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L’ACCOGLIENZA CRITICA CRITICA DELL’ALLESTIMENTO CEROLIANO

5.ANALISI DEGLI ALLESTIMENTI SCENOGRAFICI PER IL TEATRO, IL CINEMA E LA TELEVISIONE

L’ACCOGLIENZA CRITICA CRITICA DELL’ALLESTIMENTO CEROLIANO

Il Candelaio, dopo la prima veneziana, nei mesi successivi è presentato sui palchi di molti teatri italiani, fra cui il Quirino di Roma, il Valli di Reggio Emilia, l’Alfieri di Torino. Ancora una volta, con questa messinscena Ronconi fa rumore e si impone all’attenzione del pubblico e della critica teatrale. Ma mentre il primo accoglie calorosamente il Candelaio, applaudendolo ripetutamente già dalla prime serate349, la seconda si frattura in due schieramenti nettamente contrapposti.

Le critiche negative sono rivolte innanzitutto ad alcune concezioni registiche di Ronconi, accusato di aver eccessivamente tagliato il testo bruniano e, nonostante ciò, di non aver portato chiarezza nella

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Corrado Augias in Corrado Augias, Luca Ronconi, Enzo Siciliano, Il modulo deformazione. Luca Ronconi / Corrado Augias / Enzo Siciliano sulla messinscena del “Candelaio”, «Sipario» n°271, novembre 1968, pp. 9-10.

345 Franco Quadri, Il rito perduto, saggio su Luca Ronconi, cit., p. 67. 346

Ibidem, p. 68.

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Giorgio Prosperi, Protagonista il linguaggio nel “Candelaio”di Giordano Bruno, «Il Tempo», 9 ottobre 1968.

348 Cfr. nota 12. 349

Cfr. Raul Radice, «Il candelaio» a Venezia,« Corriere della sera», 3 ottobre 1968; G.A. Cibotto, Un «Candelaio» affrontato con coraggio e impegno, «Il Gazzettino», 3 ottobre 1968; Gi. Bo., Un “Candelaio” di buona fattura,«La Gazzetta di Reggio», 22 novembre 1968; Homus, L’ilare tristezza di Giordano Bruno,«L’Unità», 23 novembre 1968.

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messinscena stessa della commedia, anche se l’intento del regista era volutamente quello350. Poco capita e non uniformemente apprezzata351 pure la scelta di far interpretare le figure dei sottoproletari ad autentici ragazzi di vita, tra cui Ninetto Davoli, presi dalla strada come nel cinema neorealista, figli di borgata del tutto estranei o forse inconsapevoli anche del senso del teatro, che oppongono una freschezza immediata di corposità e di esperienza altra all’artificio degli attori. Con questa significativa scelta Ronconi mira ad esprimere visivamente una contrapposizione testuale, «cioè quella tra la parodia, rappresentata dagli elementi culti (che si concreta nella classe destinata a morire, e all’interno dello spettacolo negli attori professionisti), e l’irruzione della realtà precisa dei marioli, con tutto il senso eversivo del loro esserci: un’antitesi che investe la presenza fisica come la concezione linguistica»352. Questo contrasto assume quindi valore drammatico: la ventata d’aria nuova costituita dall’apparizione di non-attori in scena è veramente l’espressione dell’elemento misterioso che interviene a rompere imprevedibilmente una situazione storica cristallizzata, con un richiamo immediato all’attualità. Questi marioli, così nostri, sono l’inequivocabile tramite all’oggi di uno spettacolo se non fosse per la lingua del tutto atemporalizzato, dato che né scene né costumi impongono una datazione con la loro vaga allusività. Ronconi, però, non viene capito: se Cibotto preferisce «sorvolare sul gruppo dei “romani”, utilizzabili forse meglio in qualche film pasoliniano sulle borgate»353, e se Guglielmino afferma che «c’è da dubitare che […] giovi l’uso di otto giovinotti “presi dalla vita” e tutti ben provvisti di salso accento romanesco, un romanesco da borgata, laddove Bruno voleva attingere a un autentico bassofondo napoletano»354, c’è da dire che la critica si rivela unanimamente concorde nel recensire le ottime prestazioni recitative di tutti gli attori.

Per quanto riguarda più specificamente l’allestimento scenico dello spettacolo, anche in questo caso i critici esprimono pareri differenti e talvolta contrastanti. In via generale, però, si può riscontrare un atteggiamento di tiepida accoglienza nei confronti della scena ceroliana, in particolare negli articoli pubblicati all’indomani delle prime rappresentazioni dello spettacolo, che principalmente puntano l’attenzione sulle scelte di impostazione registica compiute da Ronconi per far fronte all’intrinseca difficoltà linguistica del Candelaio. Cibotto definisce «funzionale ma non originale la scena di Mario Ceroli, che forse ha rispettato puntualmente i desideri del regista», e «discutibile» la «progettazione e realizzazione di scene e costumi, che con il loro sbrindellato e sgangherato incombere, hanno reso troppo evidente, quasi un pugno nell’occhio, quello che andava tenuto in ombra»355. Cimnaghi parla di un allestimento che «incuriosisce, a prima vista, per la sua originalità […] ma poi, oltre a rivelarsi di un’insopportabile piattezza, manifesta l’arbitrio della sua concezione, riflesso, d’altronde, della forzatura del testo da parte del regista nel senso di una atemporalità dell’azione e di una rarefazione patologica delle psicologie che priva la commedia delle sue più autentiche ragioni umane. Ottimo invece, in un simile dispositivo scenico, l’uso che per lo svolgimento dell’azione è stato fatto degli spazi scenici: i canoni veristici sono stati completamente abbandonati con una disinvoltura ricca d’inventiva e di efficacia»356. Recensita piuttosto velocemente a Reggio Emilia, dove viene descritta come «buona, anche se non trascendentale»357 e «singolare ma funzionale»358, la scena di Ceroli per il Candelaio trova due sostenitori in Alberto Blandi e in Augusto Romano. Il primo evidenzia come

350

Cfr. Corrado Augias, Luca Ronconi, Enzo Siciliano, Il modulo deformazione, cit.

351

Cfr. G.A. Cibotto, Un «Candelaio» affrontato con coraggio e impegno, cit.

352 Franco Quadri, Il rito perduto, saggio su Luca Ronconi, cit., p. 70. 353

G.A. Cibotto, Un «Candelaio» affrontato con coraggio e impegno, cit.

354

Gian Maria Guglielmino, I distruttivi furori di Giordano Bruno nella commedia «Il candelaio», cit.

355 G.A. Cibotto, Un «Candelaio» affrontato con coraggio e impegno, cit. 356

M. R. Cimnaghi, Un “Candelaio” falsato dal gusto dello sconcio, «Il Popolo», 11 ottobre 1968.

357 Gi. Bo., Un “Candelaio” di buona fattura,«La Gazzetta di Reggio», 22 novembre 1968. 358 Successo del «Candelaio», «Il resto del Carlino», 22 novembre 1968.

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Ronconi abbia «avuto la felice intuizione di collocare e di mettere l’una accanto all’altra le varie vicende in una specie di popoloso deserto di vecchie porte che si aprono sul vuoto, che s’incastrano tra loro, che s’accatastano precariamente in più piani. Su questa scena di Mario Ceroli tira un’aria di manicomio che […] si addice all’universale follia del Candelaio, ma qui è forse un poco astratta, come staccata dalla corposità di un secolo e di una città»359. Allo stesso modo, il secondo si sofferma sulla scenografia composta primariamente da «porte aperte sul vuoto (è un dettaglio significativo della scenografia di quest’ultimo allestimento)» di cui individua il forte valore simbolico, affermando: «La scena, geniale, di Mario Ceroli, fatta di tante porte che scandiscono lo spazio scenico senza un ordine definito, permette la compresenza delle tre vicende che si intersecano e contribuiscono a dare l’illusione della stemporalità: se follia è essere fuori della storia, qui il palcoscenico è un asilo di folli, di istrioneschi pupazzi che non sanno quello che fanno»360.

Mentre i critici teatrali si soffermano sullo scoperto simbolismo dell’impianto scenico ceroliano, quelli d’arte lo analizzano da un’altra angolazione: quella dello spazio, anzi della moltiplicazione degli spazi, dell’ambiente, tematica allora tanto cara al mondo artistico. Quintavalle, all’indomani della messinscena, evidenzia che «l’intenzione architettonica di Ceroli», ben presente nel suo lavoro di scultore, si palesa definitivamente proprio con questo impianto scenico grazie alla scelta dell’artista di non utilizzare il suo materiale d’elezione, il pino di Russia: «qui, in questa scenografia, abbiamo la riduzione della stessa materia a sistema di percorsi, anzi la scena è proprio e soltanto sistema di percorsi. Dunque teatro come architettura di percorsi, e, quindi, rappresentazione di spazi possibili»361.

Questi percorsi molteplici sono facilmente creati proprio dalle porte, che vengono aperte, chiuse e attraversate dagli attori, i quali a loro volta, con le loro azioni modificano continuamente gli spazi appena creati. Sono le porte che guidano i movimenti dei personaggi e ne determinano o meno l’incontro. L’impianto di Ceroli offre quindi la possibilità funzionale di rinnovare continuamente le dimensioni sceniche, di creare più spazi, col semplice aprirsi e chiudersi degli usci. L’impianto spaziale di Ceroli diventa così struttura portante, assume la funzione strutturale che regge tutto la messinscena. Ed essa è costituita da un «caos ordinato di porte attraverso le quali non si arriva da nessuna parte»362. E da nessuna parte conduce del resto la pièce di Giordano Bruno, che è una costruzione mentale, la proposizione di un ordine che poi resta totalmente teorico. Realtà e simbolo si fondono, la funzione strutturale della scenografia si sposa con quella allusiva: Ceroli chiude perfettamente il cerchio.

359 Alberto Blandi, Il «candelaio» di Bruno beffardo, grottesco, violento, cit. 360

Augusto Romano, La mistificazione nel «Candelaio», «L’Italia», 29 novembre 1968.

361 Arturo Carlo Quintavalle (a cura di), Ceroli, cit., p. 27.

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ORGIA

di Pier Paolo Pasolini

Torino, Deposito Di Arte Presente, 27 novembre 1968 Regia di Pier Paolo Pasolini

Struttura scenica e simboli di Mario Ceroli Musiche di Ennio Morricone Alla tromba Tolmino Marianini

Interpreti e personaggi: Laura Betti - Donna Luigi Mezzanotte - Uomo Nelide Giammarco - Ragazza

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A sei mesi dal maggio francese, in un clima ideologico e politico arroventato, il Teatro Stabile di Torino presenta in prima mondiale Orgia (fig. 1), tragedia di Pier Paolo Pasolini scritta, in concomitanza con altre cinque opere, esclusivamente per il teatro. Sostenitori e nemici, critici e recensori, attendono con impazienza la sera della prima, come se fossero a caccia di una preda da scorticare e divorare. L’evento è preparato dallo stesso Pasolini, che in quegli anni – a partire dal 1965, anno della prima stesura di Orgia – sta compiendo un’intensa attività di polemista, prendendo posizione critica nei confronti della cultura di massa, del retaggio gramsciano, e predicando un «cinema inconsumabile» ed un teatro autenticamente democratico sul modello di quello ateniese. Per quanto riguarda specificamente l’ambito teatrale, Pasolini prepara il suo debutto sul piano teorico con il Manifesto per un nuovo teatro, pubblicato nel numero di gennaio-marzo 1968 della rivista Nuovi Argomenti, da lui diretta insieme ad Alberto Carocci ed Alberto Moravia363. Per Pasolini il concetto di nuovo teatro si concretizza nel «Teatro di Parola», ossia in un teatro che si oppone sia al «Teatro della Chiacchiera» sia al «Teatro del Gesto o dell’Urlo» - l’uno tradizionale e ufficiale, l’altro d’avanguardia, ma entrambi prodotti di una medesima società borghese - attraverso il recupero autentico della parola. Pasolini invita ad assistere alle rappresentazioni del Teatro di Parola «con l’idea più di ascoltare che di vedere»: e siccome proprio «le idee […] sono i reali personaggi di questo teatro», una delle sue caratteristiche fondamentali è «la mancanza quasi totale dell’azione

scenica. La mancanza di azione scenica implica naturalmente la scomparsa quasi totale della messinscena – luci, scenografia, costumi ecc.: tutto ciò sarà ridotto all’indispensabile»364.

Orgia è la prima manifestazione concreta delle teorie pasoliniane, con cui Mario Ceroli, «accreditato

scultore di scena presso il teatro italiano»365, si confronta e che rispetta, come mette in evidenza Augusto Romano nell’articolo scritto all’indomani della prima rappresentazione, dove si legge che «l’allestimento, conformemente alla poetica teatrale di Pasolini, è di una rigorosa sobrietà»366. Anzi, quella di Ceroli è una sobrietà talmente rigorosa tanto da spingere a parlare, più che di scenografia, di «struttura scenica»367 e, ancor più radicalmente, di «elementi scenici»368.

La ricostruzione dell’allestimento di Ceroli per Orgia è stata resa possibile dallo studio della documentazione consultata personalmente presso il Centro Studi del Teatro Stabile di Torino, costituita dal Quaderno di sala, da molte fotografie di scena e da una cospicua rassegna stampa dello spettacolo.

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