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NELLA POLITICA DELLA TARDA REPUBBLICA ROMANA

5. Un periodo di intensa frequentazione: il tempio come luogo di dibattito fra 64 e 39 a.C.

5.4. Il ritorno dall’esilio di Cicerone.

Certamente il ricordo delle gesta di Cicerone nel 63 a.C. era ancora vivo quando egli fu richiamato a Roma nel 57 a.C., un reintegro che - come dimostra il suo ricco epistolario - gli attribuiva il ruolo di arbitro e mediatore in molte delle crisi politiche in atto. Ciò nonostante, coerentemente con la mentalità aristocratica, Cicerone aveva rivestito di un’importanza simbolica la domus sul Palatino, quella distrutta da Clodio: come rilevano Allen e Wiseman, essa celebrava la sua accettazione nelle più alte sfere della politica e società romana, per avvicinarsi alle quali egli si era indebitato171. Poiché sentiva di non poter tornare a fare politica con la stessa dignitas di un tempo senza aver prima sgombrato il campo dalle accuse di tirannia e confermato una volta e per tutte le colpe di Clodio, dopo il rientro dall’esilio egli chiese pubblicamente la restituzione della casa sul Palatino, un onore che altri nelle sue stesse condizioni – ad eccezione di Camillo - non avevano ottenuto, e per mezzo del quale sarebbe ritornato non solo fisicamente ma soprattutto simbolicamente nella posizione sociale che originariamente gli era riconosciuta172. Fu così che di fronte ai pontefici, il 30 settembre, Cicerone fece ricorso ad argomenti di carattere rituale, più adatti a captare il loro consenso e infatti, grazie a questa orazione, ottenne la restituzione della propria dimora.

168 FANTHAM 2005, 225. 169 FANTHAM 2005, 225.

170 PINA POLO 1991, 137; MARCO SIMON, PINA POLO 2000, 262. 171 ALLEN 1944, 2-3; WISEMAN 1987, 393.

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5.4.1. Cicerone dispensatore di concordia: i rischi della sovraesposizione di uno slogan

Con tanta arte l’Arpinate aveva presentato se stesso come un epigono di Camillo, un alter Romulus, colui che rientrando dall’esilio aveva restaurato la città portando non solo prosperità e benessere173 nei campi, e la giustizia nei tribunali174, ma più genericamente la concordia - la virtù a cui proprio Camillo aveva intitolato un culto, per primo. Certamente la sovraesposizione di Cicerone e del suo slogan avevano determinato anche casi di uso improprio di quella tematica, e c’era anche chi associava l’Arpinate alla concordia in modo pretestuoso, per poi additarlo come responsabile della grave crisi di rifornimenti, verificatasi in concomitanza col suo rientro in città: “dicevano che, poiché sembrava che nel mio ritorno fosse riposta la speranza di quiete e concordia, e la mia lontananza causasse timore continuo di rivolta, le condizioni dell’annona erano cambiate”.

Anche per questo motivo Cicerone si riconosceva in Camillo, che successivamente era stato dipinto dall’annalistica di I a.C. come il conciliatore per antonomasia e pater patriae, ed era divenuto un paradigma appetibile nel discorso politico e nell’autorappresentazione del leader della tarda repubblica175. A questo stesso modello ora Cicerone manifestava una naturale propensione, attenuandone le doti di dux e le vittorie militari per evidenziare invece nelle sventure e nelle prove di valore di Camillo la prefigurazione dei casi della sua biografia176.

Infatti entrambi (sia Cicerone che Camillo) si erano dimostrati ostili alla plebe e al potere dei tribuni e più sensibili alla difesa del mos e delle tradizioni (un altro significativo intreccio fra Concordia e tradizionalismo è il caso di Cassio Longino, osteggiato dal senato). Anche Camillo poteva essere ascritto alla categoria dell’homo novus di tendenza conservatrice, essendo stato come Cicerone un leader politico di origini non nobili, capace di radicare la propria auctoritas attraverso i successi conseguiti, senza dimenticare, infine, le esperienze dell’esilio, dell’ingratitudine del

173 CIC. Cat. III, 1. 174 CIC. dom. 15, 17 175 GARTNER 2008, 49.

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popolo romano e poi l’implorazione a ritornare a Roma, che entrambi avevano provato177.

Se questi erano i termini della propria difesa, nel medesimo discorso ai pontefici Cicerone dipingeva Clodio come un esempio di audacia, facendo riferimento anche ad un episodio verificatosi all’inizio del mese di settembre, quando una crisi annonaria non era ancora stata risolta e l’oratore, appena rientrato a Roma, si era prodigato affinché ne fosse incaricato Pompeo.

In quel frangente si verificò una grave manifestazione di dissenso partita dal basso: “Ora, divenendo più gravi le condizioni del mercato, tanto che si temevano addirittura stenti e fame, non solo carestia, vi fu un concorso di gente al tempio della Concordia, mentre il console Metello convocava lì il Senato.”178. Mentre il console Metello179 convocava il senato nel tempio della Concordia - mai sede fu più adatta a auspicare la pacifica risoluzione della crisi annonaria – secondo Cicerone, Clodio fece in modo di surriscaldare il clima a tal punto che si scatenò anche una sassaiola in cui il console rimase ferito180.

5.4.2. Il lessico post exilium: libertas e seditio, concordia e consensus bonorum

Pur in assenza di altre assemblee nel tempio della Concordia, i riferimenti a quest’ultima, intesa come virtù e valore, sono assai frequenti nel lessico post exilium: nel 56 a.C. il tempio della Concordia è nuovamente il simbolo della difesa dello stato, in ricordo del processo dei catilinari che qui si era svolto (Pro Sestio) ed è citata nella

177 CIC. rep. I 5-6; dom. 85-86; Tusc. 1.90.

178 CIC. dom. 5, 11: “Nam cum ingravesceret annona, ut iam plane inopia ac fames non caritas timeretur,

concursus est ad templum Concordiae factus, senatum illuc vocante Metello consule. Qui si verus fuit ex dolore hominum et fame, certe consules causam suscipere, certe senatus aliquid consili capere potuit; sin causa fuit annona, seditionis quidem instimulator et concitator tu fuisti, nonne id agendum nobis omnibus fuit ut materiem subtraheremus furori tuo?”

179 F. MÜNZER, RE III 1 (19702), s.v. Caecilius (96), cc. 1216-1218; MRR II 199, s.v. Q. Caecilius Metellus

Nepos (96). 180 Cic. dom. 5, 12.

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chiusa del discorso sul responso degli aruspici181, che l’oratore pronunciò nell’aprile - maggio del 56 a.C.

Molto più spazio però Cicerone riservava in questa opera alla discordia (che ricorre almeno sedici volte), con cui egli sollecitava i propri interlocutori. E’ chiaro che nella rappresentazione deformata della politica popolare il posto principale fosse riservato alla Libertas di Clodio, che in realtà è seditio182 (un cambiamento prodotto contro la tradizione) e discordia: essa è rappresentata come una minaccia per la libertas della factio opposta, la quale gode di una posizione di preminenza sancita dal mos maiorum. E’ sulla scorta di questa interpretazione che nella tradizione storiografica seditiosi sono i populares, i riformatori, coloro che hanno avanzato proposte miranti a cambiare i criteri di distribuzione della terra, della ricchezza o dei diritti politici all’interno della cittadinanza: i Gracchi in primis, Saturnino183, Druso, ma anche Clodio, visto come nemico dello stato.

Diversamente, nell’ideologia ciceroniana la Concordia è guardiana dell’ordine ed implicitamente tutela gli interessi economici e il patrimonio dei boni. Nell’ideologia dell’Arpinate la medesima virtù si identifica con la difesa dello status quo e comporta l’accettazione dell’uso della forza (come nel 121 e nel 63 a.C.) e degli squilibri sociali in vista del benessere dello stato184.

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