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Nel tempio della Concordia dopo il cesaricidio: la difesa della Repubblica

NELLA POLITICA DELLA TARDA REPUBBLICA ROMANA

8. Nel tempio della Concordia dopo il cesaricidio: la difesa della Repubblica

Un capitolo nuovo nella storia della concordia si apre dopo la morte di Cesare: Cicerone lasciò Roma meno di un mese dopo la congiura, fra il 6 e il 7 aprile, dopo che la strategia del compromesso e della pacificazione si era dimostrata inutile, ma ancora speranzoso per via delle divisioni del partito cesariano. Così si decise a risvegliare i repubblicani, attirando nella sua cerchia i moderati e i nemici di Antonio, e a rientrare, il 31 agosto fra gli applausi, “richiamato dalla voce della patria”, giusto in tempo per la seduta senatoria del primo settembre 44 a.C., nel tempio della Concordia. L’incompatibilità fra Antonio e Cicerone è tale che pur in un crescendo di offese ciascuno continua a mantenere la propria posizione, evitando lo scontro faccia a faccia. La presenza di Cicerone era stata richiesta da Antonio per testare il suo ossequio alla memoria di Cesare di fronte alla decisione di dedicare una serie di sacrifici al defunto come a un dio.

La seduta si sarebbe tenuta nel tempio della Concordia, un luogo assai familiare a Cicerone; al di là delle questioni in oggetto, la convocazione nascondeva chiari intenti polemici nei confronti del principale detrattore di Antonio e del cesarismo: il luogo che ricordava le imprese pacifiche di Cicerone in difesa dello stato era occupato stabilmente dal suo peggior nemico, un Clodio redivivo, e non si trattava solo di

225 SORDI 1999b, 153-154. 226 SORDI 1999b, 154, 159. 227 SORDI 1999b, 152ss.

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un’occupazione fisica, ma anche di una contesa simbolica intorno al valore della Concordia, a cui Cicerone faceva tradizionalmente riferimento, e la cui autorità serviva ora ad Antonio per legittimare le proprie decisioni.

8.1. Il tempio nella contesa politica fra Antonio e Cicerone

Come riferisce lo stesso Cicerone nella II Filippica, il dispiegamento di forze attorno e dentro al tempio, presidiato dai soldati di Antonio, produceva automaticamente un clima teso, malcelato dalle motivazioni onorifiche per la convocazione della seduta, che al contrario dovevano dare l’apparenza di un’occasione di festa. Si chiede Cicerone: “Perchè il senato è accerchiato da uomini armati? Perchè mi stanno ad ascoltare i tuoi satelliti, armi alla mano? Perchè le porte del tempio della Concordia sono sbarrate? Perchè introduci nel foro la più barbara delle genti, questi Iturei armati di saette?” 228.

A differenza di Cinna, Silla e Cesare che avevano l’accortezza di farsi seguire da una scorta piccola e ben nascosta, Antonio si faceva accompagnare da schiere di uomini capeggiate da Crassicio229, Seio Mustela230 e Numisio Tirone231 ed in quei giorni, quando arrivava al tempio, i suoi, compresi gli arcieri barbari, riempivano tutta la gradinata232. Qui, secondo Cicerone si produceva la situazione più inconsueta: “la cosa più spaventevole non solo a vedere ma anche a udire: nel santuario della Concordia venivano appostati degli armati, dei briganti, dei sicari; il tempio era trasformato in

228 CIC. Phil. II 44, 112: “Cur armatorum corona senatus saeptus est, cur me tui satellites cum gladiis

audiunt, cur valvae Concordiae non patent, cur homines omnium gentium maxime barbaros, Ityraeos, cum sagittis deducis in forum? Praesidii sui causa se facere dicit. Non igitur miliens perire est melius quam in sua civitate sine armatorum praesidio non posse vivere? Sed nullum est istud, mihi crede, concione; caritate te et benivolentia civium saeptum oportet esse, non armis.”

229 F. MÜNZER, RE IV 2 (19582), s.v. Crassicius (1), c. 1681. 230 F. MÜNZER, RE XVI 1 (1933), s.v. Mustela (3), c. 909. 231 F. MÜNZER, RE XVII 2 (1937), s.v. Numisius (11), c. 1401.

232 CIC. Phil. III 31: “...senatum stiparit armatis, armatos in cella Concordiae, cum senatum haberet,

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carcere; ai senatori toccava dare il voto dopo che le porte erano state chiuse e mentre quei briganti si aggiravano fra gli scranni”233.

Le parole scelte dall’oratore sono le stesse di quelle già usate per descrivere l’occupazione del tempio dei Dioscuri, perpetrata da Clodio nel 58 a.C.234: tuttavia, nel tempio della Concordia l’intervento armato non aveva sospeso le attività come al tempo di Clodio ma anzi ne sorvegliava lo svolgimento condizionandole, tanto che i senatori dovevano patire un certo condizionamento dalla presenza dei briganti, che mentre le operazioni di voto erano in corso, si aggiravano fra gli scranni.

Forse per non esporsi direttamente agli attacchi e alle ironie di Antonio, e in definitiva, come ripete per due volte nella V Filippica235, per cautelarsi da eventuali risse ed aggressioni, Cicerone decise di non presenziare né alla prima né alla seconda invettiva di Antonio, giustificandosi col dire che “se il primo settembre non mi fossi presentato all’assemblea Antonio avrebbe fatto demolire la mia casa”236, replicando il gesto di Clodio all’indomani della partenza da Roma.

L’oratore decise di rispondere agli attacchi nella prima delle sue Filippiche, che pronunciò in assenza di Antonio, il giorno successivo237, il 2 settembre 44 a.C. in Senato, e alla quale Antonio replicò nuovamente dal tempio della Concordia, il 19

233 Cic. Phil. V 7, 19: “Illud vero taeterrimum non modo aspectu, sed etiam auditu, in cella Concordiae

conlocari armatos, latrones, sicarios, de templo carcerem fieri, opertis valvis Concordiae, cum inter subsellia senatus versarentur latrones, patres conscriptos sententias dicere.”

234 CIC. p. red. in sen. 12, 32, dom. 54 e 110 ; Sest. 34; Pis. 23.

235 CIC. Phil. V 18: “Huc nisi venirem Kalendis Septembribus, etiam fabros se missurum et domum meam

disturbaturum esse dixit.“

236 CIC. Phil. V 20: “Quo die si per amicos mihi cupienti in senatum venire licuisset, caedis initium fecisset a

me (sic enim statuerat); cum autem semel gladium scelere imbuisset, nulla res ei finem caedendi nisi defatigatio et satietas attulisset.”

237 Cic. Phil. II 8, 19: “Iam illud cuius est non dico audaciae (cupit enim se audacem), sed, quod minime

vult, stultitiae, qua vincit omnis, clivi Capitolini mentionem facere, cum inter subsellia nostra versentur armati, cum in hac cella Concordiae, di immortales! In qua me consule salutares sententiae dictae sunt, quibus ad hanc diem viximus, cum gladiis homines conlocati stent? Accusa senatum, accusa equestrem ordinem, qui tum cum senatus copulatus fuit, accusa omnis ordines, omnis civis, dum confiteare hunc ordinem hoc ipso tempore ab Ityraeis circumsederi. Haec tu non propter audaciam dicis tam impudenter, sed, qui tantam rerum repugnantiam non videas, nihil profecto sapis. Quid est enim dementius quam, cum rei publicae perniciosa arma ipse ceperis, obicere alteri salutaria?”; CRISTOFOLI 2004, 126ss.

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settembre dopo essersi preparato a lungo nella villa di Pisone a Tivoli238. Per gli stessi motivi di cautela per cui aveva evitato di presenziare alla seduta del primo settembre, la risposta di Cicerone (II Philippica), in cui riassume i punti fondamentali della sua politica, non fu mai pronunciata, pubblicata nella seconda metà di novembre dello stesso anno, poco prima del 28, quando Antonio aveva abbandonato Roma239.

Sia nella prima che nella seconda Filippica (composta intorno al 24 settembre) Cicerone gioca sulla contrapposizione fra l’assedio del tempio della Concordia, immaginato nella II Filippica come sottoposto all’attacco dei soldati ‘Iturei’ al servizio di Antonio240 e la difesa strenua della virtù della concordia, la quale, così come ai tempi della congiura di Catilina, anche ora è lo slogan dei repubblicani e dei difensori delle istituzioni.

8.2. L’opposizione ad Antonio del popolo e dei cavalieri: “ut populum Romanum

comitem haberemus, nunc habemus ducem”. Un nuovo consensus.

A differenza dei senatori, che sembrano immobilizzati dalle decisioni insindacabili di Antonio, intorno al tempio sono particolarmente attivi i cavalieri e il popolo: “Itaque erat optabile antea, ut populum Romanum comitem haberemus, nunc habemus ducem”. Appiano e Cassio Dione riferiscono che in questo stesso tempio il 2-3 gennaio del 43 a.C., dopo la partenza di Antonio, Cicerone avrebbe preso la parola durante una seduta del Senato che aveva avuto inizio il primo giorno di quel mese nel tempio della dea Tellus, e che da qui si era spostata nei giorni successivi, compiendo il suo sviluppo prima del rientro dell’ambasceria inviata dal senato ad Antonio (partita il 5 gennaio e tornata il 1 febbraio del 43 a.C.).

Un prezioso dettaglio di quella stessa seduta si conserva nella VII Filippica: un nuovo intervento spontaneo dei cavalieri, che si raccolsero in massa sui gradini del tempio della Concordia, proprio come avevano fatto ai tempi della congiura di Catilina, si sarebbe verificato nei giorni immediatamente precedenti l’intervento di Cicerone: “Uomini come i cavalieri, che in folla si sono fermati sui gradini del tempio della

238 Cic. Phil. V 7, 19. 239 CRISTOFOLI 2004. 240 CRISTOFOLI 2004, 126.

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Concordia e ci hanno spronato a recuperare la libertà, hanno invocato le armi, la divisa militare, la guerra, hanno voluto d’accordo col popolo che io parlassi davanti all’assemblea popolare”241. Con un simile gesto i cavalieri chiedevano con insistenza un’investitura ufficiale (“la divisa, le armi”) per intraprendere una guerra civile insieme col popolo per la riconquista della libertà. Infatti anche il popolo aveva manifestato chiaramente il proprio orientamento: “E del popolo romano tutt’intero che dirò? Un popolo, che affollando il foro all’inverosimile due volte con grido unanime ha invocato il mio nome perché io parlassi nell’assemblea, chiaramente dimostrando la sua decisa volontà di riacquistare la libertà.”242. E’ chiaro che la libertas invocata congiuntamente da popolo e cavalieri non avesse valenza popolare, ma implicasse il ripristino delle istituzioni repubblicane, che da tempo erano state pesantemente alterate243.

Un altro aspetto notevole è la composizione sociale del nuovo consensus bonorum, cui praticamente aderirono in gran parte cavalieri, che addirittura invitarono Cicerone per due volte a tenere una contio davanti all’assemblea popolare, presumibilmente dalle gradinate del tempio, ed il popolo, che invase il piazzale del Foro.

Comprensibilmente il discorso ciceroniano tramandato da Cassio Dione, non aggiungeva nulla di nuovo alla narrazione fatta da Cicerone in prima. Lo storico greco tramanda un’accorata orazione, finalizzata a convincere il Senato a dichiarare Antonio nemico pubblico244, ed in cui l’oratore usa toni ed argomenti assai simili a quelli delle Filippiche (l’aspirazione di Antonio alla tirannide, la sua amicizia con Clodio) e ribadisce la capacità del tempio di rievocare l’epoca gloriosa del suo consolato (quando l’oratore

241 Cic. Phil. VII 8, 21: “Qui frequentissimi in concione Concordiae steterunt, qui nos ad libertatem

recuperandam excitaverunt, arma, saga, bellum flagitaverunt, me una cum populo Romano in concione vocaverunt.”

242 CIC. Phil. VII 8, 22: “Nam quid ego de universo populo Romano dicam? qui pleno ac referto foro bis me

una mente atque voce in contionem vocavit declaravitque maximam libertatis recuperandae cupiditatem. Itaque erat optabile antea, ut populum Romanum comitem haberemus, nunc habemus ducem.”

243 Cic. Phil. VI 19: “Aliae nationes servitutem pati possunt, populi Romani est propria libertas.

244 APP. bell.civ. III 50-51; (DIO XLV 29-30) DIO XLVI 28. 3: “...ἀλλὰ ἀναμνησθεὶς τ῅ς τε ἡμέρας ἐκείνης καὶ

τῶν λόγων ὧν ἐν τῷ τ῅ς Γ῅ς τεμένει ἐποιήσω, χάρισαί τι καὶ τῆ ὇μονοίᾳ ταύτῃ παρ’ ᾗ νῦν βουλευόμεθα, ἵνα μὴ καὶ ἐκεῖνα διαβάλῃς ὡς οὐκ ἀπ’ ὀρθ῅ς διανοίας ἀλλ’ ὑπό τινος ἄλλου τότε λεχθέντα.”

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aveva salvato Roma dal pericolo di Catilina e di Lentulo, senza dover ricorrere alle armi245).

9. La concordia nel II triumvirato: riassorbimento del modello ciceroniano dopo la

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