ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE
L’ALLESTIMENTO SCENICO CEROLIANO PER ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE
La tragedia eliotiana è divisa in due parti intervallate da un intermezzo. La scena della prima parte si
svolge nell’Arcivescovato di Canterbury. Il giorno è il 2 dicembre 1170791.
In apertura della messinscena Patroni Griffi ricorre in modo innovativo all’espediente di un prologo di sapore pirandelliano, consistente in una prova scenica di Assassinio diretta da uno degli attori: «Per rendercelo più vicino [Patroni Griffi] ha immaginato, all’avvio, che gli Amici appunto di quella pia confraternita, ricevuto appena il testo, ne stiano provando la lettura, dopo essersi ritrovati, giovani borghesi, seminaristi, zelanti signorine, col consueto ritardo ed affanno dei giovani, sotto le navate stesse che fan da sfondo alla vicenda»792. Essi giungono alla spicciolata, in silenzio, attraversando un po’ smarriti gli spazi della sacrestia della cattedrale, delimitati sul fondo da un’inferriata. Dopo che i tre preti hanno intonato un Agnus Dei polifonico, le cinque signore del coro – Marina Bonfigli, Elena Croce, Valentina Montanari, Federica Tatulli, Laura Marinoni, sostituita poi da Silvia Mocci – in abiti anni Trenta e tutte col cappellino, si dispongono ai leggii di destra e iniziano a leggere le prime battute di Assassinio con il tono di chi esegue una prova, senza partecipazione emotiva, con il corpo immobile. Spesso le battute vengono ripetute a brevissima distanza di tempo, creando un effetto a cascata simile ad un’eco, finché alle parole Noi misere donne non siamo state chiamate / ad agire.
Dobbiamo solo aspettare: / aspettare e testimoniare793 viene finalmente raggiunto l’unisono e il tono si fa più drammatico e consapevole. Sulla sinistra quattro uomini si alternano ad un unico leggio. Con una gestualità che ricorda la recitazione degli anni Trenta, leggono le prime battute attribuite ai sacerdoti, finché un motivo medievale di trombe e tamburi, che ritorna anche dopo nei momenti solenni del dramma, annuncia un cambio di scena: «Poi, d’un tratto, le grate del coro spariscono, l’angusto spazio della sagrestia si dilata nelle profondità delle arcate del tempio, i pesanti drappi di cuoio si aprono, lame di luce illuminano pilastri e archi, l’azione si inoltra nelle navate della cattedrale»794. Da dietro la grata che si apre entra l’araldo, interpretato da Jean Hébert e poi Edoardo Siravo, che annuncia il ritorno dell’Arcivescovo. Subito dopo il suddetto sipario di cuoio si chiude, togliendo alla vista del pubblico l’interno della cattedrale. Nello spazio antistante il sipario, in penombra, rimangono solo i tre sacerdoti interpretati da Franco Santelli, Paolo Bernardi e Pierluigi Misani, ora in tunica bianca con cappuccio ricoperta da un mantello scuro.
Quando il sipario si riapre, la disposizione delle colonne all’interno della cattedrale è cambiata, in modo da suggerire una maggiore profondità. Sulle note di un canto gregoriano i preti escono a sinistra e dai due lati entrano le donne. Indossano un copricapo e lunghi abiti invernali, di lana grezza e di fattura grossolana. Si girano verso il pubblico, allineate lungo il proscenio. Rimangono per lo più immobili, limitandosi a sollevare talvolta un braccio per sottolineare i loro oscuri presagi. Quando i sacerdoti rientrano per rimproverarle, si raggruppano timorose a sinistra. Una musica trionfale, di intensità crescente, annuncia l’arrivo di Tommaso Becket. Donne e sacerdoti corrono confusamente da un lato all’altro del palcoscenico e, all’apparire dell’arcivescovo, si prostrano a terra. Ricoperto da un pesante mantello, Tommaso entra con fare mansueto e benedicente, e invita con un cenno le donne a rialzarsi. Costoro si siedono a sinistra su un gradino che fa da basamento ad una colonna da dove, immobili, assisteranno alle tentazioni di Tommaso. Un canto dell’attore che interpreta l’araldo,
791 Cooperativa Teatro Mobile, Thomas Stearns Eliot, Assassinio nella cattedrale, cit., pp. non numerate. 792
Guido Davico Bonino, Bosetti, un duellante nella cattedrale, «La Stampa», 29 marzo 1984. Lo stesso regista dichiara: «[…] Io ho immaginato che in un pomeriggio del 1936, nella cattedrale di Canterbury, l’arcivescovo George Bell avesse invitato gli amici di T. S. Eliot a prendere visione del copione appena ricevuto, per farne conoscenza e tentare una lettura ad oratorio». Cfr. Ghigo de Chiara, “Assassinio” di Eliot in chiave letteraria, «Avanti!», 4 gennaio 1985.
793 Thomas Stearns Eliot, Assassinio nella cattedrale, traduzione di Tommaso Giglio e Raffaele La Capria, Bompiani, Milano 1994, p. 15. 794 Nuccio Messina, Ed è teatro, ed è spettacolo, «La Discussione», 9 aprile 1984.
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per l’occasione vestito come un cortigiano con camicia bianca e coroncina dorata, introduce l’ingresso del primo tentatore, mentre i sacerdoti aiutano l’arcivescovo a togliersi un ampio cappello rosso che porta appeso sulla schiena e il mantello, sotto cui appare una tunica scura con un ampio collare. Tommaso si siede su uno scranno di legno con motivi decorativi gotici portato in scena dai sacerdoti. Il primo tentatore, la Lussuria, interpretato da Valerio Andrei, indossa un costume da giullare color arancione, con un corto mantello dello stesso colore che appoggia a terra prima di una capriola. Si muove sinuoso attorno al seggio di Tommaso, saltella, lo avvinghia con le braccia da dietro, si siede per terra appoggiando il suo capo sul grembo dell’Arcivescovo, mentre una musica di flauto rievoca una festa di corte. Tommaso, impassibile, prima gli concede una carezza, poi con uno spintone lo allontana da sé. Prima di andarsene, il tentatore si siede in braccio a Becket, con fare infantile, e gira ancora una volta attorno alla sua sedia, avvolgendolo con il suo mantello, poi va a sedersi a destra, con la schiena appoggiata ad una colonna. Da sinistra entra il secondo tentatore, il Potere, interpretato da Alberto Mancioppi, poi da Edoardo Siravo; indossa una corta tunica blu e fa ricorso ad un tono di voce raziocinante e a gesti misurati delle braccia per commentare le sue argomentazioni in favore dell’utilità e del prestigio del potere del Cancelliere. Quando si appoggia con le mani allo schienale dello scranno di Tommaso, costui sbotta in un risoluto “no”. L’arcivescovo si alza e il tentatore si posiziona a destra, dove si appoggia in piedi ad una colonna. Il terzo tentatore, il Tradimento, interpretato da Walter Toschi, si presenta come un rude signore di campagna; indossa un pesante abito marrone e un bianco cappello di pelliccia. Mentre parla, sta seduto sul seggio di Becket a gambe larghe, poi si alza e stringe da dietro l’arcivescovo che lo respinge e torna sullo scranno. Il tentatore va a disporsi sul fondo della scena, in mezzo. Prima che lo si possa vedere, la voce del quarto tentatore rimbomba negli spazi della cattedrale. Costui, la Santità, interpretato da Massimo Ghini, non era atteso da Becket, che angosciato vaga per la scena chiedendogli chi sia. Il tentatore indossa un pesante mantello celeste chiaro, un cappuccio bianco, una benda bianca sul collo e un paio di rozzi sandali. Si pone dietro la sedia di Becket (fig. 2); allarga le braccia e gli cinge il collo, in un abbraccio che diviene sempre più soffocante. Prima Tommaso si abbandona a questo abbraccio, poi si libera dalla stretta e allarga le braccia. Il tentatore, sempre da dietro, gli prende le mani e lo spinge in avanti. Tommaso cade, si ritrova a carponi e poi con il viso a terra, prostrato. Da sinistra interviene il coro delle donne, a cui si mescolano le voci dei tentatori e dei sacerdoti. I tre gruppi si intersecano con una serie di movimenti sulla scena (fig. 3), finché le donne si dispongono a semicerchio attorno a Tommaso che si rialza (fig. 4). Il suo tono è pacificato perché ha vinto le tentazioni. Mentre si leva una musica di flauto, a braccia levate, dando le spalle al pubblico, scaccia i quattro tentatori, che indietreggiano fino a sparire. Pronuncia la battuta che si riferisce alla responsabilità di ciascuno per i mali dell’universo indicando in diverse direzioni tra il pubblico ed esce accompagnato dallo stesso motivo di trombe e tamburi udito al suo ingresso. Si chiude il sipario. Le donne escono silenziosamente a sinistra.
Per l’intermezzo, durante il quale l’arcivescovo prega nella Cattedrale la mattina di Natale del
1170795, la disposizione della scena è cambiata. A destra si trova un basso pulpito di legno (fig. 5), con motivi decorativi che ricordano quelli dello scranno di Tommaso. L’arcivescovo, vestito di bianco, entra lentamente da sinistra tra canti di giubilo, si inginocchia, sale sul pulpito e dà inizio alla predica usando un tono di misurata retorica, con pause ad effetto. È solo in scena. Il corpo è immobile, mentre le mani, spesso giunte, si muovono per sottolineare i passaggi argomentativi. Termina con un gesto di benedizione e, accompagnato da una musica solenne, esce a destra. Il sipario si chiude.
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Si passa quindi alla seconda parte della tragedia eliotiana, per la quale le didascalie sceniche indicano che la prima scena si svolge nell’interno dell’Arcivescovato, la seconda nella cattedrale, il giorno 29
dicembre del 1170796.
Il sipario si riapre sulle note di un canto e le donne escono dai due lati. È sparito il pulpito e sono ricomparse le inferriate del prologo. I tre sacerdoti, vestiti di bianco, portano rispettivamente un libro liturgico, un turibolo e dell’incenso. Commemorano con gesti di devozione i quattro giorni che seguono il Natale, scanditi dal canto dell’araldo che intanto appende dei turiboli alla grata. L’annuncio del quarto giorno, quello del martirio di Becket, è introdotto da una musica. Da dietro la grata appaiono i quattro cavalieri, interpretati dagli stessi attori che hanno impersonato i tentatori. Indossano lucenti armature di scaglie metalliche che ricordano quelle dei pupi siciliani e che risuonano ad ogni movimento. Ciascuno porta sottobraccio un elmo che poi appoggia a terra. Si prendono gioco con grasse risate dei sacerdoti impauriti, il primo cavaliere prende un turibolo dalla grata e vi si gingilla con intento sacrilego. Entra Tommaso, vestito come nella prima parte, con un abito scuro dall’ampio collare. I sacerdoti escono tra lo scherno dei cavalieri, che formalizzano all’arcivescovo l’accusa di tradimento. Con vigore egli strappa il turibolo dalle mani del primo, con uno spintone ne fa cadere un altro e rifiuta l’ordine di esilio del re. Uno dei cavalieri fa uscire con la forza verso sinistra i sacerdoti accorsi di nuovo, poi i quattro, rimasti soli, riprendono l’elmo sotto braccio promettendo di ritornare. Si chiude il sipario. Sul proscenio entrano le donne, che si buttano a terra, prone, levando a turno il capo a seconda delle battute che toccano a ciascuna. Solo Marina Bonfigli ad un certo punto si solleva in piedi; le altre si mettono in ginocchio, in atto di preghiera. L’arcivescovo esce dal sipario, le rincuora a braccia aperte e si inginocchia. Si odono le campane dei vespri, cui i sacerdoti, usciti anch’essi da dietro il sipario, lo invitano. Tommaso si infuria e ordina di lasciarlo stare. Gli uomini rientrano dietro il sipario, le donne si prostrano di nuovo verso la scena, poi a turno si alzano e avanzano verso il pubblico. Due di loro, più avanzate, sono nell’ombra. La loro preghiera termina in un grido. Si apre il sipario: questo movimento di scena è significativo poiché indica implicitamente il momento del passaggio didascalico dall’arcivescovato alla cattedrale797. I sacerdoti sono intenti a chiudere sul fondo una pesante porta di cuoio, ma Tommaso intima di riaprirla. Si odono minacciosi canti di guerra sempre più forti. La lama di una spada che luccica in una fenditura della porta anticipa l’ingresso del primo cavaliere, seguito dagli altri. L’intera sequenza è come al rallentatore. I quattro, che ora indossano l’elmo, sollevano le spade, poi le appoggiano con la punta a terra. Tommaso, che rimane in ombra, va loro incontro con voce bassa e calma. Il suo abito è privo del collare, forse per indicare una spogliazione del suo rango prima della morte. Mentre i sacerdoti, raccolti a sinistra, intonano l’Agnus Dei polifonico dell’inizio, l’arcivescovo orante, al centro, viene circondato dai cavalieri. A spada sguainata compiono un giro attorno a Becket che si inginocchia e poi fanno per levare le spade su di lui. Il sipario si chiude per sottrarre la scena del martirio alla vista degli spettatori. Sul proscenio entrano dai due lati le donne. A turno fanno un passo avanti. Invocano la purificazione sul mondo, ma da dietro il sipario sbucano prepotenti i cavalieri, e le donne si ritirano. Il primo, che si presenta come Reginaldo Fitz Urse, chiede al pubblico di prestare loro un momento di attenzione. Posa l’elmo per terra, seguito dagli altri, e con tono civile e confidenziale, ben diverso da quello usato con l’arcivescovo, si rivolge al pubblico. Sembra divenuto un nostro contemporaneo e chiede agli spettatori di assumere un ruolo simile a quello della giuria popolare in un processo. Il primo cavaliere introduce gli altri tre, il barone Guglielmo de Traci, Ugo de
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Cooperativa Teatro Mobile, Thomas Stearns Eliot, Assassinio nella cattedrale, cit., pp. non numerate.
797 [I preti] lo [Tommaso] trascinano via. Mentre parla il coro la scena viene cambiata in quella della cattedrale. Cfr. Cooperativa Teatro
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Morville e Riccardo Brito, che a turno si piazzano al centro del proscenio per giustificare con diverse motivazioni l’assassinio dell’arcivescovo, ricorrendo anche ad interpellazioni dirette del pubblico, chiamato in causa come corresponsabile del delitto.
Dopo un momento di buio, il sipario si apre sull’interno della cattedrale. In primo piano, i quattro cavalieri sono immobili nell’ombra. I sacerdoti, accompagnati da un commento musicale, pregano il novello martire. Sullo sfondo entra l’araldo che porta una stanga con in alto l’emblema dell’agnello, mentre tra la fila dei cavalieri e quella dei sacerdoti si inseriscono le donne che recitano le battute iniziali dell’ultimo coro ricorrendo allo stesso effetto ad eco del prologo. Sulla musica trionfale di trombe e tamburi dell’inizio si fa buio in scena.
Da quanto visto sopra, per la messinscena di Assassinio, della durata totale di due ore e dieci minuti, Ceroli crea «in modo stilizzato e insieme suggestivo»798 un unico, imponente interno di cattedrale gotica, che pare suggerito da certi schizzi neogotici di John Ruskin. L’intrico di ogive e la fuga di colonne che determinano il volume dello spazio sacro vengono di volta in volta posizionate diversamente nelle varie scene, creando così un vivace gioco di prospettive ineguali, più ristrette al primo piano o maggiormente aperte sul fondale, a seconda del luogo e del momento narrativo della tragedia e della sua valenza semantica. Per realizzare la scenografia Ceroli si avvale esclusivamente del pino di Russia e delle sue tonalità chiare, che creano contrasti netti con il fondale nero, con un effetto luministico già ricercato dallo scultore a livello bozzettistico (fig. 6). A proposito delle luci, la scarsa qualità della videoregistrazione impedisce di compiere un’analisi precisa. Tuttavia si può affermare che all’interno della cattedrale prevale un’illuminazione fioca, caratterizzata talvolta da lame di luce oblique che attraversano la scena similmente a quanto accade realmente all’interno delle chiese gotiche e a quanto cercato dall’artista nel bozzetto.
Dall’analisi di quest’ultimo e dal suo confronto con la messinscena, si nota che le figure umane disegnate all’interno di cornici a sesto acuto appese ai costoloni, nella realizzazione scenica sporgono all’altezza degli attacchi degli archi sulle colonne sottoforma di sagome tipicamente ceroliane, che Gavazzi definisce «angeli in legno chiaro»799.
In legno sono pure lo scranno di Tommaso e il pulpito dal quale lo stesso recita l’omelia del giorno di Natale, realizzati appositamente da Ceroli per questa messinscena con motivi e decorazioni in stile gotico.
Nel corso della rappresentazione teatrale, talvolta gli spazi all’interno della cattedrale vengono delimitati da inferriate, unico elemento diverso dal legno in tutta la scenografia. Per permettere i cambi di scena, inoltre, un pesante sipario di cuoio si chiude a delimitare una stretta striscia del proscenio, utilizzata prevalentemente dal coro delle donne.
Con l’eccezione dei profili di sagome umane, ennesimi parenti delle più famose sculture, per
Assassinio nella cattedrale Ceroli non porta in scena le sue opere, né tantomeno crea un ambiente
architettonico a partire da e con le sue opere, come invece ha fatto per La fanciulla del West800. Il testo teatrale prevede la creazione di una cattedrale, dato a cui lo scultore si attiene fedelmente con il suo gioco di archi acuti e di colonne. Ceroli costruisce la chiesa del vescovo Beckett rielaborando e traslando sul palcoscenico l’esperienza acquisita fra il 1971 e il 1975 nel campo dell’arte sacra con l’ambientazione dell’interno della Chiesa di Portorotondo sulla costa Smeralda (figg. 7, 8, 9), «la sua più affascinante e complessa realizzazione nel senso della costituzione di una totalità di opera-
798 Floriana Gavazzi, Assassinio nella cattedrale: l’analisi spettacolare, in Alberto Bentoglio (a cura di), Giuseppe Patroni Griffi e il suo teatro,
Bulzoni, Roma 1998, p. 109.
799 Ibidem, p. 109. 800 Cfr. cap. 5.14.
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ambiente»801: l’artista ha immaginato lo spazio scenico di questa chiesa complessivamente come la carena capovolta di una nave, entro la cui trama strutturale ha inserito una moltitudine di animate sagome umane, ricavando poi sulle pareti laterali alcune scene più definite da un punto di vista narrativo. Sul palcoscenico teatrale l’impianto strutturale e volumetrico prevale nettamente sulle poche sagome lignee ma, pur con le ovvie differenze, Ceroli continua a portare, sperimentare e far vivere in teatro le ricerche e le linee-guida del suo lavoro scultoreo.
L’ACCOGLIENZA CRITICA DELL’ALLESTIMENTO CEROLIANO
Diversamente rispetto a quanto accaduto per altre messinscene, le recensioni di Assassinio nella
cattedrale non dedicano ampio spazio alla descrizione ed al commento dell’allestimento scenico di
Ceroli, ma puntano l’attenzione soprattutto sulla recitazione degli attori, chiamati a confrontarsi con un tipo di dramma poetico in cui l’azione tende a risolversi nella parola.
Eliot scrisse Assassinio nella cattedrale nel 1935, quando in Inghilterra si era pienamente consolidata la grande rivoluzione artistica rappresentata dalle avanguardie poetiche, similmente a quanto in Italia era avvenuto grazie a Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo. Ma il suo dramma non era stato mai tradotto in italiano tenendo conto della rivoluzione poetica, e conseguentemente linguistica, che era avvenuta in quegli anni. Patroni Griffi, quando chiede a Tommaso Giglio e Raffaele La Capria802 di scrivere una nuova e diversa traduzione dell’opera di Eliot, vuole rispondere soprattutto a questa esigenza: far conoscere finalmente al pubblico italiano
Assassinio nella cattedrale nella sua reale collocazione poetica. Tommaso Giglio sul programma di
sala dello spettacolo afferma significativamente: «A una traduzione non basta la fedeltà interlineare alle parole del testo. Trattandosi di un dramma poetico, è ancora più importante la fedeltà al sistema poetico e linguistico al quale il dramma appartiene. Un tentativo di questo genere non era ancora stato fatto, in Italia, e può essere l’occasione per la riscoperta da noi di un testo fondamentale del nostro tempo»803. La nuova traduzione richiesta dal regista ha adottato un linguaggio semplice e rigoroso, nel quale coesistono alto e basso, sacro e profano, nel tentativo di uno stile neutrale, non compromesso né con il presente né con il passato, che rispetta la metrica originaria, ispirata ai versetti biblici ritmati secondo la musicalità degli inni religiosi.
La particolarità di Assassinio, colta nell’allestimento preso in esame, è la tendenza verso un dramma nel quale l’azione scenica tende ad annullarsi in qualcosa che si avvicina alla musica, nel quale la rappresentazione dell’agire umano viene affidato quasi esclusivamente alle parole. Nell’interpretazione di Patroni Griffi, quindi, hanno un ruolo fondamentale le musiche e i canti gregoriani che suggestivamente risuonano tra le navate della cattedrale gotica ricostruita dalla scenografia, ma anche il recitativo di tutti i personaggi, che si esprimono con parole coincise ed