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Ambivalenza di uno spazio connotato: da luogo dei popolari a roccaforte degli estremist

IL TEMPIO DEI DIOSCUR

9. Ambivalenza di uno spazio connotato: da luogo dei popolari a roccaforte degli estremist

9.1. L’occupazione armata di Clodio attraverso il filtro di Cicerone

La centralità del tempio come luogo politico è confermata anche l’anno successivo, il 58 a.C., quando si riunì l’assemblea per decidere sull’esilio di Cicerone, nostra unica fonte per l’episodio162. L’Arpinate ricorda in quattro orazioni il comportamento oltraggioso di P. Clodio163 che, da tribuno, fece presidiare il tempio, dopo aver fatto abbattere una scala o alcuni gradini, e in questo luogo, oltre che dal vicinissimo Tribunale Aurelio164, avrebbe fatto raccogliere armi da varie parti della città, come in un deposito privato165.

Scrive Cicerone: “Quando nel tribunale Aurelio tu (Clodio) arruolavi pubblicamente non solo uomini liberi ma anche schiavi raccolti da tutti quartieri, allora, senza dubbio, tu non preparavi violenze. Quando con i tuoi editti facevi chiudere le botteghe, cercavi non la forza del volgo inesperto, ma l’aiuto moderato e prudente dei cittadini onesti. Quando poi continuavi a portare armi nel tempio di Castore, niente altro tu avevi in mente se non che non si potesse commettere alcuna violenza. Quando poi hai fatto svellere e rimuovere i gradini del tempio di Castore allora hai impedito ai sediziosi l’accesso e l’ascesa di quel tempio, perché ti fosse lecito agire con moderazione”166.

Pur riferendosi ad un anno (il 58 a.C.) in cui Quinto Cecilio Metello non era investito da incarichi magistratuali Cicerone ne loda il profilo morale, sottolineando la nobiltà della gens ed alludendo alla devozione dei Metelli nei confronti dei gemelli divini. L’elogio non è solo un omaggio all’antico legame con i Dioscuri: infatti, l’Arpinate era stato richiamato dall’esilio proprio per intervento di Metello, console nel 57 a.C. Pertanto, mosso da

162 Cic. Sen. 12.32; dom. 54 e 110; Sest. 15, 34, Pis. 5,10; 10, 23.

163 F. FRÖLICH, RE IV 1 (19702), s.v. Clodius (48), cc. 82-88; MRR II 195, s.v. P. Clodius Pulcher (48).

164 PLATNER ASHBY 19672, s.v. Tribunal Aurelium, 539-540; K. KORHONEN, LTUR V (1999) s.v. tribunal

Aurelium, Gradus Aurelii, 86-87.

165 Sull’episodio, da ultimo: SUMI 2009, 172ss.

166 CIC. dom. 21, 54: “Cum in tribunali Aurelio conscribebas palam non modo liberos sed etiam servos, ex

omnibus vicis concitatos, vim tum videlicet non parabas; cum edictis tuis taverna claudi iubebas, non vim imperitae multitudinis, sed hominum honestorum modestiam prudentiamque quaerebas; cum arma in aedem Castoris comportabas, nihil aliud nisi uti ne quid per vim agi posset machinabare; cum vero gradus Castoris convellisti ac removisti, tum, ut modeste tibi agere liceret, homines audacis ab eius templi aditu atque ascensu repulisti.”. Dello stesso tono in: Pis. 5 e 10.

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riconoscenza nei suoi confronti l’Arpinate rivolgeva a Clodio tali parole: “Mentre impedivi (sogg. Clodio) ai tuoi colleghi (tribuni) il libero esercizio della somma potestà di cui erano investiti, mentre rendevi impossibile a chiunque l’accesso al tempio di Castore, mentre ordinavi che in presenza del popolo romano venisse insultato dai tuoi satelliti questo illustrissimo uomo (Quinto Cecilio Metello) nato da nobilissima famiglia, insignito dai più alti onori del popolo romano (..) collocavi la statua della Libertà in quella casa che era per se stessa testimonianza della servitù del popolo romano?”167.

La crisi in cui versa la repubblica è tale che il tempio sembra essere sottoposto ad un vero e proprio stato di assedio da parte di un esponente popolare estremista, un segno, quest’ultimo, della frequentazione consolidata del luogo, come un comune spazio propagandistico: ne è prova anche l’iniziativa di rimuovere i gradini, un gesto che aveva l’effetto di impedire l’accesso pubblico al tempio. In relazione a queste circostanze Cicerone testimonia che al tempio, quasi diventato un fortino, affluivano cittadini rovinati, veterani catilinari e briganti.

9.2. Il tempio come luogo di raccolta dei supporters di Clodio

Dopo l’episodio di vera e propria occupazione di un luogo tra i più simbolici dell’ascesa cesariana, tra 58 e 57 a.C. con il riposizionamento dei gradini doveva essere stata ripristinata la funzione di spazio assembleare del tempio, senza però che quest’ultimo perdesse la sua potenzialità aggregativa nei confronti dei supporters di Clodio.

Infatti, secondo quanto afferma l’Arpinate nella Pro Sestio, in prossimità di questo stesso edificio si verificò un’aggressione ai danni del suo amico ed assistito, P. Sestio168, ad opera di uno schiavo che l’oratore associa a Clodio: “Eppure neanche da allora Sestio provvide a farsi scortare dai suoi uomini, per poter esercitare la sua magistratura ed amministrare gli affari dello stato in un Foro divenuto meno pericoloso. Confidando nell’inviolabilità del tribunato e convinto di essere ben difeso, per le leggi sacre, non soltanto contro la

167 CIC. dom. 42, 110: “Tu cum conlegas tuos summa potestate praeditos negares liberos esse, cum in

templum Castoris aditus esset apertus nemini, cum hunc clarissimum virum, summo genere natum (…)

audiente populo Romano a pedisequis conculcari iuberes, (…) Libertatis simulacrum in ea domo conlocabas, quae domus erat ipsa indicium crudelissimi tui dominatus et miserrimae populi Romani servitutis?”

168 F. MÜNZER, RE II A 2 (19722), s.v. P. Sestius (6), cc. 1886-1890; MRR II 202, s.v. P. Sestius (6), MRR III, 197.

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violenza armata, ma anche contro le interruzioni ingiuriose, egli si reca nel tempio di Castore, e annuncia al console che gli auspici sono contrari ed improvvisamente la famigerata banda di Clodio, che spesso era stata vincitrice negli scontri con inermi cittadini, comincia a gridare, a riscaldarsi, ad aggredire; su quel tribuno che era inerme e senza alcuna difesa,alcuni si scagliano con le spade in pugno, altri con pezzi di staccato e bastoni. Questo poveretto ne riportò tante ferite e fu talmente percosso e straziato che si abbatté come privo di vita e null’altro lo salvò dalla morte se non la falsa convinzione che fosse morto”169. Alla luce di queste parole non si può dimenticare la consonanza fra la compagine che Cicerone descrive, formata da schiavi, liberti ed emarginati, e la vocazione libertaria dei Dioscuri, divinità protettrici proprio delle categorie citate dall’Arpinate. La frequentazione estremista del tempio sembra essere confermata anche successivamente, quando, al suo interno fu arrestato uno schiavo di Clodio, l’esecutore materiale del tentato omicidio di Pompeo, aggredito l’11 agosto del 57 a.C. su istigazione del capopolo.

Cicerone afferma nell’orazione che “Si è arrestato nel tempio di Castore uno schiavo di Publio Clodio, da lui fatto appostare là per assassinare Gneo Pompeo. Quando gli venne strappato di mano il pugnale si ebbe piena confessione: dopo d’allora Pompeo si tenne lontano dal foro, dal Senato, dai luoghi pubblici; a offrirgli protezione furono la porta e le pareti della sua casa, non la legittima autorità delle leggi e dei tribunali.”170.

169 CIC. Sest. 37, 79: “itaque fretus sanctitate tribunatus, cum se non modo contra vim et ferrum sed etiam

contra verba atque interfationem legibus sacratis esse armatum putaret, venit in templum Castoris, obnuntiavit consuli: cum subito manus illa Clodiana, in caede civium saepe iam victrix, exclamat, incitatur, invadit; inermem atque imparatum tribunum alii gladiis adoriuntur, alii fragmentis saeptorum et fustibus; a quibus hic multis vulneribus acceptis ac debilitato corpore et contrucidato se abiecit exanimatus, neque ulla alia re ab se mortem nisi opinione mortis depulit.” Nuovamente in Sest. 38, 83.

170 CIC. Mil. 7, 18-19: “Comprehensus est in templo Castoris servus P. Clodi, quem ille ad Cn. Pompeium

interficiendum collocarat: extorta est ei confitenti sica de manibus: caruit foro postea Pompeius, caruit senatu, caruit publico: ianua se ac parietibus, non iure legum iudiciorumque texit.Num quae rogatio lata, num quae nova quaestio decreta est? Atqui si res, si vir, si tempus ullum dignum fuit, certe haec in illa causa summa omnia fuerunt.”

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