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L’equivalenza fra census e locus negli ultimi decenni della repubblica: la Lex Roscia

IL TEATRO DI GN POMPEO MAGNO E LA TEATRALITÀ DELLA POLITICA NEL SECOLO DELLA RIVOLUZIONE ROMANA

8. L’equivalenza fra census e locus negli ultimi decenni della repubblica: la Lex Roscia

theatralis

Quasi un ventennio più tardi, con la lex Roscia Theatralis111, il teatro diventava il luogo in cui confermare il proprio ruolo politico e la posizione sociale: l’equivalenza istituita fra censo e locus si traduceva nella distinzione dei quattordici gradini della cavea teatrale in quanto destinati ai cittadini che - oltre ad essere di condizione libera, senza debiti e senza macchie nella propria immagine pubblica (erano indelebili quelle per aver calcato le scene) - avessero un censo minimo di 400.000 sesterzi. Seppure il livello di censo indicato dalla legge non identificava automaticamente i cavalieri, certamente ne raccoglieva una parte molto consistente112.

La disposizione di Roscio si affiancava ad altre di maggior rilevanza, di cui i cavalieri avevano beneficiato dal 70 a.C. in poi, fra cui in particolare l’ammissione nelle corti giudicanti, da quel momento suddivise equamente fra senatori, cavalieri e tribuni aerarii, e che di fatto ascrivevano all’ordo equester la maggioranza. Tali concessioni segnalavano un graduale incremento nella rappresentazione politica dei consistenti interessi economici di tutto l’ordine.

A conferma della ricchezza di valori che la posizione occupata a teatro ricordava ai cittadini, oltre a definire le caratteristiche degli aventi diritto ad un posto nei 14 gradini, la Lex Roscia acquisiva come materia di diritto anche la cautela e la vigilanza dell’ordine nei confronti del decoro dei propri membri. Così la legge stabiliva una posizione differente sugli spalti anche per i decoctores, coloro che, pur conservando il titolo di cavalieri, erano stati ammoniti per condotta vergognosa o stile di vita non all’altezza del rango

109 BEACHAM 1991, 155 ; LEBEK 1996, 37; DUMONT 2004, 244.

110 CIC. epist. XVIII 2; GELL. XVII 14, 1-4; SUET. Iul. 39, 3; SEN. contr. VII 3, 8-9; MACR. Sat. II 3, 10; II 7, 2 e 4- 8; II 7, 10-11; VIII 3, 8; GARTON 1972, 165.

111 CIC. Mur. 40; Phil. II 44; VELL. II 32, 3; LIV. Per, 99; ASC. Corn. I 61, 22ss.; DIO XXXVI, 42, 1. Sulla legge: SCAMUZZI 1969, 133-165, 259-319; SCAMUZZI 1970, 5-57; CANOBBIO 2002.

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occupato113. Scrive infatti Cicerone nella II Filippica rivolgendosi ad Antonio, che, quando era giovane, aveva perso tutte le proprie sostanze: “Fu colpa della tua sfacciataggine quella di aver continuato a sedere, in teatro, nelle prime quattordici file laddove la legge Roscia fissava altrove il posto per i cittadini falliti, anche se il fallimento fosse dovuto a fortuna avversa e non a dolo“114. Si deduce che l’interdizione fosse temporanea e comportasse una diminuzione nella rispettabilità della persona, un danno morale che si manifestava nell’ingiunzione a sedere in uno spazio intermedio fra la cavea, in cui ex cavalieri decaduti stavano mischiati alla plebe, e i 14 gradini posti più in basso115.

8.1. Il locus theatralis come privilegio politico e strumento di visibilità: la contestazione del popolo

Sulla base di Asconio che dichiara: “in base alla Lex Aurelia le corti furono suddivise tra senatori, ordine equestre e tribuni aerarii – una legge che L. Roscio Othone consolidò due anni prima (di questo discorso) in modo che quattordici file (di sedili) fossero riservate a cavalieri romani affinché assistessero agli spettacoli pubblici”116 e particolarmente del verbo ‘confirmavit’, A. Canobbio ritiene che la Lex in questione replicasse il contenuto di altre emanate in precedenza e che perseguisse un chiaro intento onorifico, dal momento che estendeva anche ai cavalieri il privilegio del locus, precedentemente accordato solo ai senatori117.

Insomma, a conferma della pertinenza della condizione di spettatore nell’insieme dei significati di ‘cittadinanza’, il teatro offriva a Roscio l’occasione per raccogliere consensi presso l’ordo equester.

Quanto all’inclinazione filo equestre della norma, A. Canobbio ritiene possibile che nel 67 a.C. il popolo fosse stato sensibilizzato ad appoggiarla per mezzo di argomenti pseudo democratici dal tribuno Roscio: essa infatti aveva il merito di sminuire il privilegio dei

113 CIC. Sest. 111; HOR. sat. II 6,6; CAT. 41, 1ss.; MACR. Aug. 2, 4, 25; Sull’argomento, SCAMUZZI 1969, 47-51. 114 CIC. Phil. II 44: “llud tamen audaciae tuae, quod sedisti in quattuordecim ordinibus, cum esset lege Roscia

decoctoribus certus locus constitutus, quamvis quis fortunae vitio, non suo decoxisset.”

115 SCAMUZZI 1969, 51-57; CIC. Sest. 110.

116 CIC. Phil. II 18, 44; CIC. Mur. 40; ASC. Corn. 79 C: “Aurelia lege communicata esse iudicia inter senatores

et equestrem ordinem et tribunos aerarios (?)quam L. Roscius Otho biennio ante confirmavit, in theatro ut equitibus Romanis XIIII ordines spectandi gratia darentur.”; LIV. Per. 99; PLUT. Cic. 13, 2-4; VELL.II 32. 3; JUV. III 159.

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senatori includendo nel numero dei suoi beneficiari i cavalieri118, anche se, in realtà, il favore accordato avrebbe potuto consolidare una nuova alleanza proprio tra i due ordini119.

Quel che è certo è che la legge, ritenuta ben presto un’umiliazione da parte della plebe, fu oggetto di contestazioni molto violente, espresse - se non alla prima occasione dopo l’entrata in vigore della legge (di cui non c’è menzione nelle fonti) - alcuni anni dopo, nel 63 a.C.

La protesta si verificò proprio in un teatro, nel mese di luglio durante i Ludi Apollinares - che dovevano svolgersi nel Campo Marzio -, quando Roscio era pretore urbano ed in quanto curator ludorum non poteva sottrarsi alle contestazioni del pubblico120. Della grave protesta si sarebbe potuto conoscere qualcosa di più se si fossero conservate opere ciceroniane ad essa dedicate, come la de Othone121, orazione di cui rimane solo una brevissima citazione del grammatico Arusiano Messio, o almeno le lettere relative all’anno del suo consolato122. Pertanto, se escludiamo le poche notizie conservate da Macrobio123, che identifica in una sola persona l’attore Q. Roscio Gallo e il pretore del 67 a.C. L. Roscio Othone, la fonte più accurata è Plutarco124.

Il biografo introduce l’episodio ricordando che “anticamente i cavalieri assistevano agli spettacoli mescolati a caso tra la folla del popolo” e precisa che Marco Roscio Otone “volle separare i cavalieri dal resto dei cittadini, come un attestato di onore nei loro riguardi”125. Tuttavia la plebe (τὸν δ῅μον ) fischiò l’ex tribuno appena questi entrò a teatro, una vittima di cui i cavalieri, in debito di riconoscenza, presero le difese, scatenando una protesta ulteriormente intensificata verso Roscio e uno scontro verbale

118 CANOBBIO 2002, 21.

119 VANDERBROECK 1987, 230, nr.20.

120 PLUT. Cic. 13. Sul tema, CANOBBIO 2002, 24. 121 CIC. Oth. Fr. 1 Cr. Apud ARUS. GLK VIII 490, 23.

122 PLUT. Cic. 13, 2-4; PLIN. nat. VII 117. Sull’argomento, CRAWFORD 1974, 209-214;

123 MACR. Sat. III 1, 12: “…ceterum histriones non inter turpes habitos Cicero testimonio est, quem nullus

ignorat Roscio et Aesopo histionibus tam familiariter usum ut res rationesque eorum sua sollertia tueretur, quod cum aliis multis tum ex epistulis quoque eius declaratur. Nam illam orationem quis est qui non legerit, in qua populum romanum obiurgat quod Roscio gestum agente tumultuarit?“

124 PLUT. Cic. 13.

125 PLUT. Cic. 13: “…τ῵ν γὰρ ἱππικ῵ν πρότερον ἐν τοῖς θεάτροις ἀναμεμειγμένων τοῖς πολλοῖς καὶ μετὰ τοῦ

δήμου θεωμένων ὡς ἔτυχε, πρ῵τος διέκρινεν ἐπὶ τιμῆ τοὺς ἱππέας ἀπὸ τ῵ν ἄλλων πολιτ῵ν Μ᾵ρκος Ὄθων στρατηγ῵ν.”

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di offese fra le due parti, plebe e cavalieri, ciascuno dalla propria posizione sugli spalti: “Il popolo prese il provvedimento come un oltraggio alla propria dignità, e la prima volta che Otone comparve in teatro lo accolse con una salva di fischi e d’insulti. I cavalieri invece si misero ad applaudire vibrantemente”126. Infatti i cavalieri difendevano Roscio, grazie al quale ora godevano di una migliore visione degli spettacoli, ma soprattutto di maggiore visibilità e riconoscibilità di fronte al resto della cittadinanza per via della contiguità con l’ordine senatorio - seduto nell’area denominata orchestra - e per effetto del raggruppamento in uno spazio definito, che trasmetteva l’apparenza di compattezza e potenza127.

Fra difensori e detrattori di Roscio il clima si sarebbe infuocato “finché passarono ad insultarsi a vicenda, e il teatro cadde in preda a disordini”128; Cicerone, console, fu costretto a far sospendere i giochi e convocare il popolo a una contio improvvisata nel tempio di Bellona129, che si trovava non lontano, nel circo Flaminio. Nel suo discorso l’Arpinate - quasi un leader popolare, se consideriamo la sua riuscita - riuscì a proporre argomentazioni evidentemente valide (Plutarco infatti cita l’episodio come esempio della sua eloquenza130) utili a convincere la plebe ad accettare la legge, ormai in vigore da quattro anni: forse ne esaltò gli aspetti più democratici, dato che quando lo spettacolo riprese si sentirono solo applausi e il popolo faceva a gara coi cavalieri nel dimostrare la propria stima al pretore131.

Come i cavalieri, Cicerone, anch’egli di estrazione equestre, nutriva una profonda riconoscenza verso Roscio per via della concessione di uno status symbol tanto ambito come il posto fisso a teatro. E’ per tale ragione che - correggendo la realtà dei fatti - nella 126 PLUT. Cic. 13, 2ss.: “…τοῦτο πρὸς ἀτιμίαν ὁ δ῅μος ἔλαβε, καὶ φανέντος ἐν τῶ θεάτρῳ τοῦ Ὄθωνος ἐφυβρίζων ἐσύριττεν, οἱ δ’ ἱππεῖς ὑπέλαβον κρότῳ τὸν ἄνδρα λαμπρ῵ς· αὖθις δ’ ὁ δ῅μος ἐπέτεινε τὸν βον κρότῳ τὸν ἄνδρα λαμπρ῵ς·αὖθις δ’ ὁ δ῅μος ἐπέτεινε τὸν συριγμόν, εἶτ’ ἐκεῖνοι τὸν κρότον.” 127 CANOBBIO 2002, 22, PARKER 1999, 167. 128 PLUT. Cic. 13, 2ss.: “…ἐκ δὲ τούτου τραπόμενοι πρὸς ἀλλήλους ἐχρ῵ντο λοιδορίαις, καὶ τὸ θέατρον ἀκοσμία κατεῖχεν.”

129 Sull’episodio: PLUT. Cic. 13. 4-5: “…ἐπεὶ δ’ ὁ Κικέρων ἧκε πυθόμενος, καὶ τὸν δ῅μον ἐκκαλέσας πρὸς τὸ τ῅ς

἖νυοῦς ἱερὸν ἐπετίμησε καὶ παρῄνεσεν, ἀπελθόντες εἰς τὸ θέατρον αὖθις ἐκρότουν τὸν Ὄθωνα λαμπρ῵ς, καὶ πρὸς τοὺς ἱππέας ἅμιλλαν ἐποιοῦντο περὶ τιμ῵ν καὶ δόξης τοῦ ἀνδρός”; DIO XXXVI, 43, 5. Sul tempio: PLATNER, ASHBY 19652, s.v. Bellona, aedes, 82-83; A. VISCOGLISI LTUR I (1993), s.v. Bellona, aedes in Circo, 190-192.

130 PLUT. Cic. 13: “…δεῖγμα δ’ αὐτοῦ τ῅ς περὶ τὸν λόγον χάριτος καὶ τὸ παρὰ τὰς θέας ἐν τῆ ὑπατείᾳ

γενόμενον.“

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Pro Murena (del 63 a.C.) Cicerone definiva la legge di Roscio ‘omnium gratissima’, tacendo il dissenso che si era potuto verificare nelle dimostrazioni spontanee della plebe dei ludi in quello stesso anno: “Lucio Otone, uomo di valore, mio amico, ha reso all’ordine equestre non solo onore ma anche piacere. Pertanto la sua legge riguardante i giochi è la più gradita di tutte, perché a quest’ordine così onorevole è stato restituito, insieme al lustro, anche il godimento di quel piacere”132.

Questo episodio prova come il popolo avesse riconosciuto nel teatro la dimensione più appropriata a dare libero sfogo alle proprie opinioni politiche: a conferma della natura spettacolare della cultura romana della tarda repubblica, chi occupava gli spalti aveva preso l’abitudine di giudicare in maniera diretta anche le personalità che si presentavano a teatro (celebrità, politici, comandanti di eserciti) quasi come fossero degli attori133.

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