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AMORE E MORTE: UN BINOMIO DI COLOR

ADDIO FRATELLO CRUDELE

AMORE E MORTE: UN BINOMIO DI COLOR

Giovanni e Annabella sono i protagonisti del dramma di Ford. I veri protagonisti del film di Patroni Griffi sono Amore e Morte, due pulsioni prese dal regista nella loro nuda tragicità, fatte reagire con l’elemento della colpa e fatte esplodere. In questo film emerge la passione pura, forte, ideale di un amore, quello tra fratello e sorella, che però è colpevole agli occhi del mondo esterno. Seppur vero e sincero, quello di Annabella e Giovanni è un sentimento destinato inesorabilmente al lutto ed alla violenza. È una tragedia del vivere secondo norme rigide ma accettate e scoprire che la passione le fa tradire: i personaggi si scoprono traditori di una normalità riconosciuta e pertanto cercano un rifugio sempre più piccolo che tende a trasformarsi in gabbia, in prigione.

Il binomio Amore-Morte, fulcro della concezione registica, si palesa non solo in alcune azioni dei protagonisti, come ad esempio quella in cui Annabella e Giovanni stringono tra le loro mani l’anello ed il pugnale mentre si giurano amore eterno, ma anche attraverso la vena di colori che costantemente permea ogni scena del film. Patroni Griffi riesce infatti a definire una situazione attraverso l’uso coloristico degli ambienti e dei costumi e attraverso una fotografica che sa rendere al massimo le scelte fatte. In Addio fratello crudele gli ambienti sono tutti giocati su tonalità bianche o azzurre opache, gli esterni sono caratterizzati dalla nebbia e dalla foschia che traveste di un bianco irreale ogni cosa, oppure è la neve che getta su balconi, scale e giardini una venatura di azzurro pallido, freddo e mortale. Contrappunto ideale a questo “clima” è il rosso: il rosso dei vestiti, il rosso del focolare che arde nei camini. È come se le situazioni cromatiche esprimessero la contrapposizione del film: il fuoco della passione che nasce nel freddo mortale della colpa. Si prendano ad esempio le stanze dei due fratelli: Ceroli ha creato una scenografia giocata tutta sulle tenui e chiare tonalità del legno, a cui fa da contrappunto cromatico la fiamma ardente nei giganteschi camini. O ancora, la foresta di bandiere bianche verso cui cavalcano Annabella e Giovanni nella loro gita da amanti diffonde nell’immagine un senso di gelido preannuncio: previsione veritiera se poi Giovanni vi ritorna da solo dopo il matrimonio della sorella. Anche la sequenza in cui i due fratelli hanno delle

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schermaglie amorose nella gabbia per uccelli è tutta giocata sulla scelta delle tinte pallide del legno e delle pareti. In aggiunta, qui la gabbia ha un forte valore simbolico: essa rappresenta per i due fratelli, la cui storia d’amore è ancora segreta, un rifugio ma contemporaneamente ed inevitabilmente anche una condanna. Unici contrappunti cromatici sono ancora il fuoco che arde nel camino e le vesti degli attori. Infine, come notato già precedentemente, anche nella scena in cui Giovanni viene trafitto a morte, il sangue che sgorga dalle sue ferite e inzuppa le sue vesti stride cromaticamente col candore delle pareti lignee del vestibolo ceroliano.

Sui costumi bisogna soffermare l’attenzione: l’eccellente Gabriella Pescucci, costumista di raro talento, è stata in un certo senso “scoperta” proprio da Patroni Griffi, che per primo le affida la realizzazione «di tragiche spoglie e fumosi cappelli»432 per Addio fratello crudele. Pescucci è ben cosciente di dovere tener conto dell’originaria ambientazione italiana della tragedia elisabettiana: «ma lo scenografo è Mario Ceroli, che naturalmente porta nel film il suo stile inconfondibile, corposo e composto. Per accompagnarlo, Pescucci disegna costumi che pur rispettando la linea e i volumi degli abiti cinquecenteschi […] sono in realtà frutto di pura invenzione, e giocano soprattutto sugli accostamenti inconsueti di tessuti e pellami»433. Pescucci, nella progettazione dei costumi di scena tiene conto degli allestimenti di Ceroli434, e crea degli abiti che sono caratterizzati, nella maggior parte dei casi, da tonalità forti e calde, come ad esempio i rossi, gli arancioni, i bordeaux (fig. 25). Se da un lato queste tonalità sono scelte perché si richiamano alla pittura di Carpaccio e di Leonardo435, dall’altro si può ben notare come esse fungano da contrappunto simbolico alle ambientazioni del film. La bellezza cromatica dei costumi spicca soprattutto quando questi vengono indossati da Annabella che «pallida all’inverosimile, cerulea, con le vesti rosse sembra una figura dipinta che si fa viva»436.

L’ACCOGLIENZA CRITICA DELL’ALLESTIMENTO CEROLIANO

Su Addio fratello crudele, indirettamente anche su Ceroli, la critica esprime pareri discordanti. Guiguet lo recensisce positivamente: «Ecco la versione cinematografica del dramma di John Ford, firmata da un giovane regista che potrebbe fa ben parlare di sé in avvenire. Plasticamente, la ricostruzione […] è ammirevole […]. Il freddo, le brume, la pioggia e la neve giocano un ruolo di contrappunto […] al calore dei cuori trascinati dalla passione incestuosa che infiamma i corpi d’una ubriachezza sessuale […]. C. Rampling, F. Testi e O. Tobias, sapientemente diretti, sono straordinari in questo film che non ha avuto il successo che meritava»437. Al contrario, i Morandini stroncano l’allestimento di Patroni Griffi, pur salvando il lavoro dello scultore: «Illustrativo con raffinatezza, grazie al Technicolor di Vittorio Storaro e alle sculture lignee di Mario Ceroli, il film rende anemico il

vibrante dramma elisabettiano, sfaldandone l'impeccabile drammaturgia»438.

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Giuseppe Patroni Griffi, Sonatina per Gabriella, in D’Amico Caterina, Gabriella Pescucci, storie di vestiti, Edizioni De Luca, Roma 1995, p. 22. Nell’ultima strofa della sonatina si legge: «Mi vanto d’averla per primo – posso dirlo? - scoperta / vestendomi di tragiche spoglie e fumosi cappelli / quel Fratello Crudele che annegava / nel suo sperma incestuoso / - un sipario di sangue / che donò allo schermo / il fasto / elisabettiäno / d’una tragedia: adieu!»

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Ibidem, p. 25.

434 Pescucci afferma:«Devo molto a Peppino, perché facendo un grosso film – con scenografie di Ceroli, che a quel tempo era lo scultore più

noto – mi dette fiducia»; cfr. Alain Elkann intervista Gabriella Pescucci, in Ibidem, p. 15.

435

Ibidem, p. 22.

436 Simone Arcagni, Il cinema di Giuseppe Patroni Griffi, in Bentoglio Alberto (a cura di), Giuseppe Patroni Griffi e il suo teatro, cit., p. 52. 437

J. C. Guiguet, «Saison ‘73», riportato in Roberto Poppi, Mario Pecorari (a cura di), Dizionario del cinema italiano, vol. IV I film dal 1970 al 1979 A/L, Gremese Editore, Roma 1996, p. 16.

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NORMA

Tragedia lirica di Felice Romani, musica di Vincenzo Bellini. Milano, Teatro alla Scala, 22 dicembre 1972

Regia di Mauro Bolognini Scene di Mario Ceroli Costumi di Gabriella Pescucci

Concertatore e direttore d’orchestra: Gianandrea Gavazzeni Maestro del coro: Romano Gandolfi

Interpreti e personaggi:

Gianni Raimondi - Pollione, proconsole di Roma nelle Gallie Ivo Vinco - Oroveso, capo dei Druidi

Montserrat Caballé - Norma, druidessa, figlia di Oroveso Fiorenza Cossotto - Adalgisa, giovane ministra del tempio di Irminsul

Rina Pallini - Clotilde, confidente di Norma Saverio Porzano - Flavio, amico di Pollione

La scena si svolge presso la foresta sacra e il tempio di Irminsul, al tempo della dominazione romana sui Druidi nelle Gallie.

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Lo spettacolo che segna il battesimo di Mario Ceroli all’allestimento per il teatro musicale è Norma di Vincenzo Bellini (fig. 1), uno tra i più celebri dell’operismo italiano dell’Ottocento e uno tra i più rappresentati nei teatri italiani, per lo meno al Teatro La Scala di Milano, per il quale l’opera in questione nacque nel 1831. Dopo sette anni di assenza dal palcoscenico scaligero439, la 21° edizione di Norma, secondo appuntamento della stagione lirica 1972/1973440, viene affidata a Mauro Bolognini. Obiettivo del regista per questa messinscena è quello di «ritrovare una maggiore essenzialità e purezza nella consonanza che deve esistere fra musica e palcoscenico», cioè quello di portare in primo piano la musica evitando le «stregonerie», gli «eccessi di effetti, estro e fantasia» che caratterizzano in negativo le scenografie operistiche. Per «togliere la polvere dalle cattive tradizioni» Bolognini decide di adottare la linea dell’essenzialità e di contribuire allo spettacolo «esclusivamente con l’apporto di atmosfere e suggestioni estremamente semplici»: la sua collaborazione con Mario Ceroli, chiamato a curare la parte scenografica dello spettacolo, «è una scelta precisa», perché «certe sue forme geometriche e primordiali corrispondono misteriosamente alle ampie e nude strutture musicali di Bellini»441. Per allestire le scene di Norma, l’artista si avvale esclusivamente delle sue sculture.

La ricostruzione di questo allestimento scenografico è stata resa possibile grazie allo studio della ricca documentazione consultata personalmente presso l’Archivio Storico del Teatro La Scala di Milano: i disegni e il modellino della scenografia; il programma di sala, la rassegna stampa e le foto di scena dello spettacolo, nonché la videoregistrazione dello stesso nella sua ripresa del 1977442. Fondamentali, inoltre, si sono rivelate le dichiarazioni rilasciate da Ceroli in varie interviste pubblicate su riviste specialistiche del settore teatrale, nonché il volume Ceroli alla Scala curato da Vittoria Crespi Morbio.

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