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IL RINNOVAMENTO DELLA SCENA LIRICA DI CEROL

ADDIO FRATELLO CRUDELE

IL RINNOVAMENTO DELLA SCENA LIRICA DI CEROL

Come anticipato all’inizio del capitolo, l’obiettivo che Mauro Bolognini mira a raggiungere con la messinscena scaligera della Norma è quello di eliminare le cattive abitudini che nel campo del teatro lirico ostacolano l’ascolto della musica, prima fra tutte l’eccesso di orpelli decorativi delle scenografie. Considerando l’opera un fatto soprattutto musicale, la sua decisione di affidare la parte visiva dello spettacolo a Ceroli, con il quale da questa occasione in poi stringe un lungo e prolifico sodalizio collaborativo, non è casuale: è lo stesso Bolognini a dichiarare che «per quanto riguarda la regia teatrale, il [suo] impegno con Ceroli [è] stato quello di semplificare e abolire tutte le sovrastrutture della cosiddetta tradizione. Le immagini hanno lo scopo di aiutare ad ascoltare la musica, non di seguire la trama oscura»453. La novità dell’apporto scenografico dello scultore è sottolineata già prima della messinscena dello spettacolo da Bolognini, che afferma che quella di Ceroli «non è una scenografia, ma una macchina teatrale girevole […] semplicissima, nella quale di ogni quadro esiste un solo elemento scultoreo che suggerisce l’ambiente: la quercia d’Irminsul, i bassorilievi che incombono sui giacigli dei fanciulli, la grande scala del tempio»454.

Inizialmente Ceroli progetta di costruire la scena in pietra, con il travertino, idea che tuttavia abbandona sia per l’insorgenza di difficoltà tecniche sia perché si rende conto che questa sua scelta non avrebbe avuto senso in un ambiente chiuso come quello scaligero455. Decide di far «avanzare di 3 metri e 40 dal tagliafuoco il proscenio, per un contatto più da vicino col pubblico»456 e di costruire la

452

Ibidem, p. 200.

453

Dichiarazione di Mauro Bolognini intervistato da Guido Oddo in occasione della trasmissione in eurovisione RAI della Norma messa in scena alla Scala il 18 gennaio 1977; cfr. nota 4.

454

Pier Maria Paoletti, Vorrei togliere la polvere dalle cattive tradizioni, cit.

455 Cfr. M.P., Legno russo a quintali per la Norma alla Scala, «La Stampa», 20 dicembre 1972.

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scenografia in legno, con il suo Mappacubo. A questo proposito l’artista ricorda: «L’ho ingrandito, l’ho portato a una altezza di dieci metri ed è diventato l’elemento centrale ideale per la Norma, che ruotava su sé stesso creando gli ambienti del caso. […]. Siccome la struttura era una struttura primaria, di conseguenza offriva la possibilità di togliere degli elementi e farla diventare di volta in volta un’altra cosa: cioè, ruotando su se stessa poteva diventare o un tempio, una cosa sacrale, o un ambiente a sé stante: avendo una struttura molto precisa, geometrica»457. Su questa scultura in scala maggiorata Ceroli ha cercato di pietrificare nel tempo la storia di Norma. «Su quella base», racconta ancora l’artista, «ho cercato di ambientare tutto quello che è necessario per lo spettacolo, tenendo conto dei tempi musicali. Ho sentito quest’opera come una storia d’incesto fra sacerdotesse e romano, dando un’interpretazione di sesso: la quercia sacra a simbolo dell’uomo. La quercia è un uomo a testa in giù, in segno di sacrificio, nella prima scena lo si vede chiaramente»458.

In linea con la ricerca «di essenzialità e di semplicità»459 di Bolognini, Ceroli gioca sul rigore, la linearità, la geometricità: queste le caratteristiche salienti della sua scena «anticonvenzionale»460, questi gli aspetti innovativi che hanno segnato un punto fermo di svolta nell’ambito della scenografia melodrammatica. Niente più quinte e fondali dipinti realisticamente, niente più scene ormai codificate e scontate: al loro posto una grande scultura, che attraverso un movimento a rotazione e tagli di luce si trasfigura in un tempio o in una foresta, e che diventa il mondo fisico e spirituale della vicenda. Il fattore drammatico, come sottolinea il Sovrintendente del teatro scaligero Paolo Grassi ancora nel 1977461, è palesato da pochi elementi che incombono sui personaggi: il mappacubo è il mondo di Norma, ad esso è deputato lo sviluppo psicologico del dramma, che la scena ceroliana accoglie e asseconda, addirittura ampliandolo con soluzioni geniali.

L’innovativa scenografia di Ceroli ha delle ripercussioni sulla recitazione dei personaggi: Bolognini evidenzia infatti che nello spazio geometrico «anche le masse si muovono geometricamente, come in una tragedia greca»462. Sulle tenui tonalità dei listoni di legno grezzo della scenografia, i personaggi spiccano come macchie di colore indossando i bellissimi costumi azzurri, neri o ruggine che Gabriella Pescucci confeziona, ad eccezione di quelli indossati da Norma e Adalgisa, con materiali poveri come cuoio e stoffe ma ricchi in dettagli e rifiniture463 (figg. 20, 21).

L’ACCOGLIENZA CRITICA DELL’ALLESTIMENTO CEROLIANO

Da un punto di vista prettamente musicale, Norma ottiene il favore della critica, che evidenzia la bravura di Gavazzeni e l’ottima esecuzione canora degli interpreti: il tenore Gianni Raimondi, debuttante nei panni di Pollione, Fiorenza Cossotto, rivelatasi una «favolosa Adalgisa»464 e la grande soprana spagnola Montserrat Caballé, interprete di una Norma che «non è una passionale occasionale»465 e che è in grado di reggere a pieno titolo il confronto con la “storica” Norma, Maria

457

Mario Ceroli in Franco Quadri (a cura di), Questo è il teatro di Ceroli, in Maurizio Calvesi, Ceroli, catalogo della mostra, Firenze, Forte Belvedere, 14 luglio-16 ottobre 1983, La Casa Usher, Firenze 1983, pp. 97-98.

458 Mario Ceroli in Fabio Doplicher (a cura di), Mario Ceroli: scenografia come scultura, cit., p. 26. 459

Pier Maria Paoletti, Vorrei togliere la polvere dalle cattive tradizioni, cit.

460

Vittoria Crespi Morbio, Ceroli alla Scala, cit., p. 9.

461 Dichiarazioni di Paolo Grassi intervistato da Guido Oddo in occasione della trasmissione in eurovisione RAI della Norma ripresa al Teatro

la Scala il 18 gennaio 1977; cfr. nota 4.

462

Pier Maria Paoletti, Vorrei togliere la polvere dalle cattive tradizioni, cit.

463 Cfr. Caterina D’Amico (a cura di), Gabriella Pescucci: storie di vestiti, De Luca, Roma 1995, p. 26-27. Si segnala che sul programma di sala

scaligero della Norma della stagione 1974/75 sono riprodotti molti disegni dei costumi di Pescucci.

464 Gioacchino Lanzi Tomasi, Una meraviglia l’accordo delle due voci femminili, «Il giorno», 23 dicembre 1972. 465 Ibidem.

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Callas466. Per quanto riguarda invece le scene, lo spettacolo riceve il trattamento opposto: il pubblico in sala si dimostra nostalgico del fogliame della selva di Irminsul467; la critica stronca con commenti freddi e incisivi il lavoro di Ceroli, definito di volta in volta «scatola delle “costruzioni” […] vuota di senso» 468 , «nudo e stonato» 469 , «spaziante nel vuoto come commerciali “stand” pubblicitari»470,«espediente, non necessario, che immiseriva gli spazi scenici»471, «colossale trabiccolo […] ingombrante e ossessionante»472, «cassoni da imballaggio rimasti vuoti dopo un trasloco»473, «immenso fasciame»474. Oggetto di grande scandalo, la scenografia di Ceroli riceve pochi consensi critici. Uno è quello di Gioacchino Lanzi Tomasi che, con l’unica eccezione del cartiglio ligneo «ammicco superfluo alla prassi rinascimentale dei luoghi deputati», definisce quello creato dall’artista «uno spazio scenico talmente significante [che] regista e costumista si sono trovati a dover soltanto distribuire l’azione in questa ideale pedana degli eroi». Lanzi Tomasi afferma pure che in questo allestimento «Bellini e Ceroli hanno già detto tutto; gli altri hanno avuto il tatto di riconoscerlo, e di servire»475. Un altro apprezzamento arriva dalle pagine de L’Unità, dove si legge che «l’impianto scenico di Ceroli riduce al minimo i riferimenti concreti e si attiene ad una linearità essenziale, dove rigore stilistico e gusto moderno rendono a Bellini un eccellente servizio»476.

Nonostante la stroncatura quasi unanime della critica in occasione della messinscena del 1972, questo allestimento è stato ripreso a intervalli regolari per tutti gli anni Settanta, non solo al Teatro alla Scala nel 1975, nel 1977 e nel 1979, ma addirittura al Teatro Bolscioi di Mosca nel giugno 1974, in occasione della tournée scaligera. La riproposizione della scenografia di Ceroli testimonia il mutato atteggiamento dei critici, che solo in un secondo momento si accorsero di quanto essa fosse «una delle realizzazioni scenografiche più originali e felici nella storia della Scala dal dopoguerra in poi»477.

466 Cfr. Renuccio Farnese, Ottime entrambe l’una e l’altra Norma, «Il milanese», 1 gennaio 1973; Luigi Rossi, Norma di legno, «La Notte», 23

dicembre 1972; P.P., La coerenza di Norma, «L’unità», 23 dicembre 1972.

467

P.P., La coerenza di Norma, cit.

468Autore anonimo, titolo non pervenuto, «Il Sole 24 ore», 24 dicembre 1972. 469

Franco Abbiati, Norma nobile e bella, «Corriere della Sera», 23 dicembre 1972.

470

Ibidem.

471 G. Pi., La Caballè alla Scala interprete di “Norma”, «La Stampa», 23 dicembre 1972. 472

Beniamino Dal Fabbro, Questa “Norma” deve molto alla Caballé, «Avvenire», 23 dicembre 1972.

473

Ibidem.

474 Luigi Rossi, Norma di legno, cit. 475

Gioacchino Lanzi Tomasi, Una meraviglia l’accordo delle due voci femminili, cit.

476 P.P., La coerenza di Norma, cit.

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IDENTIKIT

Dal romanzo The driver’s seat di Muriel Spark 1973

Sceneggiatura di Giuseppe Patroni Griffi e Raffaele La Capria Scenografie di Mario Ceroli

Costumi di Gabriella Pescucci

Musiche di Franco Mannino eseguite al pianoforte dall’autore Fotografia di Vittorio Storaro

Montaggio: Franco Arcalli Assistente montaggio: Olga Pedrini Aiuto assistente montaggio: Leonardo Romani

Assistente scenografo: Mario Servillo Arredatore: Andrea Fantacci Organizzatore generale: Nello Meniconi

Direttore di produzione: Sergio Galiano Aiuto regista: Albino Cocco, Aldo Terlizzi

Ispettore di produzione: Gino Capponi, Luciano De Pittà Segretario di produzione: Silvano Spoletini, Marisa Mennicini

Segretaria di edizione: Elvira D’Amico Assistente segretaria di produzione: Ermida Ichino

Operatore alla macchina: Enrico Umetelli

Assistente operatore: Giuseppe Alberti, Mauro Marchetti Fonico: Claudio Maielli

Microfonista: Corrado Volpicelli Tecnico del mixage: Venanzio Biraschi Trucco: Stefano Trani, Giancarlo Novelli

Montatore del suono: Attilio Gizzi Effetti sonori: Luciano Anzellotti Fotografo di scena: Sergio Strizzi Amministratore: Donato Leoni

Edizione: Mario Basili Interpreti e personaggi:

Elisabeth Taylor - Lisa Guido Mannari – Guido, il garagista

Ian Bannen - Richard Luigi Squarzina – l’interrogatore Mona Washbourne – Mrs. Fiedke, la turista

Maxence Milfort – Billy Marino Masè – Lorenzi, il vigile Dino Mele – altro interrogatore Maurizio Bonuglia – altro interrogatore

116 Federico Martignoni Andy Wahrol Bedy Moratti Quinto Parmeggiani Nadia Scarpitta Nita Bartolucci Alessandro Perrella Giuseppe Cino

Prodotto da Franco Rossellini per Rizzoli Film, Felix Cinematografica, 1974 Distribuzione Cineriz. Durata 105’. In Technicolor.

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La collaborazione cinematografica di Ceroli con Patroni Griffi prosegue nel 1974 con Identikit, quarto film del regista napoletano, il successivo dopo Addio fratello crudele478. Tratto dal romanzo di Muriel Spark The driver’s seat del 1970 edito in Italia da Bompiani con il titolo Identikit, il film narra la storia di una signora tedesca, Lise, che si trasferisce a Roma per una vacanza. In realtà la donna, in forte crisi d’identità vuole prendersi una vacanza definitiva, cioè morire. Sull’aereo uno dei due uomini a cui è seduta a fianco scappa, preso da una paura senza giustificazioni. L’altro, al contrario, comincia a farle pesanti avances. Vagando per Roma, Lise incontra una serie di persone: l’uomo dell’aereo che continua a farle proposte esplicite di carattere sessuale; una donna anziana che le parla di un nipote che sta aspettando; un uomo intravisto all’aeroporto, completamente vestito di bianco e dall’aspetto cadaverico; un meccanico che la soccorre dopo un attentato ad un politico in cui è stata coinvolta, e che in seguito cerca di violentarla; infine il primo uomo dell’aereo, che si scopre essere il nipote della signora conosciuta. In parallelo si svolge un’indagine della polizia che ricostruisce il viaggio di Lise attraverso le testimonianze delle persone che l’hanno incontrata: la donna, infatti, viene trovata morta nel parco di Villa Borghese. La vera ragione del viaggio di Lise, come è lei stessa a ripeterlo più volte durante il film, è di incontrare un uomo, anche se non sa bene chi sia, che risolverà il suo destino. L’uomo si rivela infine il nipote della signora conosciuta a Roma, che sembra conscio di e spaventato da un destino che riconosce come proprio e che si intreccia ineluttabilmente con quello di Lise: la deve uccidere, pugnalare in un parco, come lei stessa desidera e gli ordina; vuole e deve amarla ad uno stadio supremo che per Lise, consapevole e responsabile del suo destino, coincide con la morte.

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