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La composizione degli opposti: concordia e libertas nell’universalismo di Cesare.

NELLA POLITICA DELLA TARDA REPUBBLICA ROMANA

6. La concordia nelle crisi triumvirali fino alla battaglia di Farsalo

7.1. La composizione degli opposti: concordia e libertas nell’universalismo di Cesare.

Dopo la vittoria a Farsalo l’universalismo dei quattro trionfi di Cesare nel 46 a.C.197 si riverbera anche sui titoli che questi ottiene di lì a poco: quello di Liberatore, conferito al dittatore nel 45 a.C., e che richiama alla memoria la Libertas dei popolari198, e l’epiteto di pater patriae, più vicino all’ottica conservatrice degli optimates e riconosciutogli poco prima delle idi di marzo del 44 a.C. in un decreto senatorio che stabiliva anche la costruzione di un tempio, ricordato da Cassio Dione come intitolato alla Omonoia Kainè199. Ancora una volta il richiamo a M. Furio Camillo come modello politico è assai evidente.

Dopo il 9 agosto del 48 a.C. Cesare si presentava come il restauratore della concordia: aveva combattuto contro un esercito formato da propri concittadini, che però preferiva connotare come semplici ribelli, e senza irridere agli sconfitti proiettava la propria vittoria su tutta la cittadinanza, idealmente riconciliata da un sentimento ancor più nobile della pace perché escludeva l’uso della violenza. Quindi celebrava una concordia in cui erano coinvolti direttamente anche i vinti: è chiaro che, pur avendo perso nella sostanza la sua natura compromissoria e l’aspetto pacifico della condivisione del traguardo, la Concordia di cui si fregiava Cesare sfruttasse il lungo corso della concordia ordinum ciceroniana, sebbene su presupposti assai diversi, senza dimenticare che i decreti onorifici avvicinavano sempre di più Cesare all’immagine del nuovo Romolo (a cui Cicerone per primo si era paragonato).

196 GARTNER 2008, 49. 197 APP. bell.civ. II 101.

198 MARCO SIMON, PINA POLO 2000, 288ss.

199 DIO XLIV 4: “…πρός τε τούτοις τοιούτοις οὖσι πατέρα τε αὐτὸν τ῅ς πατρίδος ἐπωνόμασαν καὶ ἐς τὰ

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Come si è anticipato, il modello della nuova immagine di Cesare è Camillo, nella cui scia si inserì da dittatore nel discorso che precedette la battaglia di Farsalo200 e poi quando decise di aggiungere un giorno alla durata dei Ludi Romani nel 46 a.C. Tuttavia Cesare ben presto superò anche Camillo, dopo essere stato riconosciuto oggetto di onori pari a un dio201.

Difficile dire se la dedica cesariana alla Omonoia Kainè implicasse la costruzione di un tempio nuovo o il restauro dell’opera di Opimio: quel che è certo è che, come si è già detto, il monumento rappresentava una diversa concezione della Concordia, da non mettere in relazione diretta con quella del console del 121 a.C.

A questo punto la lunga contrapposizione fra Concordia e Libertas può dirsi conclusa, poiché entrambe sono confluite in armonia (insieme alla pax e alla pietas) nella propaganda cesariana202: Cesare infatti è responsabile della pax deorum, e quindi di una concordia generale203, rispetto alla quale la concordia ciceroniana intesa come consenso dei boni non regge il confronto.

In quanto dispensatore di concordia costui era sia imperator, che annunciava una pace vittoriosa, sia pontifex maximus che rappresentava la pietas; era padre della patria, benefattore delle città orientali e possessore di attitudini salvifiche.

Assai poco si può dire dell’episodio tramandato in maniera confusa da Flavio Giuseppe, che oltretutto è riferito in termini tanto sintetici da non restituire nessun dettaglio utile alla contestualizzazione dei fatti. Si tratterebbe di due distinte assemblee, una deliberativa, il 9 febbraio e l’altra l’11 aprile del 44 a.C. in cui si ratificavano decisioni prese da Cesare in Giudea quando non era console, nel 49-48 a.C., e si stipulava un trattato di amicizia con Ircano II204. In entrambi i casi i consoli del 44 a.C., Dolabella e Antonio avrebbero convocato il Senato nel tempio.

200 APP. bell.civ. II 73, 303ss.

201 WEINSTOCK 1971, 260; GAERTNER 2008, 51.

202 ZANZARRI 1997, 17; MARCO SIMON, PINA POLO 2000, 290. 203 RICHARD 1967, 332-333.

204 IOS. AI. XIV 219: ”Δόγμα συγκλήτου ἐκ τοῦ ταμιείου ἀντιγεγραμμένον ἐκ τῶν δέλτων τῶν δημοσίων τῶν

ταμιευτικῶν Κοΐντω Ῥουτιλίω Κοΐντω Κορνηλίω ταμίαις κατὰ πόλιν, δέλτῳ δευτέρᾳ καὶ ἐκ τῶν πρώτων πρώτῃ. Πρὸ τριῶν εἰδῶν Ἀπριλλίων ἐν τῷ ναῷ τ῅ς ὇μονοίας. Γραφομένῳ παρ῅σαν Λούκιος Καλπούρνιος Μενηνία Πείσων.”; XIV 222: “οἱ δὲ πρεσβεύοντες παρὰ ὘ρκανοῦ τοῦ ἀρχιερέως ἦσαν οὗτοι· Λυσίμαχος Παυσανίου Ἀλέξανδρος Θεοδώρου Πάτροκλος Χαιρέου Ἰωάννης ὆νείου.”

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Infine, Nicola di Damasco205 tramanda un significativo episodio relativo alla vita di Cesare, omesso da M. Bonnefond Coudry nella cronistoria relativa alle assemblee senatorie.

Per apprezzare il valore di questa notizia occorre ricordare che nei giorni che precedettero lo scoppio della guerra fra Cesare e Pompeo, nel gennaio del 49 a.C., Cesare aveva sfruttato le potenzialità patetiche dei due tribuni della plebe M. Antonio206, Q. Cassio Longino207 e di C. Scribonio Curione208 (che aveva ricoperto la magistratura l’anno precedente), fuggiti da Roma travestiti da servi dopo le minacce dei consoli C. Claudio Marcello209 e Lentulo210, che contestavano loro la candidatura al consolato in absentia richiesta da Cesare211.

Di fronte ai propri soldati, che ancora non erano cittadini ma erano stati abituati dal loro generale a considerarsi già tali, Cesare aveva introdotto i tribuni a parlare. Le parole, lo stato d’animo dei fuggitivi, ma soprattutto l’offesa del tribunato, “magistratura sacra ed intangibile”212 era stata utile a giustificare e dimostrare all’esercito la necessità di oltrepassare il Rubicone e marciare verso una città che non rispettava più le proprie istituzioni. Tuttavia alla fine di gennaio del 44 a.C., in un contesto ormai gravemente spostato verso la dominatio, proprio Cesare metterà sotto processo due tribuni, a quanto pare proprio nel tempio della Concordia.

Mentre Cassio Dione213, Svetonio214, Plutarco215 ed Appiano216 tacciono sulla sede del dibattito, Nicola di Damasco217 offre una chiara contestualizzazione, pur condividendo

205 NIC. DAM. Fr. 130 J. 20, 69.

206 P. GROEBE, RE I 2 (19582), s.v. Antonius, cc. 2595-2614; MRR II 258, s.v. M. Antonius (30).

207 F. MÜNZER, RE III 2 (19702), s.v. Cassius (70), cc. 1740-1742; MRR II 259, s.v. Q. Cassius Longinus (70).

208 F. MÜNZER, RE II A 1 (19742), s.v. Scribonius (11), 867-876; MRR II 263, s.v. C. Scribonius Curio (11). 209 F. MÜNZER, RE III 2 (19702), s.v. Claudius (217), cc.2734-2737; MRR II 256, s.v. M. Claudius Marcellus (217).

210 F. MÜNZER, RE IV 1 (19702), s.v. Cornelius (218), cc. 1381-1384; MRR II 256, s.v. L. Cornelius Lentulus

Crus (218).

211 APP. bell.civ. II 33, 130 ; PLUT. Caes. 31. 212 APP. bell.civ. II 131.

213 Dio XLIV 9, 2-3. 214 SUET. Iul. 79,1.

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con le altre fonti un’estrema povertà di dettagli. Appiano riferisce che dopo le Feriae latinae, intorno al 26 gennaio del 44 a.C., la folla acclamò Cesare rex, attribuendogli un titolo che pareva adeguato ai suoi comportamenti. Quando nel grande entusiasmo della folla alcuni sconosciuti facendosi largo incoronarono una sua statua, che si trovava sui rostri, forse non potendo avvicinarsi a Cesare in persona218, i tribuni L. Cesezio Flavio219 e C. Epidio Marullo220, intervennero a rimuovere le corone con prontezza, e successivamente costoro punirono col carcere chi diffamava Cesare con aspirazioni alla tirannide221.

A prescindere dalle interpretazioni contrastanti del comportamento dei tribuni e di Cesare (nel resconto appianeo e di Nicola di Damasco si avanza il sospetto di coinvolgimento dei due magistrati nei ripetuti gesti di oltraggio rivolti al dittatore222, mentre Cassio Dione descrive l’episodio come un accordo segreto, e spiega che per lo scarso successo dell’incoronazione il dittatore avrebbe poi punito il gesto come un complotto rivoluzionario223) è interessante notare che, come si è detto, la punizione, proposta non direttamente da Cesare ma per intercessione del tribuno Elvio Cinna224, sia contestualizzata da Nicola di Damasco il 26 o il 27 gennaio del 44 a.C. nel tempio della Concordia.

A questo proposito M. Sordi ipotizza che l’assunzione della dittatura perpetua successivamente a questo episodio sia scaturita “nelle intenzioni di Cesare, dalla volontà di dimostrare l’origine romana e non ellenistica del potere che egli intendeva

216 APP. bell.civ. II 108. 217 NIC. DAM. Fr. 130 J. 20.69. 218 APP. bell.civ. II 107, 449.

219 F. MÜNZER, RE III 1 (19702), s.v. Caesetius (4), cc. 1310-1311 ; MRR II 323, s.v. L. Caesetius Flavus (4).

220 F. MÜNZER, RE VI 1 (19702), s.v. Epidius (3), cc. 59- 60 ; MRR II 324, s.v. C. Epidius Marullus (3). 221 APP. bell.civ. II 108, 451.

222 APP. bell.civ. II 108, 452 ; NIC. DAM. Fr. 130 J. 20, 69. 223 DIO XLIV 10, 2.

224 DIO XLIV 10, 3 ; cfr. Inoltre : F. VON DER MÜLL, RE VIII 1 (19662), s. v. Helvius (11), cc. 225-226 ; MRR II 324, s.v. C. Helvius Cinna (11), III 100.

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gestire”225. La donazione spontanea della corona da parte del popolo dimostrava insomma che ciò che distingueva dalla tirannide il suo governo era il consenso226. Tuttavia, con un simile gesto Cesare rievocava l’abuso di potere di Tiberio Gracco nei confronti del collega Ottavio, deposto anch’egli, e assumeva lo stesso atteggiamento che anni prima, nel 49 a.C., aveva denigrato di fronte al suo esercito227.

La discrepanza delle fonti e l’unicità del riferimento al tempio non mette in crisi l’interpretazione della notizia, ma anzi la rafforza in chiave augustea poiché, anche se falsa, tradisce l’interesse augusteo a connotare l’atteggiamento di Cesare in senso lealista e rigoroso.

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