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L’emulazione di Pompeo e l’incremento di episodi di contestazione a teatro

IL TEATRO DI GN POMPEO MAGNO E LA TEATRALITÀ DELLA POLITICA NEL SECOLO DELLA RIVOLUZIONE ROMANA

14. Dopo Farsalo: Cesare arbitro dei giochi La contaminazione fra finzione e realtà, fra professionalità e performances straordinarie

14.2. L’emulazione di Pompeo e l’incremento di episodi di contestazione a teatro

Che Cesare avesse in animo di offuscare il progetto di Pompeo e costruire un nuovo teatro “di grandezza insuperabile” è testimoniato in primo luogo da Svetonio302 e ribadito da Cassio Dione303 e Plinio304. Secondo Svetonio l’edificio sarebbe sorto sfruttando le pendici del Campidoglio, nella parte che sovrastava il Foro Olitorio305, e avebbe dovuto

298 MACR. Sat. II 3, 10: “Recepissem te, nisi anguste sederem!” 299 SCHWARTZ 1948, 264ss.

300 MACR. Sat. II 3, 10. 301 SCHWARTZ 1948, 264ss.

302 SUET. Iul. 44,2: “Theatrum summae magnitudinis Tarpeio monti accubans. 303 DIO XLIII 49, 2-3.

304 PLIN. nat. VII 121.

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comportare anche la demolizione di templi e monumenti306. Seppure rimase inattuato, come rileva F. Coarelli, il progetto avrebbe dovuto ricalcare assai da vicino il binomio tempio - teatro, che per primo aveva introdotto Pompeo a Roma307.

Come già si è verificato per altre personalità pur dotate di spiccate doti comunicative, il teatro si rivela luogo insicuro anche per Cesare, nonostante i tanti anni di dittatura: lo dimostra un fatto occorso nel 46 a.C., riportato da Svetonio308, Velleio309 e Cassio Dione310, poco considerato dalla critica eccetto che per fugaci riferimenti in studi sulla partecipazione del pubblico ai Ludi e sulla situazione politica degli ultimi anni di vita di Cesare311.

Leggiamo dalle fonti che in quell’anno non si erano tenute elezioni regolari, ad eccezione di quella a console di Cesare, per la quarta volta: le altre magistrature furono assegnate solo dopo il suo ritorno dalla Spagna (dove era impegnato a spegnere le ultime offensive dei pompeiani) e restarono in funzione per soli tre mesi.

In tali circostanze, Q. Fabio Massimo312 e C. Trebonio313 entrarono in carica come consoli suffetti fra il 3 e il 12 ottobre (dopo il 2, giorno non comiziale, e prima del trionfo di Cesare il 13)314. Oltre che per le ironie graffianti di Laberio, i ludi per il trionfo di Cesare, che, come si è detto, si svolsero in parte nel Foro ed in parte probabilmente sfruttando

306 COARELLI 1997, 586-587. 307 COARELLI 1997, 588.

308 SUET. Iul. 76,2: ”Tertium et quartum consulatum titulo tenus gessit contentus dictaturae potestate decretae

cum consulatibus simul atque utroque anno binos consules substituit sibi in ternos nouissimos menses, ita ut medio tempore comitia nulla habuerit praeter tribunorum et aedilium plebis praefectosque pro praetoribus constituerit, qui apsente se res urbanas administrarent. pridie autem Kalendas Ianuarias repentina consulis morte cessantem honorem in paucas horas petenti dedit.”; 80,3: “…Quinto Maximo suffecto trimenstrique consule theatrum introeunte, cum lictor animaduerti ex more iussisset, ab uniuersis conclamatum est non esse eum consulem.”

309 VELL. II 56, 3: «Neque illi tanto viro et tam clementer omnibus victorüs suis uso plus quinque mensium

principalis quies contigit. Quippe cum mense Octobri in urbem revertisset, idibus Martiis, coniurationis auctoribus Bruto et Cassio, quorum alterum promittendo consulatum non obligaverat, contra differendo Cassium offenderat, adiectis etiam consiliarüs caedis familiarissimis omnium et fortuna partium eius in summum evectis fastigium, D. Bruto et C. Trebonio aliisque clari nominis viris, interemptus est.»

310 DIO XLIII 33 1; XLIII 46, 2.

311 CAMERON 1967, 159; SUMNER 1971, 357.

312 F. MÜNZER, RE VI 2 (19582), s.v. Fabius (108), cc. 1791-1792; MRR II 304, s.v. Q. Fabius Q. f. Q. n.

Maximus (108).

313 F. MÜNZER, RE VI A 2 (19582), s.v. Trebonius (6) cc. 2274-2282; MRR II 305, s.v. Trebonius (6). 314 VELL. II 56, 3; Inscr.It. 13, 1, 86ss.; SUMNER 1971, 357.

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l’opera di Pompeo, si macchiarono di un imprevisto segnale di dissenso quando, al momento dell’ingresso in teatro del console Q. Fabio Massimo non si registrarono applausi spontanei e la sollecitazione da parte del littore a omaggiare le autorità si risolse in un fallimento. Dagli spalti si levarono grida che rinnegavano esplicitamente la credibilità della carica di console suffetto315. La critica ha scandagliato il cursus di entrambi i magistrati, ha verificato la conformità delle due carriere alla norma (già rivestite le cariche magistratuali minori, rispettati i periodi di astensione dalla politica, superata l’età minima per il consolato) ed ha chiarito una volta per tutte che le ragioni del dissenso non dovessero risiedere in negligenze di alcun genere, ma, come ipotizza Sumner316, nella disapprovazione del suffettato, l’escamotage inaugurato da Cesare per assegnare a uomini fidati le province da amministrare, sfruttato anche successivamente, come dimostra l’affidamento del consolato a C. Caninio Rebilo317, entrato in carica il 31 dicembre del 45 a.C. in seguito alla morte improvvisa del console Quinto Fabio Massimo318.

L’episodio (confortato, come si vedrà anche da un brevissima allusione nella Pro rege Deiotaro) metteva in luce le debolezze del cesarismo a pochi mesi dalla congiura e confermava ancora una volta quanto fosse ormai consolidata la tradizione comunicativa del teatro, una situazione al limite della convenzionalità in cui, più facilmente che altrove, si verificavano rimostranze di carattere politico, dal basso verso l’alto e con modalità espressive informali, indirizzate alle autorità presenti agli spettacoli.

Dopo aver documentato l’interesse politico manifestato precedentemente e in varie occasioni da Cicerone e da Cesare a conoscere i sentimenti del popolo, è il caso di tenere conto anche del medesimo interesse, manifestato dal re Deiotaro, una prova ulteriore della piena considerazione riconosciuta, non solo a Roma ma anche ai confini dell’impero, ai giudizi spontanei espressi sugli spalti dei teatri della capitale. Nelle ultime settimane del

315 SUET. Iul. 80, 3: ”…non esse eum consulem. 316 SUMNER 1971, 357.

317 F. MÜNZER, RE III 2 (19702), s.v. Caninius (9), cc. 1478-1479; MRR II 305, s.v. C. Caninius C. f. Cn.

Rebilus (9).

318 CIC. epist. VII 30, 1: “In campo certe non fuisti, cum hora secunda comitiis quaestoriis institutis sella Q.

Maximi, quem illi consulem esse dicebant, posita est, quo mortuo nuntiato sella ablata est, ille autem, qui comitiis tributis esset auspicatus, centuriata habuit, consulem hora septima renuntiavit, qui usque ad Kalendas Ian. esset, quae erant futurae mane postridie: ita Caninio consule scito neminem prandisse; nihil tamen eo consule mali factum est; fuit enim mirifica vigilantia, qui suo toto consulatu somnum non viderit.”

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45 a.C. infatti l’Arpinate era stato impegnato nella difesa del re: questi, suo assistito, era ritenuto mandante del tentato omicidio patito da Cesare nel 47 a.C., mentre era ospite in Oriente presso di lui.

L’oratore scioglie uno dopo l’altro i punti dell’accusa, ritenuti menzogneri, fino a screditare anche le maldicenze attribuite al re sul conto di Cesare. Si diceva infatti che un galata di nome Blesamio si fosse trattenuto a Roma in qualità di osservatore politico per un certo tempo ed avesse riferito a Deiotaro che “tu (Cesare) eri malvisto, che eri ritenuto un tiranno, che l’animo della gente era stato molto irritato vedendo collocare la tua statua fra quella dei re, che comunemente non venivi applaudito”319 e che in sintesi, il dittatore non godeva più del consenso popolare (‘in invidia esse’). A questo punto Cicerone mette in esercizio tutta la propria abilità retorica ed è costretto a negare – suppure con sarcasmo – la realtà della tirannide per poter così smantellare anche l’accusa di diffamazione intentata contro il proprio assistito320. Oltre ad aver verificato il crescente dissenso verso la dittatura in occasione della collocazione della statua di Cesare in Campidoglio (de statua321), infatti il galata avrebbe assistito ad episodi simili, avvenuti durante alcuni ludi (de plausu322). A tal proposito non è difficile immaginare la gravità dell’accaduto se l’oratore, che aveva dichiarato falsi altri casi simili, questo proprio non lo negò pur limitandosi a smorzarne il valore. In tal senso affermava che, del resto, Cesare non aveva mai ambito agli applausi, e che questi ultimi non rappresentavano certo gli unici attestati di stima che il popolo potesse tributare323. Al di là dell’interesse contingente, ovvero di non aggravare la posizione del proprio assistito, Cicerone sapeva bene di mentire: basti ricordare il furore di Cesare, che egli stesso aveva descritto con compiacimento nel 59 a.C., quando il console era stato accolto con un timido applauso dal pubblico in teatro.

Alla luce di tali elementi, prove del dissenso crescente sollecitato a teatro dagli attori, risulta difficile non istituire un collegamento con l’emanazione del divieto (45 a.C.) per la

319 CIC. Deiot. 33: “…ad regem scribere solebat te in invidia esse, tyrannum existimari, statua inter reges

posita animos hominum vehementer offensos, plaudi tibi non solere."

320 CIC. Deiot. 33 : «Valde enim invidendum est eius statuis, cuius tropaeis non invidemus. Nam si locus adfert

invidiam, nullus locus est ad statuam quidem rostris clarior.»

321 CIC. Deiot. 33-34.

322 CIC. Deiot. 34: «…de plausu autem quid respondeam?»

323 CIC. Deiot. 34: «Qui nec desideratus umquam a te est et non numquam obstupefactis hominibus ipsa

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categoria istrionica di svolgere attività politica. Quest’ultima norma costituisce anzi una prova ulteriore del clima di tensione che contraddistinse il quinto anno di dittatura di Cesare e della consapevolezza del pericolo insito nell’operato dell’intera categoria degli attori e nella commistione fra finzione e realtà324.

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