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Applicazione della normativa comunitaria in materia di atti interni nell’ordinamento

Nel documento Il diritto di accesso agli atti interni (pagine 33-36)

Capitolo II Il diritto di accesso nell’ordinamento comunitario

2.6. Applicazione della normativa comunitaria in materia di atti interni nell’ordinamento

La disamina della disciplina del diritto di accesso in ambito comunitario impone a questo punto, di capire quale influenza abbia sull’ordinamento interno.

Inoltre è importante comprendere se il diritto di accesso possa essere qualificato come principio generale dell’ordinamento giuridico comunitario, tale da avere rilievo nel nostro ordinamento, come oggi espressamente previsto dall’art. 1 della legge 241/1990. Nel periodo precedente ed in quello immediatamente successivo all’introduzione dell’art. 255 del Trattato che istituisce la Comunità europea, la giurisprudenza comunitaria ha negato che il diritto di accesso potesse assumere il carattere di principio generale85. Inoltre si fa notare come l’obbligo contenuto nella norma nell’art. 255, non presenti quel carattere di precisione e di mancanza di condizioni che lo farebbe assurgere a vero e proprio principio86. Le norme dei trattati, infatti, rinviano alla disciplina regolamentare per definire principi, limitazioni, etc. La situazione cambia con l’introduzione del Trattato di Lisbona, che fa acquisire carattere vincolante alla Carta dei diritti fondamentali e dunque all’art. 42 della Carta, che, come riportato in precedenza, riconosce il diritto di accesso “ai documenti

del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione” a tutti cittadini dell’Unione

europea, nonché a tutte le persone fisiche e le persone giuridiche87.

85

M. SALVADORI, Il diritto di accesso all'informazione nell’ordinamento dell’Unione Europea, op. cit., pag. 1; S. GIANNINI, La tutela dei diritti umani fondamentali nell’ordinamento internazionale e nell’ordinamento comunitario, 2002, in http://www.diritto.it/materiali/internazionale/giannini1.html, P. PALLARO, Il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni dell'Unione europea, tra novità giurisprudenziali e prospettive legislative, in Rivista Italiana di diritto pubblico comunitario, n. 10, 2000, pag. 1313 ss.; M. CHITI, Diritto amministrativo europeo, op. cit., pag. 449. L’Autore sottolinea appunto come la collocazione dell’art. 255 tra le disposizioni istituzionali del TCE parrebbe negare al diritto di accesso il carattere di principio generale.

86

Tribunale dell’Unione europea, sez. IV ampliata, causa T-191/99, (David Petrie contro Associazione lettori di lingua straniera in Italia incorporating Committee for the Defence of Foreign Lecturers (ALLS I/CDFL), in

http://curia.europa.eu, per cui “Essa fa valere che l'art. 255 CE non ha efficacia diretta dato che non si tratta di un obbligo preciso ed incondizionato. Sembrerebbe che i ricorrenti abbiano coscienza di ciò quando affermano che quel che conta è che la Commissione interpreti la decisione 94/90 alla luce del principio iscritto nell'art. 255 CE. Essa sottolinea che ha applicato la decisione 94/90 rispettando il principio di cui all'art. 255 CE anche prima dell'entrata in vigore di tale disposizione”.

87

Ad esempio in tema di diritto all’informazione ambientale, il diritto di accesso è riconosciuto come principio generale da Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. III, 28 luglio 2011, causa C-71/10 (Office of Communications contro Information Commissioner), in http://curia.europa.eu; Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, 14 febbraio 2012, causa C-204/09 (Flachglas Torgau GmbH contro Bundesrepublik Deutschland) in http://curia.europa.eu. Per il diritto di accesso in generale si veda: G. LOCCHI, Il principio di trasparenza in Europa nei suoi risvolti in termini di Governance amministrativa e di comunicazione istituzionale dell’Unione, op. cit., pag. 22.

Il fatto, comunque, che il diritto di accesso acquisiti il carattere di principio dell’ordinamento comunitario, non produce di per sé effetti conseguenti sull’ordinamento interno. In primo luogo, si può notare, che il principio comunitario fa riferimento al diritto di accesso nei soli confronti delle istituzioni comunitarie senza richiamare neanche implicitamente gli organi degli stati membri. Inoltre il principio, opera nei termini che anche le istituzioni nazionali devono procedere a riconoscere il diritto, ma non ne definisce gli effettivi contenuti, che sono dunque pienamente rimessi alla valutazione degli Stati membri.

Infine si può osservare che, rispetto a quanto era stato proposto inizialmente, le norme contenute nei Trattati non indicano criteri generali ed eccezioni, ma rimettono tali valutazioni alla disciplina di rango legislativo88.

Analizzando la disciplina contenuta nella norma di rango legislativo, il regolamento (CE) n. 1049/2001, non si giunge a conclusioni differenti.

L’art. 2 del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, prevede la sua applicazione limitatamente alle istituzioni comunitarie. Il regolamento, dunque, nelle concrete modalità operative ed anche nei suoi aspetti sostanziali, e per quanto concerne quindi le problematiche relative agli atti interni, non ha alcuna influenza sul legislatore interno, che potrà disciplinare diversamente l’istituto. Anzi, il n. 15, su cui torneremo, stabilisce espressamente che “Il presente regolamento

non si prefigge di modificare le normative nazionali in materia di accesso ai documenti. Tuttavia, è evidente che in virtù del principio di cooperazione leale nelle relazioni tra le istituzioni e gli Stati membri, questi dovranno fare in modo di non pregiudicare la corretta applicazione del presente regolamento e di rispettare le norme di sicurezza delle istituzioni”, cosicché la sua disciplina assume importanza nelle sole ipotesi in cui si faccia

riferimento ad un documento delle istituzioni comunitarie, ove eventualmente richiesto ad un’autorità pubblica nazionale89. Non si potrà applicare tale disciplina nel caso di un documento non proveniente dalle istituzioni comunitarie.

Si deve dunque concludere che la normativa posta dal legislatore comunitario non trova applicazione alle istituzioni nazionali, ma può rappresentare comunque un modello di disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi da prendere in considerazione.

88

C. ALBERTI, La disciplina del diritto di accesso nel post Amsterdam tra consacrazione e limitazione, op. cit., pag. 68.

89

C. ALBERTI, La disciplina del diritto di accesso nel post Amsterdam tra consacrazione e limitazione, op. cit., pag. 93.

Nonostante le solenni dichiarazioni sull’accesso e sulla trasparenza, molto resta da fare per rendere effettivi tali principi. Motivo fondante di tale situazione è evidentemente la scarsa attrattività della “cittadinanza amministrativa” dell’Unione90.

È interessante anche la tendenza rappresentata dalla citata risoluzione del Parlamento europeo, volta ad un ulteriore allargamento del diritto di accesso, in particolare sul tema degli atti interni.

Ad ogni modo la disciplina comunitaria in materia di diritto di accesso, ed in particolare agli atti interni, presenta ancora delle limitazioni, che trovano solo parziale giustificazione nei complessi processi decisionali delle relative istituzioni. È anche vero che le logiche che stanno alla base delle limitazioni del diritto di accesso ai documenti amministrativi delle istituzioni europee, viste anche le particolarità indicate, non sono in genere estendibili alle istituzioni nazionali.

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Nel documento Il diritto di accesso agli atti interni (pagine 33-36)

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