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L’APPROCCIO NON STANDARD

Il lavoro del sociologo, come afferma Boudon, è in gran parte una questione di artigianato. In questo senso, le ricerche sono frutto di una costruzione quotidiana, basata sull’osservazione e sull’analisi di ciò che si è osservato. Inoltre, per costituirsi come disciplina scientifica, le analisi sociologiche procedono anche sulla scorta di quanto altri hanno precedentemente elaborato attraverso modelli formali. Si tratta di strumenti di conoscenza, punti di vista e schemi in cui incasellare frammenti di realtà, che diviene così a poco a poco più intelligibile. Il nodo centrale quindi è costruire la “cassetta degli attrezzi” più adatta per analizzare uno specifico fenomeno, coniugando quanto prodotto in precedenza dalla letteratura con l’osservazione concreta, realizzata attraverso strumenti e metodologie di analisi riconosciute dalla comunità scientifica.

A tal fine, gli strumenti a disposizione del ricercatore sociale sono molteplici e coprono un vasto range di approcci, tecniche e strumenti, ciascuno utile nel mettere in luce aspetti specifici. La linea di confine è posta classicamente tra i metodi

quantitativi e qualitativi167. In sintesi, i primi dovrebbero mirare a evidenziare l’esistenza di regolarità e uniformità nella issue oggetto di ricerca: l’obiettivo è quindi quello di verificare la sussistenza e l’intensità delle relazioni tra le variabili che descrivono i fenomeni sociali. I secondi, invece, sono finalizzati a spiegare le motivazioni dei fenomeni sociali, partendo dalla prospettiva del soggetto studiato (Corbetta 2003). Mentre il fine della ricerca nell’approccio quantitativo potrebbe essere definito sinteticamente come quello di analizzare in modo sintetico la “misura di un fenomeno”, in quello qualitativo esso può essere indentificato come lo studio del “significato di un fenomeno”. Teoricamente quella richiamata è una distinzione consolidata; tuttavia, da un punto di vista della concreta pratica di ricerca, va detto che la distinzione appare più labile168.

Rispetto alla convenienza nell’utilizzare un approccio piuttosto che un altro, in questa sede si sottolinea come non esista, in termini assoluti, lo strumento ideale in grado di cogliere appieno la complessità della realtà sociale analizzata. Infatti, l’utilizzo di tecniche che mirano a raggiungere l’oggettività rischia di far scomparire gli attori sociali dietro ad entità astratte e variabili facilmente controllabili. Al contrario, focalizzandosi sui singoli casi individuali, il rischio è quello di mettere a fuoco un solo tassello della fenomeno indagato (Bichi 2002). Nella ricerca qui presentata si è scelto quindi di optare per un approccio qualitativo e narrativo, in quanto ritenuto più appropriato rispetto agli strumenti quantitativi per affrontare il tema in oggetto: esso, infatti, è maggiormente adatto al racconto delle proprie esperienze e del proprio vissuto. Da questo punto di vista, l’obiettivo era quello di accedere alla prospettiva del soggetto studiato: “cogliere le sue categorie mentali, le sue interpretazioni, le sue percezioni ed i suoi sentimenti, i motivi delle sue azioni” (Corbetta 2003, 70). In altre parole, si è cercato non tanto di quantificare i fenomeni quanto si è mirato alla “comprensione ermeneutica dei fenomeni, dei contesti in cui vengono generati” (Poggio 2004, 108). In particolare, inoltre, la sociologia francese ha utilizzato metodologie biografiche per l’analisi del vissuto lavorativo (Bertaux 1999, Demazière e Dubar 2000). Nel contesto italiano, si può far riferimento ai lavori di Ferrarotti (1981)e ai testi di (Bichi 2000, Bichi 2002).

Come è stato indicato nell’introduzione di questo capitolo l’intento con cui si guarda al progetto formativo Imprederò è quello di individuare fattori e strumenti che possano facilitare percorsi imprenditoriali di successo. Il presente lavoro, quindi, si iscrive nel contesto di un approccio di tipo non-standard (Marradi 2007), in cui le metodologie narrative e biografiche hanno un ruolo centrale nello strutturare la presente ricerca. Il linguaggio verbale è stato il veicolo fondamentale attraverso cui 167Corbetta (2003) evidenzia come tale dicotomia sia riconducibile alla distinzione introdotta da Reichenbach tra context of discovery (il momento della scoperta di una nuova idea) e context of justification (il momento della analisi nel contesto empirico).

168 Come afferma Marradi (2007) la contrapposizione qualità/quantità forse non è pienamente esplicativa: infatti, anche nel questionario - lo strumento più usato dai ricercatori “quantitativi” - si trovano variabili “qualitative”, mentre d’altro canto la scuola di Chicago famosa per la sua analisi qualitativa non disdegnava gli aspetti quantitativi.

i soggetti hanno potuto offrire il loro punto di vista sul proprio percorso lavorativo, raccontando gli avvenimenti di cui sono stati protagonisti. Come accennato in precedenza, si è scelto di utilizzare un approccio biografico, che tentasse di ricostruire i percorsi lavorativi dei soggetti intervistati. Da questo punto di vista, l’approccio biografico è apparso particolarmente adatto in quanto strutturato intorno ad una “successione temporale di avvenimenti e di situazioni che ne costituiscono la colonna vertebrale” (Bertaux 1999, 53). Esso permette di cogliere una mobilità lavorativa fatta di passaggi di lavoro in lavoro, di cambiamenti e transizioni, partendo dal punto di vista degli individui protagonisti di tali esperienze (Colasanto e Zucchetti 2008). Ciò che desiderava rilevare è come si sviluppa un life-course basato sulla carriera imprenditoriale e quali strumenti e risorse si innescano in tale percorso.

Un secondo aspetto per cui si è scelto di utilizzare una metodologia qualitativa è la capacità di “comprensione della realtà sociale” che viene attribuita agli approcci qualitativi (Corbetta 2003): infatti, attraverso il racconto individuale è possibile cogliere un frammento del contesto sociale di riferimento. In questo senso i potenziali imprenditori sono intesi, secondo la terminologia proposta da Bertaux (1999), come categorie di situazione169, ovvero come un insieme di individui che condivide una situazione sociale, che in quanto tale genera logiche d’azione comuni e modelli sociali relativamente condivisi. Proprio per questo motivo la definizione del conteso sociale di riferimento è particolarmente rilevante. Infatti, gli individui intervistati diventano narratori non solo della propria esperienza, ma essa diviene un caleidoscopio attraverso cui leggere, in scala ridotta, eventi e processi di tipo macrostrutturale (Olangero e Saraceno 1993). Le autobiografie quindi non hanno un valore in sé, ma diventano preziosi elementi di analisi, in quanto permettono di descrivere mondi sociali, categorie di situazioni e traiettorie sociali (Bertaux 1999). È chiaro che, in questo tentativo di lettura dell’universale attraverso la storia individuale, vi è una mediazione da parte dell’individuo stesso e del gruppo di riferimento. In questo senso, come evidenzia Ferrarotti, “le dichiarazioni personali sfuggono al soggettivismo […] nella misura in cui si collegano e si saldano alle situazioni obiettive, ai dati delle condizioni concrete” (Ferrarotti 1980, 238, in Lichtner). Infine, come sottolinea Lichtner (2000), l’approccio biografico può avere una collocazione centrale quale uso e per l’analisi dell’educazione degli adulti: ciò vale non solo per la rilevazione dei bisogni formativi, delle conoscenze e delle competenze, ma anche per valutare l’attività effettuata e i risultati più significativi, in particolare per quanto riguarda l’impatto sulle traiettorie dei soggetti partecipanti ai percorsi formativi.

169Bertaux (1999) identifica gli oggetti della ricerca biografica secondo un’organizzazione sistematica, che Bichi (2002) a sua volta riprende e rielabora. Particolare Bertaux (ibidem) propone tre oggetti della ricerca biografica: i mondi sociali, le categorie di situazione e le traiettorie sociali.