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CEROLI, ARTISTA IN SCENA

ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE

CEROLI, ARTISTA IN SCENA

«Dicono che Il Trovatore sia un’opera romantica. Non è vero affatto! È una musica straordinaria, fantastica, eccellente, con momenti di grande esaltazione musicale, il tenore che canta quelle arie modellando con la voce le sue note… Ecco, io ho cercato di fare questo, grazie a Dio con l’aiuto di Peppino Patroni Griffi che ha praticamente modellato le comparse, gli attori, i protagonisti dell’opera insieme a me, alle sculture che sono sul palcoscenico. Sculture»848.

Questa dichiarazione dell’artista racchiude in poche righe tutto il senso del suo operato per l’Arena di Verona. Anzitutto Ceroli, insieme a Patroni Griffi, modella le sue scelte sulla musica849, che tratta con grande rispetto fino a visualizzarla sul palco dell’Arena: il dramma di guerra e morte del tessuto verdiano si palesa concretamente nelle sue macchine da guerra, che assumono così valore interpretativo, e non più solamente narrativo. Proprio per questa ragione Ceroli non si ritiene uno scenografo, perché «arredare il palcoscenico è una cosa, partecipare al lavoro con regista e attori è un’altra cosa»850, e si definisce un «artista protagonista»851: artista in quanto, secondo una modalità operativa ben consolidata, porta sul palcoscenico veronese le sue sculture lignee, a cui conferisce nuove dimensioni e nuovi significati852. Nel confronto con un teatro all’aperto e di dimensioni notevoli come quello dell’Arena, lo scultore punta, contrariamente agli allestimenti tradizionali, sulla sobrietà e sull’essenzialità853 di pochi volumi scultorei costruiti partendo dalle forme base della geometria piana e disposti sul palcoscenico in maniera razionale. Su questa scenografia geometrica Patroni Griffi muove i protagonisti dell’opera, il coro, le masse delle comparse, in modo spettacolare, ma altrettanto razionale ed essenziale, facendo sì che le arie, i duetti ed i trii vengano interpretati dai cantanti fermi davanti al direttore d’orchestra, per portare in primo piano la musica854. L’essenzialità

848 Mario Ceroli in Claudio Capitini, Ceroli artista in scena, cit.

849 In un’altra dichiarazione rilasciata sempre il 4 luglio, Ceroli ribadisce a questo proposito: «Piaccia o non piaccia, questo è il nostro [mio e

di Patroni Griffi] Trovatore, che non ha nulla di rivoluzionario perché noi abbiamo modellato il nostro spettacolo sulla musica di Verdi. A parer mio la musica che c’è nel Trovatore non c’entra per nulla con la storia che ci hanno scritto sopra, che è pura demagogia e basta. Io, noi due anzi, ci siamo ispirati alla musica, abbiamo modellato le scene con i tempi musicali»: cfr. Francesco Fornari, Trovatore in Arena, è l’anno di Verdi, cit.

850 Mario Ceroli in Claudio Capitini, Ceroli artista in scena, cit. 851

Ibidem.

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Questo concetto è sostenuto anche da Patroni Griffi, come dimostra una sua dichiarazione rilasciata alla RAI proprio sul palcoscenico veronese: «Mario, per esempio, che tutti dicono scenografie: non sono scenografie, sono delle sculture. Uno scultore che ha messo a servizio del palcoscenico la sua arte. E quindi l’Arena ci è parso il posto, lo spazio più adatto per fare questo Trovatore che era una vecchia idea […]». Cfr. Giuseppe Patroni Griffi, in Speciale Verona, puntata della serie Sereno Variabile Estate 1985 trasmessa dalla RAI il 6 agosto 1985, visionata presso le teche RAI della sede regionale di Venezia.

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Questo sostantivo, declinato anche come aggettivo, ritorna frequentemente nella rassegna critica esaminata, segno di come proprio l’essenzialità è uno degli aspetti più emblematici e nuovi di Ceroli. A titolo esemplificativo cfr. Cristiano Chiarot, «Trovatore» elisabettiano, «Gazzetta del mezzogiorno», 6 luglio 1985; Mario Conter, Per «Il Trovatore» inaugurale all’Arena trionfo delle lignee macchine da guerra, «Giornale di Brescia», 6 luglio 1985; «essenziale» è stato l’aggettivo usato da Giuseppe De Filippi Venezia, direttore degli allestimenti scenici della Fondazione Arena di Verona, quando intervistandolo gli chiesi di descrivere in poche parole l’allestimento di Ceroli, alla cui costruzione aveva collaborato.

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Claudio Cumani, E stasera riapre l’Arena con «Trovatore», ci. Si riassumono qui, molto brevemente, i pareri espressi sugli aspetti prettamente musicale e vocale dello spettacolo: Reynald Giovaninetti è molto apprezzato per la sua direzione d’orchestra; recensite positivamente sono anche le interpretazioni canore delle interpreti femminili, soprattutto quella di Ludmilla Semciuk, debuttante nei panni di Azucena; un po’ meno convincenti, invece, sono gli interpreti maschili Matteo Manuguerra e Franco Bonisolli, interpreti rispettivamente del Conte di Luna e di Manrico. Cfr. Autore anonimo, Un «Trovatore» originale, «Alto Adige», 7 luglio 1985; Duilio Courir, Un fragile «Trovatore» a Verona, «Corriere Della Sera», 6 luglio 1985.

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di Ceroli è anche cromatica, determinata dalle tonalità tenui e chiare del pino di Russia delle sculture sceniche, con cui i bellissimi e variopinti costumi d’epoca di Gabriella Pescucci si rapportano per antitesi e delle quali questi ultimi esaltano ulteriormente il valore innovativo.

L’ACCOGLIENZA CRITICA DELL’ALLESTIMENTO CEROLIANO

Il Trovatore è l’opera che inaugura la stagione lirica areniana del 1963 e, in quanto tale, su di essa è

naturalmente puntata l’attenzione dei critici musicali e teatrali. Ma la quantità di inchiostro consumato e le parole scelte per lasciarne una testimonianza dimostrano quanto il lavoro di Ceroli fu capace di dare una scossa all’interno della storia degli allestimenti scenici855.

Il primo dato che emerge immediatamente dallo spoglio dell’amplissima rassegna stampa consultata è che già prima dell’accensione delle luci in Arena i recensori si focalizzano proprio sull’allestimento scenico ceroliano ancora in fase di ultimazione tra carpentieri, macchinisti e gru, di cui si cerca di dare delle anticipazioni856. Quando poi lo spettacolo viene messo in scena, le macchine da guerra ceroliane diventano le vere protagoniste degli scritti critici857.

Quello presentato in Arena viene anzitutto definito «un Trovatore originale»858, di cui Patroni Griffi, proprio grazie alla scenografia di Ceroli, sa dare una lettura «antiromantica»859, antitradizionale, esaltante più l’aspetto guerresco che quello passionale860. Al di là del parere positivo o negativo espresso nei confronti delle scelte registiche e di quelle scenografiche, che alle prime sono strettamente correlate, le sculture sceniche di Ceroli vengono criticate da un gruppo ristretto di persone semplicemente perché rumorose e perché realizzate con un legno chiaro ulteriormente schiarito da luci bianche: troppo candore per un’opera dove tutto è fuoco e fiamme861. La maggior parte dei recensori, allineandosi al dissenso di un pubblico ancora legato ai tradizionali fondali in cartapesta e tela862, rivolge critiche molto più aspre all’operato di Ceroli, l’«estroso legnaiolo»863 fautore di «un cantiere»864, di una scenografia composta da «scheletri volteggianti e sperduti

855 L’allestimento ceroliano spinge addirittura alcuni critici ad interrogarsi sul ruolo e sulle capacità degli artisti chiamati negli ultimi anni a

progettare allestimenti scenografici. Come spunto per un eventuale approfondimento tematico, si riporta uno spezzone significativo dell’articolo di Sergio Stancanelli, scritto in occasione della messinscena del Trovatore: «Un tempo le scenografie le facevano gli scenografi. Adesso, da un po’ d’anni, vengono commissionate a pittori, scultori, musicisti. Quelle per il Trovatore sono state affidate a Mario Ceroli, l’autore di figure in profili di legno. Il risultato fa il paio con quello conseguito sette anni fa da Gio Pomodoro: l’opera di Verdi si dà in Arena senza scene. Pare che Ceroli abbia detto, proprio come Pomodoro, che le gradinate dell’anfiteatro sono già di per sé la migliore delle scene. [… Ceroli] se ne infischia delle prescrizioni librettistiche […] con risultati assurdi». Cfr. Sergio Stancanelli, Il Trovatore in falegnameria, «Il Secolo d’Italia», 21 luglio 1985.

856 Autore anonimo, Ultime prove del festival areniano, «L’Arena», 21 giugno 1985; L’Arena di marmo conterrà un «Trovatore» tutto di

legno, «L’arena», 26 giugno 1985; Claudio Cumani, E stasera riapre l’Arena con «Trovatore», cit.; Claudio Capitini, Il Trovatore in Arena con le sculture di Ceroli. Il regista Patroni Griffi:«Un ipermelodramma», cit.; Francesco Fornari, Trovatore in Arena, è l’anno di Verdi , cit.; Rita Sala, Il mio Verdi è battagliero, cit.

857 Si segnala come già alcuni titoli di articoli di giornali siano sufficientemente indicativi in tal senso. A titolo esplicativo si veda: Carlo

Bologna, Un Trovatore da vedere, «L’Arena», 6 luglio 1985; Cesare Galla, «Trovatore» di grandi scene, «Il giornale di Vicenza», 6 luglio 1985; F. B., “Trovatore”: dell’aspetto ma la sostanza è debole, «Verona fedele», 14 luglio 1985.

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Autore anonimo, Un Trovatore originale, cit.

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Autore anonimo, Il Trovatore all’Arena, «L’eco di Bergamo», 5 luglio 1985.

860 La scelta registica, sicuramente innovativa, non è apprezzata da tutti: Gasponi, ad esempio, considera eccessiva la scelta di concentrare

tutta l’attenzione sulla componente bellica del Trovatore, che è sì importante ma non l’unica. Cfr. Alfredo Gasponi, Quanta legna in quella pira, «Il Messaggero», 6 luglio 1985.

861 Alfredo Mandelli, Da quella pira vien poco fuoco, «Oggi», luglio 1985; Gianpiero Cane, Un “Trovatore” di legno, «Il Manifesto», 6 luglio

1985; Renato Chiesa, Con il «Trovatore» sipario in Arena fra macchine di legno rumorose, «Adige», 6 luglio 1985; Bruno Cernaz, Trovatore claudicante all’Arena, «Messaggero Veneto», 6 luglio 1985; Alfredo Gasponi, Quanta legna in quella pira, «Il Messaggero», 6 luglio 1985.

862 Benedetto Benedetti, Mugugna il pubblico all’Arena, «Il Giornale d’Italia», 24 luglio 1985. Maurizio Papini, Manrico, l’amore è una

guerra, «Il Giornale», 6 luglio 1985.

863 Benedetto Benedetti, Mugugna il pubblico all’Arena, cit.

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nell’immenso spazio areniano [e da] altri strani oggetti»865, da «un cestino di grissini assai spaesato [e] da un’impalcatura di muratori»866, da una «fredda combinazione geometrica di marchingegni scenici […] evocanti un campo missilistico, con le armi puntate alla luna»867, da «gigantesche, rozze, strane macchine da guerra [e da] scene astratte e crudeli»868.

Il gigantesco cavallo ligneo del terzo atto viene ricordato solo per la sua bellezza intrinseca dai critici più clementi869, mentre la maggior parte di essi lo definisce un «residuato di qualche film sulla presa di Troia»870 e considera «esilarante»871 la trovata di farci salire il Conte quando interroga Azucena. Tuttavia non manca chi ne parla positivamente872, definendolo perfino un «emblematico, stupendo, grande, vero coup de théatre»873.

Come accaduto per la scultura equestre, anche le bandiere bianche comparse sulle gradinate nel terzo atto ottengono pareri nettamente discordanti, sintomo, questo, dell’impreparazione degli spettatori a recepire elementi scenici inconsueti: accanto a recensioni positive874, vi è chi le considera belle scenograficamente ma totalmente prive di senso875, «lasciate lì a sventolare […] come simbolo di chissà che»876.

Pochi sono i recensori che lodano l’operato ceroliano, di cui mettono in evidenza il valore innovativo e la coerenza con la partitura musicale: Conter sostiene che «nella sua possente essenzialità, nello scabro colore, la concezione dello scultore pare fondersi con la forza tragica ed oscura del capolavoro verdiano»877; similmente Schiavo considera la scenografia una «idea discutibile se si leggono le didascalie del libretto verdiano, ma perfettamente coerente al corrusco bagliore di guerra che colora l’intera partitura»878, e la loda perché grazie ad essa «Patroni Griffi […] ha svecchiato tutta l’opera di tanto ciarpame ottocentesco»879. Chiarot sottolinea come proprio grazie alla scenografia di Ceroli, definita sulle pagine di Alto Adige «spettacolare, ma razionale ed essenziale»880, Patroni Griffi abbia potuto dar vita ad un «Trovatore elisabettiano»881, innovativo, privo di qualsiasi richiamo romantico e passionale. Messinis apprezza le macchine da guerra nel loro gioco di composizioni e di scomposizioni miranti a formare di volta in volta locazioni diverse e, «sebbene Trovatore sia ambientato a fine Medioevo, mentre le macchine con il loro impianto razionalistico - rinascimentale sono qualcosa di diverso dal sogno medievalistico, lo spettacolo funziona ugualmente; anzi è una delle più affascinanti intuizioni che si siano mai viste in Arena. […] Le macchine sceniche utilizzano magistralmente gli spazi in funzione architettonica, le sculture lignee esaltando, quasi coreograficamente, il racconto teatrale»882. La validità della proposta del regista e di Ceroli è sottolineata magistralmente da Paolo Gallarati e Carlo Bologna, dei quali si riportano i più incisivi passi critici:

865 Giuseppe Pugliese, Un «Trovatore» alla deriva fra gli «scheletri» di Ceroli, «La Gazzetta», 6 luglio 1985. 866

Mario Bortolotto, Signori, ricordatevi che è un dramma, «Europeo», 31 agosto 1985.

867

Paolo A. Paganini, Un «Trovatore» in gabbia inaugura a Verona la stagione dell’Arena, «La Notte», 5 luglio 1985.

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Alfredo Mandelli, Da quella pira vien poco fuoco, cit.

869

Gianpiero Cane, Un “Trovatore” di legno, cit.

870

Daniele Spini, Tanto fumo da quella pira, «Carlino», 6 luglio 1985.

871 Bruno Cernaz, Trovatore claudicante all’Arena, «Messaggero Veneto», 6 luglio 1985. 872

Cesare Galla, «Trovatore» di grandi scene, cit.

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Carlo Bologna, Un Trovatore da vedere, cit.

874

Maurizio Papini, Manrico, l’amore è una guerra, cit. ; Lorenzo Arruga, Questo «Trovatore» sembra quasi un ex-voto, «Il Giorno», 6 luglio 1985.

875 Gianpiero Cane, Un “Trovatore” di legno, cit. 876

Daniele Spini, Tanto fumo da quella pira, cit.

877

Mario Conter, Per «Il Trovatore» inaugurale all’Arena trionfo delle lignee macchine da guerra, cit.

878

Remo Schiavo, Il Trovatore di Verdi ha inaugurato il 63° Festival dell’Arena di Verona, cit.

879 Ibidem. 880

Autore anonimo, Un Trovatore originale, cit.

881 Cristiano Chiarot, «Trovatore» elisabettiano, «Gazzetta del mezzogiorno», 6 luglio 1985. 882 Mario Messinis, È un guerriero non un poeta, «Il Gazzettino», 6 luglio 1985.

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«Grazie alle scene ideate da Mario Ceroli, questa [idea registica] si è trasformata [...] in una geniale invenzione figurativa e in uno spettacolo che, per il suo equilibrio di modernità e di aderenza al testo, è tra i migliori visti in Arena negli ultimi anni. […] È un effetto singolare di peso e di trasparenza insieme, evidenziato dall’uso delle luci: attraverso la selva di aperture, i fasci dei riflettori si frantumano in chiaroscuri taglienti, di rara suggestione. […] Le grandi macchine da guerra ideate da Ceroli, da un lato diventano simbolo di una dimensione interiore, dall’altro si raggruppano in modo sempre diverso riuscendo effettivamente, in virtù della fantasiosa combinatoria plastico-architettonica, a rendere con evidenza non la lettera ma lo spirito teatrale dei vari luoghi in cui si svolge l’azione»883.

«Scenografia inconsueta […], ma è chiaro che il passaggio da una scenografia che racconta (magari in linea di paradosso) ad una che interpreta non è facile per uno spettatore legato sostanzialmente alla tradizione. […] Ceroli è entrato nel vivo del tessuto verdiano, ne ha colto guerra e morte, crudeltà e violenza, dominio e vincolo. Di qui macchine guerresche che sono anche luoghi abitativi (e stranianti: il che è nel clima di quest’opera fatta di una escalation di catastrofi), macchine che si muovono, che si aprono, che quando stan ferme sono segnale messaggio ammonimento e mantengono una presenza costante nel tessuto drammatico. […] La scenografia di Ceroli è da ritenere come la vera grande protagonista di questo Trovatore 1985. […] Vittoria del visivo, del tridimensionale, della materia che si fa interprete di quella drammatica»884.

883 Paolo Gallarati, All’Arena un Trovatore di guerra, «La Stampa», 6 luglio 1985. 884 Carlo Bologna, Un Trovatore da vedere, cit.

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