Fanciulla. In particolare, quello pubblicato sulla prima pagina del suddetto saggio riguarda proprio il terzo atto e si caratterizza per lo splendido, violento contrasto tra lo schieramento sicuro delle forme e le azioni innegabili del colore, straripante fuori dalle forme.

736 Mya Tannenbaum, Le invenzioni di Ceroli per il Puccini-musical, cit. 737 Ibidem.

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A differenza delle scene dei primi due atti, di cui si apprezza semplicemente il fatto che «Ceroli, in questa edizione, ha costruito apposta il mobilio»738 «e le suppellettili che prima erano di “trovarobato”»739, quella del terzo diventa oggetto dell’attenzione dei critici, i quali apprezzano che «al posto di una suggestiva carica di cavalli […] sia comparsa una fitta selva di alberi, molto più funzionale alla trama dell’opera»740 «con quegli alberi quasi antropomorfici»741: una «bellissima scena […], una foresta di tronchi nudi in cui l’opera termina con la vittoria dell’amore sulla morte»742, un «bosco [che] esplode drammatico e brullo, fantasma musicale di espressiva e immota gestualità»743. Ad una attenta osservazione delle foto di scena, si nota che i tronchi di Ceroli compaiono in tutti gli atti, diventando così il fil rouge che significativamente lega tra loro tutti gli ambienti e le vicende dell’opera pucciniana. In «questa edizione romana che riprende quella incompleta del 1980», scrive acutamente Delogu, «Leitmotiv della scenografia dei tre atti dell’opera di Puccini erano i tronchi lisci, “vivants piliers” del tempio che è la natura, secondo le

Correspondances di Baudelaire. Sagome d’alberi nelle aeree trasparenze simboliche della vitrea

iconostasi del primo atto. Tronchi sul proscenio ad inquadrare la pesante materialità della capanna di paglia del secondo atto. Palcoscenico affollato di alberi che circondano il capestro destinato a Dick, nell’ultimo atto. Lettura fortemente simbolista quella che Bolognini, regista, e Ceroli, scenografo, hanno dato di un’opera in genere considerata verista e, come tale, interpretata con dovizia di particolari facendo il verso all’epopea dei cercatori d’oro che il cinema, con il suo realismo, ci ha fatto conoscere minuziosamente […]. L’alleggerire il naturalismo documentario tendeva, forse, ad evitare quello che è da sempre uno dei difetti dell’opera di Puccini: la grande frattura esistente tra una storia francamente esile, un libretto non felice e una musica interessante e modernissima per i suoi tempi»744.

Di parere nettamente opposto è invece Celli, che dalle pagine del Messaggero critica la scelta registico-scenografica dei tronchi d’albero che delimitano il proscenio in tutti gli atti perché incongruente con le disposizioni librettistiche, e scrive: «Quanto alle scene […] non c’è da ripetere ciò che scrissi nel 1980. Ceroli è bravo; col legno sa fare cose bellissime; ma non è pittore di “teatro” […]. Per il terz’atto ha rifatto la sua scena, che nell’80 comprendeva alcuni ridicoli cavalli di legno, e ha disposto una sequenza di tronchi nudi e bianchi, di legno dolcissimo. L’effetto è di per sé stupendo; ma non ha nulla a che fare con la grande selva californiana voluta da Puccini […]. Inoltre […] ha disposto che il cappio della forca al quale Johnson rischia d’essere appeso, appaia sia nel primo sia nel second’atto, oltreché nel terzo. Ma scherziamo? Quel cappio dev’essere preparato all’ultimo minuto; ma “con ritardo” (come Nick intima a Billy), affinché Minnie possa fare in tempo a giungere per salvare l’amato»745.

I critici evidenziano anche la maggiore aderenza alle indicazioni librettistiche delle scene del 1983 rispetto a quelle del 1980, frutto di uno spostamento verso un maggiore realismo delle scene. «Ceroli […] ha temperato molto stavolta certe astrattezze e simbolismi presenti nel secondo e nel terzo atto e che suscitarono riserve e dissensi da più parti, sia del pubblico che della critica […]. Ha tolto stavolta cavallucci allusivi e richiami astratti, sottolineando meglio alcuni elementi naturalistici, come l’interno di paglia della casetta di Minnie nel secondo atto e la presenza degli alberi, piuttosto spogli

738

Autore anonimo, “La fanciulla del West” a Roma con Ceroli nel foyer, cit.

739 Autore anonimo, Le sculture di Ceroli per il West di Puccini, cit. 740

Autore anonimo, Ecco la “Fanciulla” dal West a Roma, cit.

741

Enrico Cavallotti, “La fanciulla del West si toglie un po’ di legno, «Tempo», 2 gennaio 1984.

742 Landa Ketoff, Minnie, la prosperosa “Fanciulla del West”, «Repubblica», 3 gennaio 1984. 743

Mya Tannenbaum, Le invenzioni di Ceroli per il Puccini-musical, cit.

744 Maria Delogu, Fanciulla (simbolista) del West, «Popolo», 3 gennaio 1984. 745 Teodoro Celli, La massaia del West, «Messaggero», 2 gennaio 1984.

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in verità, della foresta californiana del terzo atto»746. Da questo punto di vista, ancora una volta le recensioni sono contrastanti: ad esempio Cavallotti apprezza il tentativo di Ceroli «d’affrontare La

fanciulla del West in una chiave scenografica stilizzata e “liberatoria” usando il materiale a lui caro: il

legno» per far fronte alle incongruenze intrinseche del libretto. Nel 1980 però «l’esito era risultato assai dubbio […]. Ora, stagionato il legno, la stilizzazione s’è acquietata; s’avverte un poco più di realismo, sì da beccheggiare fra la vecchia fuga dal dato testuale e la presa di coscienza di esso»; ma, nonostante tutto, «resta il “grigiore”», poiché l’impianto scenico «poco si addice a contenere i riferimenti dell’azione drammatica»747. Di parere nettamente opposto è invece Valente, che scrive che questo West ha «una preziosa cornice scenica, dovuta a Mario Ceroli. Il West, nelle scene, vive con memoria, variamente filtrata, dei grandi fatti accaduti intorno alla ricerca dell’oro. E i fatti hanno i loro simboli nella grande “grata” che costituisce una parete del Saloon, con i riquadri pieni appunto di memorie: fucili; bare (ce n’è una a testa in giù, posta di fronte a un leggio, quasi fosse la custodia di un violoncello); selle; abiti; bilance; cappelli; manichini; sagome di uomini e donne dietro i vetri delle finestre; sagome di cavalli: tutto un mondo di legno, con varianti nella paglia (di paglia insaccata è foderata la stanza di Minnie) e nel legno degli alberi che sono “nudi”, privi di foglie, tronchi senza corteccia. In questo legno allusivo, il naturalismo dei personaggi e della folla crea una spaccatura tra la componente scenica e quella musicale, incline ad ignorare il contrappunto ligneo»748.

In effetti, molte recensioni evidenziano il netto contrasto tra il simbolismo delle scene di Ceroli da una parte, e il naturalismo della musica, dei personaggi e dell’impostazione registica dall’altra. E tra le due fazioni, «va detto subito che protagonista indiscussa di questa rappresentazione è stata la scenografia di Mario Ceroli, artista destinato a sconfinare negli spazi teatrali proprio per i significati e gli effetti di cui si carica la sua materia preferita, il legno […]. Ceroli ha riproposto le scene ideate per la Fanciulla di tre anni fa, aggiornandole di non insignificanti particolari»749. Dello stesso parere è Tannenbaum, che definisce «splendida» la «scenografia di Mario Ceroli, cresciuta, per così dire, su se stessa. Arricchita e, in parte addirittura sostituita da nuove invenzioni al terzo atto […]. Alla regia c’è ancora Mauro Bolognini, un nome di sicuro prestigio; solo che il succoso realismo barocco di Bolognini risulta perdente accanto all’astratta ironia delle scene di Ceroli»750. Per alcuni la linea registica, «quieta»751 e poco incisiva, è conseguenza della volontà di Bolognini di non far emergere, con una lettura troppo incisiva, la debolezza della vicenda e la caducità dei personaggi della Fanciulla. Ma il risultato è quello di aver rappresentato una «“Fanciulla” avara di grandi emozioni»752: Galia Savova, nei panni di Minnie, ha risposto scarsamente alle attese con una prestazione vocale appena sufficiente e senza molta autorità; gli altri interpreti hanno suscitato, allo stesso modo, poco entusiasmo; «e la stessa confusione dei costumi (gente in pelliccia, pantofole o stivali) fa di questo West un luogo assai strano»753. Lodato invece è il maestro Patanè per aver diretto con sicurezza la musica ricca di fraseggi.

Il successo di questa messinscena è moderato. Il pubblico applaude, ma poco convinto. I recensori si muovono fra pareri discostanti, a volte addirittura opposti l’uno all’altro, soprattutto per quanto riguarda l’operato di Bolognini e di Ceroli. Questi ultimi, dal canto loro, si muovono insieme sulla medesima lunghezza d’onda. La disparità di giudizi e lo scarso successo dello spettacolo mettono in

746

Ennio Melchiorre, Non entusiasma “La fanciulla del West” con Galia Savova, cit.

747 Enrico Cavallotti, “La fanciulla del West” si toglie un po’ di legno, «Tempo», 2 gennaio 1984. 748

Erasmo Valente, Minnie si è persa nel Far West, «Unità», 3 gennaio 1984.

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Autore anonimo, Ecco la “Fanciulla” dal West a Roma, cit.

750 Mya Tannenbaum, Le invenzioni di Ceroli per il Puccini-musical, cit. 751

Enrico Cavallotti, “La fanciulla del West si toglie un po’ di legno, cit.

752 Ennio Melchiorre, Non entusiasma “La fanciulla del West” con Galia Savova, cit. 753 Erasmo Valente, Minnie si è persa nel Far West, cit.

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evidenza allora come, ancora una volta, regista e artista intervengano innovando la tradizione, con una scelta e in una direzione non immediatamente capite o accolte da tutti. Ceroli, dal canto suo, in questa nuova edizione si dimostra più fedele all’opera pucciniana, soprattutto con la scena del terzo atto, ma paradossalmente non cade nella maniera, poiché non propone il West codificato dalla tradizione, bensì un mondo affascinante che racchiude in sé tutto lo spirito del West: gli unici elementi reali presenti in scena sono solo la paglia del secondo atto e le foglie spazzate dal vento del terzo. Ceroli opera in linea con la volontà registica di Bolognini, che legge La fanciulla come il prototipo del musical americano. Per questo il regista abbandona la strada del realismo e compie volontariamente delle infrazioni sul testo. Significativamente sul libretto di sala della stagione 1983/1984 del Teatro dell’Opera si legge: «Bolognini e Ceroli continuano a corteggiare La fanciulla

del West e dopo due anni la riportano sul palcoscenico dell’Opera. Vestita e completata come non

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