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Un’analisi economica della Serie A

2. Il calcio a fini di lucro

2.4. Un’analisi economica della Serie A

Risulta utile adesso prendere in esame la situazione economico finanziaria del nostro calcio in tempi più recenti, avendo fino ad ora analizzato come tra gli anni ‘90 ed il 2000, a cavallo della sentenza Bosman, ci sia stata una complessa evoluzione qualitativa e quantitativa dell’intero sistema calcistico, soprattutto in alcune rilevanti componenti del calcio-business.

Come anticipato in precedenza è ormai di dominio pubblico che in questi ultimi tre anni il football nostrano abbia mostrato, a volte con conseguenze davvero nefaste, le fondamenta fragili della propria struttura organizzativa ed economica.

Sebbene il giro d’affari che accompagna nel nostro paese gli eventi calcistici in generale sia sempre elevatissimo; sebbene le diverse operazioni commerciali delle società calcistiche stesse, o di loro partner, volte a promuovere e naturalmente vendere il prodotto calcio siano comunque sempre all’ordine del giorno e seguite dai tifosi e dal pubblico più o meno affezionato al “pallone” con buoni risultati; sebbene, infine, nell’immaginario di tutti gli sportivi ed amanti del gioco del calcio, la passione non sia certo svanita ma al massimo affievolita o abbia cambiato forma – coinvolgendo ed utilizzando le nuove modalità e “comodità” di fruizione degli eventi calcistici – è pur vero ed ineluttabile che tutto l’intero sistema calcio in Italia, dalla Serie A alla Serie C, sia arrivato ad una vera e propria crisi.

Il fallimento della Fiorentina, che ha portato nell’estate 2002 alla mancata iscrizione della società al campionato di Serie B, è stato sicuramente uno degli episodi più eclatanti e con maggiore visibilità di questa profonda crisi economica e finanziaria che già da diverse stagioni ha investito il calcio professionistico italiano e che avrà sicuramente ripercussioni sulle stagioni sportive a venire.

Risultano evidenti: un peggioramento della situazione debitoria dei club;

stagnazione dei ricavi; inversione del ciclo espansivo dei diritti televisivi che continuerà anche nelle prossime stagioni portando ad un ulteriore

“allargamento della forbice” tra i club calcistici di “fascia b” e quelli di

“fascia b”; emorragia di spettatori allo stadio; insufficiente diversificazione dei ricavi con grossi ritardi ancora nel 2002 nella trasformazione degli stadi italiani in possibili fonti di reddito dei club.

Ma la procedura fallimentare del club viola non è stato quindi un caso isolato, ma hanno solo costituito “la punta dell’iceberg” di una situazione di grave difficoltà dell’intero settore dove, a fronte di alti ricavi delle società calcistiche, si è raggiunto un livello di costo del lavoro divenuto allo stato attuale non più sostenibile.

Infatti i dati del 2002 evidenziano un consistente ed inarrestabile peggioramento del “capitale netto circolante” delle società di Serie A – vale a dire la loro liquidità a breve – che tocca quota 1,4 miliardi di Euro.

12 Per tutto il capitolo fonte: Rapporto Deloitte & Touche sul Calcio Italiano, 2001-02, Ottobre 2003.

E sebbene il fatturato sia rimasto sostanzialmente stabile nel corso degli anni, si è registrato un costante aumento dei costi relativi alla gestione sportiva, dovuti al costo del lavoro e alle prestazioni dei calciatori, che alla fine della stagione sportiva 2002 risultavano quasi pari ai ricavi totali.

Un’analisi storica della distribuzione per classe retributiva dei contratti dei calciatori di Serie A, mostra come tra le principali cause dell’aumento del costo del lavoro ci siano sicuramente l’aumento del numero dei calciatori tesserati (da 446 a 685 tra il 1998 e il 2002) e lo spostamento di questi ultimi soprattutto verso le due fasce estreme degli stipendi: la più bassa, da 0 a 103 mila Euro l’anno, che ne raccoglie il 34% e la più alta, oltre il milione di Euro annuo, che ne raccoglie il 29,6%.

I ricavi della Serie A

Diritti televisivi 53,50%

Sponsor 13,40%

Altri 9,50%

Pubblicità e Royalties

8,50%

Ricavi da gare 17,00%

Fonte: Deloitte & Touche

Il fatturato delle squadre di calcio della Serie A italiana, dalla stagione 2000, si è attestato all’incirca sulla soglia del miliardo di Euro (1.126 miliardi di Euro nel 2002), ed è costituito in maggioranza dai proventi per la cessione dei diritti tv (53,5%).

Comunque per la prima volta nel 2002 si evidenzia un lieve peggioramento dei ricavi totali, spiegato soprattutto con la diminuzione nel tempo delle due componenti di maggior redditività del nostro sistema calcio: i diritti televisivi e le sponsorizzazioni, che nel 2001 avevano toccato la punta massima di crescita economica.

Sul fronte invece dei ricavi da botteghino, il trend negativo del 2002 degli abbonamenti allo stadio per il Campionato di serie A (-10%) viene comunque compensato dall’incremento dei ricavi al botteghino per le partite di Campionato ( +9%) e delle Coppe Europee ( +47%).

Tralasciando per il momento la questione dei diritti tv, che tratteremo ampiamente nel terzo capitolo, andiamo adesso a vedere più nel dettaglio i ricavi da attività commerciali e da sponsorizzazioni delle società calcistiche di Serie A e l’andamento nel corso di questi ultimi anni degli spettatori e degli incassi.

Fonte: Deloitte & Touche

Il dettaglio dei ricavi commerciali riflette un andamento tutto sommato stabile delle diverse fonti di guadagno di un club calcistico di Serie A.

Escludendo un lieve calo, dal 2001 al 2002, del 5% degli “Sponsor Ufficiali”, tutte le rimanenti voci risultano in leggero aumento.

Il trend di crescita più rilevante sembra interessare il settore

“Merchandising e royalties” che nel 2002 aumenta i ricavi del club il 39%

in più rispetto all’anno precedente. Questa tendenza evidenzia il sempre maggiore interesse dei club calcistici verso il merchandising, che permette nel pieno rispetto del già citato articolo 10 della legge 586 del 1996 di svolgere attività commerciali “connesse o strumentali alle attività sportive”; inoltre è evidente come queste cifre testimonino un numero sempre crescente di contratti di licensing tra le società calcistiche e le aziende delle diverse market class, volti alla produzione, vendita e distribuzione di prodotti e servizi recanti il marchio del club di Serie A.

E’anche sicuramente collegabile a questo fenomeno l’incremento dei contratti di sponsorizzazione per le squadre dei rispettivi “Sponsor Tecnici”, i quali naturalmente traggono i più cospicui benefici dal trend positivo del merchandising e dalla vendita dei prodotti originali “griffati”

dai club.

Infine l’incremento dell’ultima voce “Altre attività commerciali” è imputabile nella quasi totalità ai proventi derivanti dalla gestione dello stadio con servizi aggiuntivi come gli sky boxes, il catering, i parcheggi, ecc. Questa categoria di ricavi rimane in Italia comunque ancora marginale, con qualche buon esempio come quello dato da Inter e Milan per lo stadio

“Meazza” e dalla Juventus per il “Delle Alpi”13; un modello ancora decisamente lontano da quello anglosassone dove gli stadi di proprietà dei club e la costruzione di spazi polifunzionali, negozi e ristoranti spesso all’interno dello stesso complesso sportivo rendono il campionato inglese uno dei più ricchi del mondo.

13 E’ già pronto infatti un progetto di profonda ristrutturazione del complesso sportivo torinese, che è stato affittato alla squadra bianconera dal Comune di Torino per i prossimi 99 anni.

Numero totale spettatori in Serie A (in migliaia)

1992/ 1993 1993/ 1994 1994/ 1995 1995/ 1996 1996/ 1997 1997/ 1998 1998/ 1999 1999/ 2000 2000/ 2001 2001/ 2002

Fonte: Deloitte & Touche

La crisi del calcio, come già accennato, passa anche da una sorta di emorragia degli spettatori e degli incassi delle partite di Campionato di Serie A.

Il trend negativo iniziato dopo il campionato 1997/98 continua fino ad oggi arrivando nel 2002 a toccare una punta negativa di assoluto rilievo. Tra le cause principali di questo calo sono sicuramente da annoverare l’enorme e veloce espansione dell’offerta calcistica in Pay Tv e Pay per View, soprattutto dopo l’avvento ed il consolidamento sul mercato italiano delle piattaforme digitali. Ma anche un’evidente crisi economica che ha travolto l’intera economia mondiale, causata soprattutto dai tragici eventi internazionali degli ultimi anni, e che ha fortemente influenzato la spesa degli italiani per il divertimento e lo svago, includendo naturalmente anche gli incontri di calcio; nel contempo le società, con lo scopo anche di non perdere troppo in ricavi, hanno differenziato l’offerta degli incontri dal vivo, creando maggiori servizi e comodità per una fascia alta e medio alta di tifosi, i quali evidentemente più degli altri continuano ad essere facilmente disposti alle spese per l’intrattenimento calcistico. Questa tendenza ha portato però, e negli anni a venire credo porterà sempre di più, ad un divario sostanzioso e visibile tra le due classi di tifosi e spettatori allo stadio che si sono venute col tempo a creare: i tifosi ricchi, e quelli meno ricchi.

A riprova i ciò, dai dati riportati risulta che nonostante ci sia stata una parabola discendente nei ricavi da botteghino delle società calcistiche della

Serie maggiore, questo trend non sia comunque eccessivamente negativo come quello del totale degli spettatori. Tra il 2001 e il 2002 gli spettatori sono calati del 11%, a differenza di un calo nello stesso periodo del 5,6%

dei ricavi.