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La concezione tradizionale di atto interno nella sua evoluzione prima della legge

Nel documento Il diritto di accesso agli atti interni (pagine 123-129)

Capitolo II Gli atti interni e il diritto di accesso agli atti interni in generale

2.3. La concezione tradizionale di atto interno nella sua evoluzione prima della legge

Come si è avuto modo di vedere, la concezione tradizionale di atto interno si basava sull’assenza di efficacia esterna di tali atti. In effetti, la stessa distinzione tra un atto interno ed un atto esterno presuppone questa concezione, altrimenti viene meno la stessa necessità od autonomia di una nozione separata di atto interno rispetto a tutti gli altri atti amministrativi. Questo in quanto solo una differenziazione di regime e di effetti tra le due tipologie di atti, gli atti interni e gli atti esterni, attribuisce un senso alla distinzione stessa. Su questo punto si tornerà in seguito, al momento appare necessario analizzare come la tradizionale nozione di atto interno abbia subìto alcune evoluzioni già prima della introduzione della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Gli atti interni, come si è detto in precedenza, si svolgono entro l’ambito di una istituzione amministrativa387e hanno la particolarità di non perseguire, o concorrere a perseguire come scopo, una modificazione nella sfera giuridica dei soggetti, bensì di porre l’istituzione nella condizione di raggiungere nella maniera migliore possibile i compiti ad essa affidati388. La loro qualificazione come atti interni deriva proprio dalla considerazione appena riportata. L’interesse che essi perseguono è quello dell’organizzazione interna e del buon funzionamento dell’ente. Si tratta quest’ultimo di un interesse di natura strumentale rispetto a quello specifico che l’amministrazione è chiamata a realizzare.

La legge, per quanto regoli in maniera precisa l’attività che deve svolgere la pubblica amministrazione per poter raggiungere i fini ad essa affidati, lascia inevitabilmente degli spazi liberi. Questo poiché non può effettivamente disciplinare in ogni loro modalità tutti i possibili casi su cui la pubblica amministrazione è chiamata a provvedere. Da questo punto di vista resta sempre un margine piuttosto ampio alla libertà decisionale dell’autorità amministrativa.

Gli spazi liberi lasciati alle determinazioni e valutazioni della pubblica amministrazione sono il fondamento della potestà discrezionale della stessa pubblica amministrazione389.

387

G.BARONE, Aspetti dell’attività interna della pubblica amministrazione, op. cit., pag. 52. L’Autore mette in evidenza come proprio dalla definizione di atto interno si evince come questo non incide sulla sfera giuridica degli amministrati.

388

F.BASSI, La norma interna. Lineamenti di una teorica, Milano, 1963, pag. 523. L’Autore rileva come la pubblica amministrazione nell’esplicazione della propria attività discrezionale sia giuridicamente tenuta a soddisfare nel modo migliore l’interesse collettivo affidato alle sue cure.

389

Questo comporta come rileva F.BASSI, La norma interna. Lineamenti di una teorica, op. cit., pag. 523-524, che l’Amministrazione nell’esercizio del suo potere sarà tenuta ad effettuare delle scelte, tra più soluzioni

Tali spazi liberi rappresentano anche il presupposto dell’attività interna.

Infatti non vi potrebbe essere posto neanche per l’attività discrezionale se la legge potesse disciplinare in via assoluta tutta l’organizzazione e tutta l’attività amministrativa entro schemi prefissati per gli atti interni390. Ma è altrettanto vero che la potestà discrezionale della pubblica amministrazione è ineliminabile391, cosicché stessa sorte tocca agli atti interni. Il problema dunque non è la possibile eliminazione degli atti interni, bensì quella del loro specifico regime giuridico e della loro accessibilità, in particolare per quanto di interesse per la presente trattazione.

Per comprendere meglio il concetto degli atti interni è opportuno analizzare gli atti che fanno parte di questa categoria, per capire se è possibile trovare negli stessi degli elementi in grado di superare la concezione tradizionale che è stata sviluppata in precedenza.

La categoria più importante degli atti interni è costituita da quel complesso di atti noti come circolari, istruzioni, direttive392. Le circolari, ad esempio, sono norme interne, non sono dirette a regolare un rapporto giuridico tra la pubblica amministrazione e i terzi, ma valgono soltanto per l’istituzione amministrativa cui sono emanate.

Se è vero che in alcuni casi tali norme interne possono limitarsi ad affermare se un determinato comportamento è esplicato bene o meno, in altri casi indicano i principi cui è opportuno si adegui l’attività amministrativa, indicando dunque delle regole a cui la pubblica amministrazione deve fare riferimento, pur non essendo delle norme aventi carattere legislativo ed efficacia esterna. Si tratta, in altre parole, di regole di buona amministrazione, le quali, per loro natura, presentano il carattere di essere applicabili con una certa elasticità393.

Tramite queste regole di buona amministrazione l’apparato pubblico cerca di raggiungere il migliore funzionamento dell’ente e di indirizzare la propria attività, ovviamente sempre entro i limiti stabiliti dalle norme giuridiche, e nel perseguimento del pubblico interesse che alla stessa è attribuito. Si prenda ad esempio, il caso in cui la legge non preveda che per

possibili, adottando poi quella maggiormente in grado di soddisfare l’esigenza pubblica. Ed è proprio in questo ambito che acquistano rilevanza le regole di buona amministrazione.; G.MORBIDELLI,Il procedimento amministrativo, inL. MAZZAROLLI, G.PERICU, A. ROMANO, F.A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, parte generale, 4 edizione, Bologna, 2005, pag. 540 ss.

390

E.SILVESTRI, L’attività interna della pubblica amministrazione, op. cit, pag. 51-52.

391

A. POLICE, La predeterminazione delle decisioni amministrative, Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Napoli, 1997, pag. 12 ss.

392

Si veda in seguito un’analisi approfondita di tali categorie di atti interni.

393

A. AMORTH, La nozione di gerarchia, Milano, 1936, pag. 90. L’Autore chiama gli atti interni atti di buona amministrazione.

l’emanazione di un determinato provvedimento sia necessario il parere di un certo organo. Una circolare potrebbe stabilire la necessità di chiedere un parere al fine di orientare meglio l’attività di colui che deve emanare il provvedimento394. In tale caso, secondo l’impostazione tradizionale, la richiesta del parere e il rilascio del parere stesso non costituiscono una fase autonoma e rilevante del procedimento. Questo in quanto si tratta di atti che non rivestono efficacia giuridica all’esterno, ma sono sempre qualificabili come meri atti interni395.

Eppure attira immediatamente l’attenzione un fatto molto importante. Nonostante si tratti di atti interni, la loro conoscibilità è essenziale per comprendere come è stata svolta l’azione amministrativa, proprio perché le stesse contengono regole di buona amministrazione che sono concretamente seguite dalla pubblica amministrazione396.

La concezione tradizionale, peraltro, porta anche su questa tipologia di centrale importanza di atti interni, alle stesse conclusioni che sono state analizzate in generale. Tali atti interni non possono considerarsi, in quest’ottica, degli atti giuridici nell’ambito dell’ordinamento generale e non producono effetti immediati nella sfera giuridica di un individuo, mantenendo il loro carattere di atti interni e la relativa disciplina giuridica derivante da tale impostazione. Le regole introdotte da tali atti mirano ad attuare il buon andamento dell’amministrazione, ma esauriscono i loro effetti nell’ambito dell’istituzione amministrativa. Solo in via mediata tali atti possono assumere rilevanza per l’ordinamento generale, nei termini di ricollegare agli stessi, in astratto, determinati effetti, differenti ed ulteriori rispetto a quelli che gli atti stessi producono nell’ambito delle istituzioni particolari397.

Gìà questo elemento mette in dubbio la validità della ricostruzione tradizionale, in quanto le regole previste da tale tipologia di atti hanno rilievo per la conoscenza di come è stata esercitata la potestà discrezionale. Anche in questo caso, dunque, emerge la consonanza già notata tra l’attività discrezionale e gli atti interni, proprio in quanto le circolari sono espressione di quelle regole di buona amministrazione che sono peculiari proprio della potestà discrezionale della pubblica amministrazione398.

394

E.SILVESTRI, L’attività interna della pubblica amministrazione, op. cit, pag. 52.

395

E.SILVESTRI, L’attività interna della pubblica amministrazione, op. cit., pag. 52- 53.

396

F.BASSI, La norma interna. Lineamenti di una teorica, op. cit., pag. 524. L’Autore rileva come la regola di buona amministrazione rappresenta una tappa obbligata nella disciplina dell’attività discrezionale della pubblica amministrazione.

397

E.SILVESTRI, L’attività interna della pubblica amministrazione, op. cit., pag. 53.

398

F.BASSI, La norma interna. Lineamenti di una teorica, op. cit., pag. 551. L’Autore ritiene che “attraverso il principio di buona amministrazione, che si risolve nel dovere dell’agente di assicurare nel modo migliore il

Proseguendo nell’analisi degli atti interni, al fine di comprendere l’essenza di questa variegata categoria, è opportuno analizzare altre tipologie di atti interni.

Gli atti interni possono consistere in dichiarazioni di volontà, ovvero in manifestazioni di scienza e di giudizio. Le prime consistono in dichiarazioni della autorità con effetti unicamente interni, e aventi ad oggetto persone, fatti o situazioni. Le seconde, invece, sono il risultato di un procedimento logico, relativo all’applicazione di norme giuridiche, ovvero di criteri di convenienza e di buona amministrazione che hanno anch’essi effetto soltanto per gli ordinamenti interni.

A titolo meramente esemplificativo possiamo citare tra gli atti compresi nella prima categoria le dichiarazioni concernenti dati statistici, constatazioni, accertamenti di qualità o quantità di persone, cose o fatti che interessano le persone, cose o fatti che interessano l’organizzazione e il funzionamento interno della pubblica amministrazione.

La modalità attraverso la quale si perviene alla conoscenza di tali atti può essere mediata o immediata e consistere in inchieste, verificazioni, ispezioni. Inoltre le dichiarazioni acquisite possono assumere forma ed oggetto diversi e contenere non solo elementi di scienza ma anche elementi di giudizio399.

All’interno di questa seconda categoria devono essere ricordate ad esempio le relazioni dei capi uffici al superiore gerarchico sull’andamento dei servizi. Negli uffici militari e di pubblica sicurezza tali relazioni prendono il nome di rapporti e contengono una dettagliata analisi dei servizi svolti, dell’organico presente o meno. Si ricordano ulteriormente le relazioni relative ad inchieste o ispezioni sull’andamento di uffici o enti, o sulla condotta dei funzionari o di cittadini o sull’andamento dell’ordine pubblico e di determinati settori della vita nazionale.

Alcune dichiarazioni di scienza sono poi contenute in registri o tabelle esistenti presso gli uffici. È opportuno precisare che non si tratta di pubblici registri ma di documenti a volte segreti nei quali la pubblica amministrazione annota informazioni, notizie, dati utili, allo scopo di facilitare la propria attività e per il migliore funzionamento degli uffici400. Ancora restano da considerare tra le manifestazioni di conoscenza le partecipazioni interne ovvero, secondo una diversa terminologia gli atti di trasmissione interna. Solitamente per

soddisfacimento dell’interesse affidato alle sue cure, esse regole vengono infatti a disciplinare un settore per nulla trascurabile della sfera della discrezionalità amministrativa, rendendo con la loro sussistenza più agevole l’esercizio del sindacato sull’opportunità dell’atto”.

399

E.SILVESTRI, L’attività interna della pubblica amministrazione, op. cit., pag. 261 ss.

400

A tal proposito presso le Questure esistono schedari contenenti informazioni sulla condotta di soggetti pericolosi, negli uffici fiscali vi sono raccolte di informazioni sulla capacità economica e sul tenore di vita dei contribuenti.

rendere noto un fatto o un atto da un ufficio all’altro della pubblica amministrazione viene utilizzato lo strumento della comunicazione. Tali comunicazioni possono essere immediate o mediate. Ricorre la prima ipotesi quando l’atto viene trasmesso dall’organo che lo ha emanato direttamente ai destinatari; viceversa le comunicazioni sono mediate, nel caso in cui l’atto viene partecipato per mezzo di un soggetto diverso dall’autore di esso ovvero non si indirizza direttamente agli interessati401.

Nel campo dell’attività interna sono anche da menzionare perché frequenti, le dichiarazioni di giudizio, di apprezzamento e di opinione. Si ricordano innanzitutto i pareri che hanno lo scopo di consigliare un’autorità su un atto che rientra nella sua competenza. Il soggetto che fornisce il proprio parere esprime il proprio avviso, non impone quindi la propria volontà. Hanno carattere interno i pareri richiesti volontariamente dall’amministrazione attiva.

Peraltro proprio nell’importante categoria dei pareri anche la tradizionale impostazione degli atti interni ammette la presenza di atti esterni. In altre parole la concezione tradizionale degli atti interni, presenta una sua evoluzione che porta a considerare atti esterni non i soli provvedimenti amministrativi, ma anche alcune limitate ipotesi di atti amministrativi di carattere non provvedimentale402.

Se si considera che i pareri facoltativi sono degli atti interni, quelli obbligatori sono invece qualificabili, anche prima della legge 241 del 1990, come atti esterni sia nel caso che siano vincolanti o che non lo siano. Tale conclusione deriva dal fatto che gli stessi costituiscono elementi necessari del procedimento di formazione dell’atto amministrativo conclusivo del procedimento, il provvedimento amministrativo403. Emerge così come l’attrazione di atti interni nel provvedimento amministrativo determini la loro trasformazione in atti aventi rilevanza esterna diretta e con conseguente autonoma impugnabilità404. Questo elemento,

401

E.SILVESTRI, L’attività interna della pubblica amministrazione, op. cit., pag. 262 ss.

402

La categoria degli atti non provvedimentali ha trovato espresso riconoscimento nell’articolo 1, comma 1 bis della legge n. 241/90, che riconosce l’esistenza di atti di natura non autoritativa. Tale comma introdotto dall’articolo 1, comma 1, lettera b), legge n. 15 del 2005 così recita: La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.

403

E.SILVESTRI, L’attività interna della pubblica amministrazione, op. cit., pag. 264-265.

404

In giurisprudenza si veda da ultimo T.A.R. Lazio-Roma, sez. I, 13 febbraio 2014, n. 1799, in

www.giustizia-amministrativa.it “La giurisprudenza ha infatti riconosciuto che "la regola secondo la quale l'atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile (la lesione della sfera giuridica del soggetto destinatario dello stesso essendo normalmente imputabile all'atto che conclude il procedimento) incontra un'eccezione solo nel caso di atti di natura vincolata (pareri o proposte), idonei come tali ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva, di atti interlocutori, idonei a cagionare un arresto procedimentale capace di frustrare l'aspirazione dell'istante ad un celere soddisfacimento dell'interesse

come si avrà modo di vedere, è di grande importanza per la successiva evoluzione della rilevanza esterna dell’atto interno dopo l’introduzione della legge 7 agosto 1990, n. 241. Ritornando alla tematica del parere, secondo un’impostazione risalente, gli organi di amministrazione attiva per qualsiasi provvedimento avevano sempre facoltà di chiedere il parere agli organi consultivi competenti405. E in ordine alla possibilità di usufruire di tale facoltà gli organi giudicano insindacabilmente, né del parere acquisito devono rendere conto nel provvedimento o altrimenti.

Ad ogni modo, le norme interne possono porre dei limiti a tale facoltà e prescrivere che per specifiche materie venga richiesto il parere.

L’attività consultiva interna a differenza di quella esterna era considerata priva di rilevanza giuridica per i terzi, in quanto l’ordinamento generale non attribuisce ad essa nessun effetto giuridico. L’organo aveva la possibilità di richiedere o meno il parere, così come poteva tenerne conto o meno, senza tuttavia che questo potesse incidere sulla validità o sulla efficacia del provvedimento.

Gli atti consultivi interni producevano effetti esclusivamente nell’ambito dell’organizzazione amministrativa. Se infatti una norma interna imponeva la richiesta di un parere e questo non era stato chiesto vi era senza dubbio la violazione di un obbligo interno. Così pure, il superiore gerarchico poteva sempre richiedere all’inferiore il motivo per il quale quest’ultimo non avesse preso in considerazione il parere facoltativo dato dagli organi competenti. Ma, come qualsiasi altro atto interno, in nessun caso il parere facoltativo poteva incidere nella sfera giuridica dei terzi406.

Solo i pareri obbligatori, che trovano il loro fondamento in una fonte normativa avente rilevanza esterna, determinavano la loro conseguente rilevanza esterna e dunque l’allontanamento dalla categoria degli atti interni.

Da questa pur breve carrellata emerge che nella posizione risalente si incontrano delle attività e degli atti che appunto perché interni, si sottraggono alla conoscibilità da parte dei

pretensivo prospettato, e di atti soprassessori, che, rinviando ad un avvenimento futuro ed incerto nell'an e nel quando il soddisfacimento dell'interesse pretensivo fatto valere dal privato, determinano un arresto a tempo indeterminato del procedimento che lo stesso privato ha attivato a sua istanza idonei, come tali, ad imprimere un indirizzo ineludibile alla determinazione conclusiva". Si vedano anche Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 296; id., 11 marzo 2004, n. 1246; 11 marzo 1997, n. 226; sez. VI, 9 ottobre 1998, n. 1377; T.A.R. Lazio, sez. I, 9 luglio 2013, n. 6750; id., 5 marzo 2012, n. 2223, in www.giustizia-amministrativa.it.

405

E.SILVESTRI, L’attività interna della pubblica amministrazione, op. cit., pag. 265.

406

cittadini, così che, come è stato fatto puntualmente notare, anche uno studio di questa categoria di atti risultava di particolare difficoltà407.

Erano peraltro presenti anche degli atti interni che assumevano rilevanza esterna. L’unico modo per garantire coerenza alla concezione dell’atto interno era molto semplice, qualificare quegli atti, indubbiamente interni, come atti esterni. Questa soluzione era possibile in quanto il novero di tali ipotesi rimaneva limitato. Solo con la legge 7 agosto 1990, n. 241, la legge generale sul procedimento amministrativo, la situazione cambia radicalmente, cosicché, come si vedrà nel paragrafo seguente, la soluzione alternativa sarà quella di riconoscere rilevanza esterna agli atti interni pur non comportando tale evenienza un mutamento della loro natura.

Nel documento Il diritto di accesso agli atti interni (pagine 123-129)

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