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CENNI BIOGRAFIC

3. MARIO CEROLI: UNO SCULTORE DALL’ANIMA SCENOGRAFICA

3.1. CENNI BIOGRAFIC

Mario Ceroli nasce a Castel Frentano, in provincia di Chieti, il 17 maggio 1938. A soli dieci anni si trasferisce a Roma con la famiglia. Qui si iscrive all’Istituto Statale d’Arte148 in via di Conte Verde, dove frequenta dapprima le lezioni di Gerardi, Ziveri, Fasolo, Guerrini e Mazzullo, con Tano Festa per compagno di banco, e poi il corso di perfezionamento in ceramica tenuto da Leoncillo Leonardi, di cui diventa assistente per qualche anno. Nello stesso periodo lavora anche con Pericle Fazzini ed Ettore Colla, per i quali lavora la sera, fuori dallo studio di Leoncillo. Finiti gli studi superiori, Ceroli si iscrive all’Accademia di Belle Arti, ma insoddisfatto abbandona i corsi dopo solo due mesi. Sempre all’Accademia segue invece con grande interesse i corsi serali tenuti da Toti Scialoja, attraverso i quali entra in contatto con le ricerche dell’Action Painting e con il nuovo clima artistico americano. Intorno alla metà degli anni Cinquanta, nel suo studio in un sotterraneo di via Gregoriana, Ceroli realizza le sue prime sculture in ceramica, che verranno esposte a Roma in una personale presso la Galleria San Sebastianello nel 1958 e all’edizione del Premio Gubbio dello stesso anno.

Allo scadere del decennio, influenzato dall’opera di Burri, da cui viene folgorato a partire dall’incontro con due suoi Sacchi esposti alla Quadriennale romana del 1955, compie una svolta decisiva nelle sue ricerche: abbandona la ceramica e inizia un’intensa stagione di sperimentazione con il legno, materiale con cui concepirà tutte le sue opere più importanti. Nel 1958, infatti, realizza

Senza titolo, un semplice tronco di albero trafitto da chiodi149. Nel 1960, con una di queste nuove sculture in legno, Ceroli ottiene il Premio per la giovane scultura nell’ambito del Concorso a premi

d’incoraggiamento ad artisti 1960 del Ministero della Pubblica Istruzione, presso la Galleria

Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Dopo questo primo importante riconoscimento, tra il 1960 e il 1962 l’artista lascia la capitale per compiere il servizio militare. Al suo rientro, distrugge molte delle opere realizzate fino a quella data e, sempre utilizzando il legno, solo talvolta frammisto ad altri materiali, riprende il suo lavoro da alcuni semplici elementi iconografici e semantici, lettere, numeri e figure stilizzate. Tra il 1963 e il 1964 realizza opere come Si + No, Orologio, Telefono, tutte in legno,

Numero Tre, in lamiera ondulata, Numero Uno, in lamiera e legno150. Queste sono le sculture che Plinio De Martiis, direttore della Galleria romana La Tartaruga, vede nello studio dell’artista all’inizio del 1964 e che subito presenta nella sua galleria accanto alle opere di Franco Angeli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo e Cesare Tacchi in una mostra collettiva nel giugno dello stesso anno.

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L’approccio di Ceroli al mondo dell’arte avviene casualmente, a seguito di una “svista” dei genitori, che in realtà avrebbero voluto indirizzarlo verso una professione più sicura, come lo stesso artista ricorda: «Mio padre e mia madre volevano fare di me un impiegato dello Stato o un perito elettrotecnico e mi hanno iscritto alla scuola Galileo Galilei, che comprende tre sezioni: l’Istituto Tecnico, l’Istituto Tecnico Industriale e l’Istituto d’Arte. Mia madre una mattina mi ci ha portato. Aveva paura a prendere l’ascensore e siamo saliti a piedi. Al prima piano c’era l’Istituto d’Arte, la mamma era stanca, si è fermata e mi ha iscritto a quell’istituto». Cfr. «Bolaffi Arte», 1972, p. 49.

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Una mattina d’autunno del 1958, mentre è fermo al semaforo sul Lungotevere dei Mellini, Ceroli si accorge che lì stanno potando dei platani. Osserva uno di quei tronchi, e lo trova neutro, scabro, un niente, ed estremamente, incredibilmente bello. Quindi se ne fa dare uno e in studio, dove possiede una serie di strumenti atipici per l’artista, inizia a infilzarci chiodi con il martello. Ne fuoriesce una delle opere cruciali dell’arte contemporanea di Roma, l’unica città che all’epoca è in relazione con New York. Cfr. Mario Ceroli, dvd, 01 Distribution, Roma 2007.

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Tramite il nuovo rapporto stabilito con Plinio De Martiis, nella seconda metà degli anni Sessanta Ceroli si avvicina al gruppo di artisti romani sostenuti da La Tartaruga e dalla Galleria La Salita di Gian Tommaso Liverani: tra gli altri, Mario Schifano, Pino Pascali, Cesare Tacchi, Renato Mambor, Sergio Lombardo, Giosetta Fioroni, Franco Angeli, Jannis Kounellis. Un gruppo eterogeneo, che pur non avendo mai fatto dichiarazioni comuni d’intenti, si ritrova coeso e partecipe di un cambiamento di clima che interessa non solo l’arte italiana ma anche quella internazionale. Le opere di questa nuova generazione di artisti si affrancano dalla poetica informale, ampiamente diffusa a Roma in quegli anni, e si collocano, come scrive allora Pierre Restany, «entre les Neo-Dadas et les Nouveaux

Realistes»151, mentre condividono con la Pop Art sia la ripresa di una figuratività compromessa con il tempo presente, sia il progressivo sconfinamento dell’opera d’arte oltre i limiti spaziali che le erano propri per tradizione.

Nella seconda metà del 1964, Ceroli realizza le opere Asso di fiori, Eurovision, Telestar, La pantera, e in alcune sculture introduce sagome e forme stilizzate della figura umana, come in Uomo di

Leonardo, in Adamo ed Eva, in Mister e in Miss Universo. Molti di questi lavori vengono raccolti nella

prima personale che l’artista tiene alla Galleria La Tartaruga nel novembre 1964. L’anno successivo Ceroli prende parte a numerose mostre collettive e a dicembre tiene la sua seconda personale sempre alla Tartaruga dove, presentata da Giorgio De Marchis, espone La scala, La casa di Dante, Il

balcone, La fontana (tutte riunite nell’opera Piazza d’Italia), Piper, Le ombre, Ultima cena e Mobili nella valle.

Alla fine del 1965 Ceroli comincia a lavorare alla Cassa Sistina, opera che viene presentata l’anno successivo a Venezia in occasione della XXXIII Esposizione Biennale d’Arte e che gli vale il Premio

Gollin per la scultura. Nel 1966, oltre a partecipare a numerose mostre collettive e a ricevere il primo

premio per l’opera Balcone nell’ambito del XII Premio Spoleto, Mostra Nazionale di arti figurative, tiene due nuove mostre personali. La prima è ordinata alla Galleria milanese Il Naviglio dal 10 al 23 febbraio ed è presentata da Gillo Dorfles, che nel suo scritto si sofferma sull’importanza dell’elemento seriale nelle sculture di Ceroli, come dimostrano le due opere riprodotte in catalogo,

Piper e L’ultima cena. La seconda si apre a novembre alla Tartaruga, con in catalogo un testo di

Maurizio Calvesi e una lettera di Goffredo Parise. Nelle quattro opere in mostra – La Cina, Il

collezionista, La fila e Burri – l’artista approfondisce e sviluppa il tema del rapporto della scultura con

lo spazio e quello, strettamente connesso, dell’interazione dell’opera con lo spettatore.

Dal settembre 1966 al dicembre del 1967 Ceroli si trasferisce negli Stati Uniti e ad aprile tiene una mostra personale presso la Bonino Gallery di New York, dove espone Farfalle, una serie di sculture in legno o lamiera ondulata indossabili dagli uomini, realizzate durante i primi mesi del suo soggiorno americano. Nell’aprile 1967 si apre a Bologna, presso la Galleria De’ Foscherari, la mostra 8 pittori

romani. L’esposizione riunisce i lavori degli artisti della «Scuola di Piazza del Popolo, ovvero i Pop

romani», come scrive Calvesi nel catalogo: Angeli, Ceroli, Festa, Fioroni, Kounellis, Pascali, Schifano e Tacchi152. Durante l’estate del 1967 Ceroli rientra per qualche mese in Italia. A giugno partecipa, insieme a Umberto Bignardi, Jannis Kounellis, Pino Pascali, Mario Schifano, Piero Gilardi e Pistoletto, alla mostra Fuoco, Immagine, Acqua, Terra, curata da Maurizio Calvesi e Alberto Boatto alla Galleria L’Attico di Roma. In catalogo sono riprodotte le due sculture Burri e La scala. A luglio dello stesso

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Citato in Maurizio Calvesi, Rosella Siligato (a cura di), Roma anni ’60: al di là della pittura, catalogo della mostra, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 20 dicembre 1990 - 15 febbraio 1991, Edizioni Carte Segrete, Roma 1990, p. 11. Per Neo-Dada, all’epoca, si intende una serie di esperienze varie volte al superamento dell’Informale: cfr. Maurizio Calvesi, Le due avanguardie, dal futurismo alla pop art, Lerici, Milano 1966.

152 Maurizio Calvesi, 8 pittori romani, catalogo della mostra, Bologna, Galleria De’ Foscherari, 8 aprile – 28 aprile 1967, Galleria De’

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anno è tra gli artisti riuniti a Foligno nella mostra Lo spazio dell’immagine, dove espone l’opera

Gabbia, ora nota col titolo Centouccelli. Entrambe le mostre sono oggi considerate molto importanti

per le indicazioni che fornirono sul cambiamento di clima che stava interessando l’arte italiana, e non solo. Le opere che vi furono raccolte illustravano alcuni aspetti che di lì a poco sarebbero confluiti nella poetica dell’Arte Processuale e dell’Arte Povera: una generale tendenza a superare i limiti oggettivi propri per tradizione all’opera d’arte, uno sconfinamento di questa nello spazio e una nuova diffusa attenzione per la fisicità naturale dei materiali.

Pochi mesi dopo Ceroli prende parte anche alla prima mostra, organizzata da Germano Celant, della compagine dell’Arte Povera. Espone, infatti, l’opera 500 Fiat nella sezione Im-spazio della mostra

Arte Povera e Im-Spazio che si tiene alla Galleria La Bertesca di Genova dal 27 settembre al 20

ottobre 1967. Insieme a lui, tra gli altri romani presenti all’esposizione vi sono Bignardi, Kounellis, Mambor, Mattiacci, Pascali e Tacchi, tutti artisti che «operano già da tempo», scrive Celant, «in questa nuova dimensione progettuale, che mira ad intendere lo spazio dell’immagine, non più come spazio contenitore, ma come “campo” di forze spazio visuali»153.

Sempre nel 1967 Ceroli partecipa a diverse altre mostre collettive in Italia e a settembre, prima di ripartire per gli Stati Uniti dove si tratterrà fino alla fine dell’anno, le sue sculture vengono selezionate per tre importanti mostre all’estero: l’Exhibition of contemporary italian art al National Museum of Modern Art di Tokyo, la IX Biennale di San Paolo del Brasile al Museo d’Arte Moderna di San Paolo e la V Biennale de Paris al Musée d’Art Moderne di Parigi.

Il 1968 si apre con tre nuove personali: la prima alla Galleria Il Naviglio di Milano, dove l’artista espone Progetto per la conservazione del corpo umano (1967), consistente in tre piramidi alte circa due metri, una in legno, una in lamiera zincata, una in mattoni; la seconda alla Galleria Sperone di Torino, dove propone la stessa opera presentata al Naviglio insieme alla Sala ipostila e a un cassone in rete metallica che Gilardi aveva riempito di pietre di poliuretano; la terza, infine, alla Galleria De’ Foscherari di Bologna, dove presenta L’aria di Daria. Il 1968, oltre a segnare l’inizio della sua fertile collaborazione con il teatro, è anche l’anno in cui i suoi lavori vengono inclusi, per l’ultima volta, tra le ricerche del gruppo Arte Povera154. Ceroli partecipa infatti a due mostre, entrambe curate da Celant, dal titolo Arte povera: una allestita a Bologna presso la Galleria De’ Foscherari dal 24 febbraio al 15 marzo, dove espone il Progetto di grande sfera, l’altra a Trieste al Centro Arte Viva - Feltrinelli dal 23 marzo all’11 aprile155. A maggio è di nuovo alla Galleria La Tartaruga insieme, fra gli altri, ad Angeli, Boetti, Castellani, Fioroni, Mambor, Paolini e Tacchi, in occasione del Teatro delle Mostre: una rassegna, curata da Calvesi e durata un mese, in cui ogni sera un artista diverso era invitato a realizzare un’opera. Nel giugno dello stesso anno è per la seconda volta a Venezia alla XXXIV

Esposizione Biennale d’Arte, dove presenta l’opera Ombre, all’interno della sezione Linee della ricerca: dall’informale alle nuove strutture, nel Padiglione Centrale della rassegna.

Il decennio si chiude con l’ampia mostra antologica che gli viene dedicata a Parma, a cura dell’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università, introdotta da un lungo scritto di Arturo Carlo Quintavalle. Nel

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Germano Celant, Arte povera e Im-spazio, catalogo della mostra, Genova, Galleria La Bertesca, 27 settembre-20 ottobre 1967, pp. non numerate.

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Cfr. Germano Celant, Arte Povera, Giunti, Milano 2012.

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In occasione di queste prime mostre del raggruppamento celantiano, che i membri della Scuola di Piazza del Popolo avevano preparato e nutrito attraverso una felice metamorfosi dell’eredità di Burri, Ceroli é definito dallo stesso Celant «l’autentico costruttore povero» per la sua scelta di usare il legno, esibito nelle sue grezze accidentalità naturali, con le giunture in vista delle tavole, i diversi spessori, le diverse fibre e tonalità. Tuttavia, più tardi ne viene volutamente tenuto a distanza, in seguito a una “epurazione” degli artisti romani nella prospettiva di una rivincita regionale, o meglio torinese - Pascali era nel frattempo morto mentre Kounellis si dimostrava fedele -. Calvesi sottolinea d’altro canto la profonda differenza tra le ricerche di Ceroli e quelle dei poveristi, ossia «l’estraneità [del primo] ad un simile progetto di rinuncia alla definizione della forma» dei secondi. Cfr. Maurizio Calvesi (a cura di), Ceroli: Firenze, 14 luglio-16 ottobre 1983, catalogo della mostra, Firenze, Forte Belvedere, 14 luglio – 16 ottobre 1983, La Casa Uscher, Firenze 1983, p. 14.

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Salone delle Scuderie della Pilotta, nel febbraio 1969, vengono infatti raccolte cinquantatre sculture che ripercorrono tutta la sua attività, insieme ad una quarantina di disegni e collages. Oltre a questa retrospettiva, che testimonia l’importanza da subito attribuita al suo lavoro, a partire dal 1969 si moltiplicano le occasioni di esporre in Italia e all’estero. Quell’anno, ad esempio, realizza diverse mostre personali: a Berlino alla Galerie René Blok, ad Hannover alla Galleria Dieter Brunsberg, a Milano alla Galleria Il Naviglio, a Pesaro alla Galleria Segnapassi, a Napoli alla Modern Art Agency, a Karlsruhe al Badischer Kunstverein e a Bruxelles presso il Palais des Beaux-Arts. In estate è tra i partecipanti della VIII Biennale d’Arte Contemporanea di San Benedetto del Tronto – Al di là della

pittura, allestita presso il Palazzo scolastico Gabrielli dal 5 luglio al 28 agosto. A ottobre espone con

Kounellis, Marotta e Pascali alla mostra, curata da Calvesi, 4 artistes italiens plus que nature al Musée des Arts Décoratifs a Parigi, dove presenta l’opera Labirinto.

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, le occasioni di confronto e di lavoro che per un’intera generazione di artisti si erano create intorno ad alcune gallerie della capitale, prima fra tutte La Tartaruga, si diradano sempre più, lasciando inevitabilmente un vuoto nel sistema di aggregazione delle ricerche d’avanguardia. Ceroli percepisce molto bene questo cambiamento e trova un nuovo luogo d’azione nel suo studio, in via del Fontanile Arenato, nella zona La Pisana di Roma, dove si adopera a perseguire «un arricchimento dei propri mezzi espressivi, una magnificazione sempre più imponente della manualità, sia nella ricerca della materia, sia nell’affermazione quale tecnica della sua ludica e induttiva prassi operativa»156. L’artista continua così a esplorare e ad approfondire alcune delle problematiche che sin dagli esordi negli anni Sessanta avevano interessato la sua opera, raggiungendo nei decenni successivi sviluppi sempre inediti. Negli anni che seguono, Ceroli crea singole sculture che per le loro dimensioni via via più ampie invadono letteralmente l’ambiente in cui vengono collocate, come accade in Primavera del 1968, in Albero

della vita del 1972, in Curve di livello dell’uomo, presentata lo stesso anno in occasione della

personale dello scultore al Palazzo Ducale di Pesaro, o in Un anno d’amore, esposta nel 1973 alla Galleria De’ Foscherari di Bologna in una personale dal titolo Le idee direttrici. Negli stessi anni, poi, realizza vere e proprie installazioni, come il Progetto per la pace e per la guerra del 1969, una superficie di sabbia, variamente estensibile, su cui sono issate bandiere bianche alte quattro metri, e

Battaglia, un insieme di sagome ed elementi in legno con inserti di stoffa, allestita per la prima volta

alla Galleria De’ Foscherari di Bologna nel 1979. Simile impostazione ambientale hanno ancora nel decennio successivo Il Quinto Stato (1984) e, in anni recenti, Ripensandoci (2000) e Rissa (2001), composta da trentuno figure in legno dipinto. L’artista sempre così procedere, in una sempre più articolata indagine sullo spazio, dalla scultura all’installazione, e da questa alla realizzazione di opere ambiente. Di queste ultime la più complessa e impegnativa è stata l’esecuzione del decoro degli interni della chiesa di Portorotondo in Costa Smeralda, a cui l’artista lavora dal 1971 al 1975. Questo progetto è solo il primo di una serie di opere di arte sacra che Ceroli realizza a partire soprattutto dalla fine degli anni Ottanta, come la chiesa Santa Maria Madre del Redentore a Tor Bella Monaca a Roma, nel 1987, la Chiesa del Centro Direzionale di Napoli, nel 1990, e la Cappella dell’Istituto Superiore di Polizia di Roma, nel 2004.

A un passo dalla scena del teatro, infine, Ceroli giunge a realizzare vere e proprie azioni e

performance. In Io, piramide di ghiaccio, realizzata in occasione del Festival dei Due Mondi di Spoleto,

nel 1969, l’artista costruisce una piramide di mattoni di ghiaccio sul cui vertice pende una sfera di acciaio contenente carbone ardente. Mentre nel Progetto per il Mulino Stucky, proposto a Venezia

156 Luigi Ficacci (a cura di), Mario Ceroli, Carte, catalogo della mostra tenutasi a Roma presso l’Istituto Nazionale per la Grafica-Calcografia

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nel 1975, Ceroli realizza in Piazza San Marco un’enorme cassa di legno, che provocatoriamente ha riportati sui lati i nomi di tutti gli artisti invitati dall’ente della Biennale a presentare un reale progetto per l’edificio del mulino. Terminata la costruzione, la cassa venne trasferita alla Giudecca e lì bruciata dall’artista.

Nel corso del decennio successivo, Ceroli sembra esplorare forme più tradizionali di costruzione dello spazio scultoreo. Nel gennaio del 1982 presenta, contemporaneamente alla Galleria La Tartaruga di Roma, alla Galleria De’ Foscherari di Bologna e allo Studio Marconi di Milano, diverse parti di uno stesso ciclo di dipinti su intavolato ligneo, realizzati nel 1981, con protagonisti i Bronzi di Riace. Pur continuando ad utilizzare il legno, Ceroli elimina in queste opere la terza dimensione. Le tavole tornano ad essere tavole per dipingere, le ombre senza spessore dei Bronzi si aggirano in vuoti spazi prospettici di stampo rinascimentale. L’anno successivo, nell’ampia mostra retrospettiva che viene presentata al Forte Belvedere di Firenze, espone di nuovo questo ciclo di dipinti, ma anche una serie dei Ritratti greci (tra cui Andromaca ed Ettore del 1982, Giove e Ritratto di nobildonna romana, entrambi del 1983), sculture in cui, esattamente al contrario delle tavole dipinte, Ceroli comincia a usare il tuttotondo, pur sempre ottenuto con l’unione di lamine di legno. Sulla scia di queste ricerche realizzerà anche nel 1987 il Cavallo alato per la sede di Saxa Rubra della Rai, il cui primo progetto viene presentato alla Biennale di Venezia nel 1988 col titolo Viaggiare nel 2001, e tra il 1985 e il 1990 l’insieme Discorsi platonici sulla geometria, che si presenta come installazione costituita da un gruppo di otto sculture a collocazione complessiva variabile, similmente a quanto risulta in altri significativi insiemi che caratterizzano il suo lavoro negli ultimi anni, da Sesto senso (1999) a La rissa (2001), ai Pinocchi (2002), fino a Sette personaggi in cerca d’identità (2003).

Sempre a partire dalla fine degli anni ’70, Ceroli inizia anche a utilizzare nelle sue sculture una sempre più ampia gamma di materiali. Da un lato, tra il 1979 e il 1980, stabilisce un rapporto più diretto con la natura vegetale del legno, materiale che resterà sempre il suo più congeniale. Così per esempio in una serie di opere, tra cui Pier delle Vigne (1979), Saturno che divora il figlio (1979),

Nascita di Venere (1979-1980), tutte presentate per la prima volta alla personale La foresta analoga

tenuta alla Galleria Mario Diacono di Roma nel 1980, Ceroli inserisce piccoli tronchi naturali prima che vengano lavorati e tagliati in tavole, rami, paglia e spighe di grano. In altri casi, i materiali più diversi, anche di origine industriale, come il vetro, la stoffa, la gomma, la carta, la lana, la rete metallica, il nastro adesivo, la terra colorata, il filo di ferro spinato vengono utilizzati in alcune parti delle sue opere, come avviene per esempio nel già citato Labirinto (1969), in Tutte le bandiere del

mondo (1969), Tavole di Mosè (1990), I colori del sole (1993), o nel più recente Sette personaggi in

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