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IL TEATRO DI GN POMPEO MAGNO E LA TEATRALITÀ DELLA POLITICA NEL SECOLO DELLA RIVOLUZIONE ROMANA

14. Dopo Farsalo: Cesare arbitro dei giochi La contaminazione fra finzione e realtà, fra professionalità e performances straordinarie

14.1 Il dissenso nella performance di Laberio

Il caso più singolare, che in parte smentisce l’efficacia delle cautele di Cesare verso il coinvolgimento di personaggi di rango in contesto teatrale, nel corso dei ludi, si registra nel 46 a.C. durante i Ludi Victoriae Caesaris. Si tratta di un episodio che mette in luce qualche incrinatura del cesarismo, e che proprio per la sua esemplarità ha avuto una vasta trattazione da parte di Macrobio277, Seneca Retore278 e, meno dettagliatamente, Cicerone279, Aulo Gellio280 e Svetonio281.

Le fonti non indicano con precisione quale teatro fosse stato utilizzato per la gara di mimi durante i Ludi Victoriae Caesaris, (forse proprio quello di Pompeo) ma sulla base di Svetonio282 e Cassio Dione283 F. Coarelli ritiene accertato che la Naumachia fu organizzata nel Campo Marzio, in un’area paludosa, probabilmente contigua alle proprietà pompeiane, così come le gare atletiche si sarebbero svolte in un circo approntato per l’occasione. Anche se il trionfo non si limitò alla naumachia, è difficile credere che la scelta di mettere in scena la battaglia nel Campo Marzio non beneficiasse anche dell’associazione diretta con Pompeo, tradizionalmente connotato con iconografie marine, e al quale era opportuno fare riferimento proprio per ricordare la vittoria di Cesare: così la valenza navale e pompeiana del campo Marzio sarebbero state depotenziate per mezzo di un’invasione simbolica.

Per quanto riguarda le rappresentazioni teatrali siamo ben informati del fatto che l’autore che aveva ottenuto il maggior successo sino a quel momento era Laberio, di rango

Τροίαν καλουμένην οἱ παῖδες οἱ εὐπατρίδαι κατὰ τὸ ἀρχαῖον ἐποιήσαντο·καὶ ἐφ’ ἁρμάτων οἱ νεανίσκοι οἱ ὁμότιμοι αὐτοῖς ἡμιλλήσαντο.“

277 MACR. Sat. II 3, 10: «Deinde cum Laberius in fine ludorum anulo aureo honoratus a Caesare e vestigio in

quattuordecim ad spectandum transiit violato ordine, et cum detractatus est eques Romanus et comminus remissus, ait Cicero praetereunti Laberio et sedile quaerenti: “Recepissem te nisi anguste sederem!”, simul et illum respuens et in novum senatus iocatus, cuius numerum Caesar supra fas auxerat. Nec impune. Respondit enim Laberius: “Mirum si anguste sedes qui soles duabus sellis sedere”, exsprobata levitate Ciceroni, qua inmerito optimus civis male audiebat.»; II 7, 2; II 7, 10; VII 3, 8.

278 SEN. contr. VII 3, 8-9. 279 CIC. epist. XII 18, 2. 280 GELL. VIII 15. 281 SUET. Iul. 39,3.

282 SUET. Iul. 39, 5; Iul. 44. Sul tema: COARELLI 1997, 584. 283 Dio XLIII 23, 4; APP. bell.civ. II 102.

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equestre, e che costui si avvaleva sulla scena dell’attore Publilio Syro284. Quando inaspettatamente Cesare volle separarli e metterli in gara l’uno contro l’altro il teatro offrì nuovamente - come al tempo di Silla - l’occasione per dare una prova della potenza, generosità e clemenza del dittatore di fronte all’inaspettata vena anti cesariana di Laberio. Questi infatti lanciò numerosi slogan di dissenso in versi estremamente pungenti, che si sono conservati grazie alla trascrizione di Macrobio285 e che documentano una visione repubblicana e tradizionalista inconciliabile con la realtà della dittatura. Diversamente, Publilio sarebbe stato ben più cauto e per opportunismo avrebbe scelto un atteggiamento naif per non urtare i sentimenti di Cesare, esprimendosi con “massime spiritose e molto adatte all’impiego comune”286.

Difficile è sciogliere il dubbio circa le reali intenzioni del dittatore: nel resoconto di Macrobio287 (che è coerente con le brevi informazioni conservate da Aulo Gellio288) la performance è connotata come un’imposizione subita da Laberio, anche in considerazione del fatto che in precedenza, quest’ultimo, di fronte alla richiesta di un mimo da parte di Clodio, aveva opposto il proprio rifiuto, mentre è ragionevole che quando fu il dittatore a proporgli di recitare egli si sia trovato senza alternative.

In considerazione di quanto si è detto, è chiaro che la recitazione costituisse un’attività cui Laberio non era per nulla aduso: come dichiarava nel verso ”uscito di casa da cavaliere romano, vi ritornerò commediante”289 l’imposizione subita lo degradava alla condizione di stipendiato e lo espelleva immediatamente dall’ordine equestre, cui apparteneva per diritto. Sofferente per il declassamento patito, egli avrebbe cercato di stare al gioco, recitando la parte dello schiavo e forse sperando gli si perdonasse l’infrazione commessa contro la propria volontà per coercizione da parte del dittatore. Di tutt’altro avviso è T. Mommsen, e con lui molta critica posteriore, che ha messo in evidenza i vantaggi conseguiti con la performance (l’anello e la reintegrazione nell’ordine), tutti elementi su cui si basa l’ipotesi più o meno sfumata di un accordo e di uno scambio reciproco di

284 O. SKUTSCH, RE XXIII 2 (19722), s.v. Publilius (28), cc. 1920-1928; HAMBLENNE 1973, 630ss.; DUMONT 2004, 244.

285 MACR. Sat. II 7, 2; II 10; VII 3, 8; HAMBLENNE 1973, 663.

286 MACR. Sat. II 7, 10: «...Publilii autem sententiae feruntur lepidae et ad communem usum

accomodatissime». Sull’argomento: HAMBLENNE 1973, 696-697; DUMONT 2004, 244-245. 287 MACR. Sat. II 6,6; II 7,2.

288 GELL. VIII 15; XVII 14,1.

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vantaggi tra dittatore e cavaliere oppresso dalla necessitas290 economica, al di là della questione morale di appartenenza all’ordine291.

Quel che è certo è che con Laberio si inaugurò la tradizione di cavalieri che calcarono le scene di un teatro - con grande apprezzamento da parte del pubblico, soddisfatto da simili occasioni di trasgressione dell’ordine sociale292, e degli aristocratici, di cui in questo modo si assecondava una passione, l’ambizione alla celebrità, senza dimenticare che le possibilità di guadagno rispondevano adeguatamente anche alle necessità economiche di cui i politici soffrivano a causa dell’aumentato costo della propaganda293.

E’ del tutto comprensibile che i richiami all’attualità e l’ironia amara rivolta contro Cesare proprio in occasione del suo trionfo non abbiano incontrato né la simpatia del popolo (che in termini di gusto preferì Publilio, e in termini politici era tutto schierato dalla parte di Cesare) né la compassione dei cavalieri294.

Tuttavia, come nota P. Hamblenne295, Cesare ripeteva anche in questa occasione il sistema generale della sua propaganda: intimidire l’avversario e dimostrare la propria generosità. Così, avrebbe comunicato l’esito della gara pubblicamente improvvisando il verso “Favente tibi me victus es, Laberi, a Syro”296 un senario giambico, per calarsi egli stesso nella dimensione teatrale e nella varietà metrica in cui avevano gareggiato Publilio Syro e Laberio, una contaminazione ulteriore, che nessuno in precedenza aveva mai ritenuto di poter compiere. Inoltre, per il gusto di dimostrare la propria superiorità rispetto ad ogni fonte di diritto, Cesare avrebbe deciso arbitrariamente di riammettere Laberio nell’ordine e di donare allo sventurato i simboli dell’appartenenza al cavalierato (l’anello e una somma superiore al censo minimo richiesto), che forse, come ritiene Giancotti, lo avrebbero sollevato dalle difficoltà economiche e dalla ‘necessitas’ in cui egli stesso aveva dichiarato di trovarsi, nel suo monologo297.

290Necessitas è la prima parola del monologo di Laberio: MACR. Sat. II 6; GIANCOTTI 1967, 168-169.

291 MOMMSEN 1861, 363, n.1, 463, n.3; MALAGOLLI 1905, TILL 1975, 273; LEBEK 1990, 44; BEACHAM 1991, 134; LEPPIN 1992, 253; SAURON 1994, 498: SUSPENE 2004, 341.

292 DUMONT 2004, 248, 333. 293 SUSPENE 2004, 335. 294 GELL. XVII 14, 2. 295 HAMBLENNE 1973, 643. 296 MACR. Sat. II 7-8. 297 GIANCOTTI 1967, 168-169; 180.

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Infine, noncurante del codice d’onore dell’ordine equestre, dopo la recita Cesare avrebbe invitato Laberio a riprendere posto fra gli spettatori, nei 14 gradini riservati al suo rango, ma gli occupanti di questo settore – Cicerone con loro - ignorando la riammissione per opera di Cesare, si rifiutarono di farlo entrare. Nel resoconto delle fonti il diniego generale alla sua riammissione sarebbe stato confermato dalle parole di Cicerone, che trovandosi seduto più in basso (rispetto ai quattordici gradini), nel settore riservato ai senatori, non lasciò passare Laberio, giustificandosi col pretesto di stare già stretto “Ti farei sedere io se non stessi già stretto!”298.

Una simile espressione in realtà si prestava a essere intesa come una lamentela indirizzata a Cesare, in riferimento velato sia all’ampliamento del numero dei senatori, sia - come ritiene Schwartz – all’ammissione degli ambasciatori nel palco riservato ai senatori299. Dal canto suo Laberio con disinvoltura avrebbe rinfacciato all’Arpinate l’abitudine a tergiversare “Mirum si anguste sedes qui soles duabus sellis sedere“ e ad occupare due sedili per volta per opportunismo politico300. Fu così che Laberio fu costretto a lasciare il teatro.

Numerosi dubbi sussistono sull’autenticità di questo aspro scambio di battute fra Laberio e Cicerone in teatro, con cui Macrobio chiude l’episodio. A tal riguardo, Schwartz non crede al battibecco fra Cicerone e Laberio e propone di distribuire la recita e il verdetto in due distinte occasioni, rispettivamente durante i ludi plebei del 47 a.C. e i giochi del 46 a.C., quando la palma sarebbe stata riconosciuta a Publilio301.

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