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3. I DIVERSI VOLTI DEL LAVORO AUTONOMO E INDIPENDENTE

3.2. Il commercio

I commercianti e i piccoli artigiani costituiscono la componente più tradizionale del lavoro autonomo: tali attività sono caratterizzate da una dimensione limitata e dalla prevalenza di gestioni di tipo familiare, da una bassa qualificazione professionale degli addetti e da una modesta capacità finanziaria delle imprese (Arum e Muller 2004). Nel corso degli anni Sessanta e Settanta tali attività hanno rappresentato un rifugio contribuendo a ridurre la disoccupazione e favorendo la mobilità sociale di tipo ascendente, laddove tra i lavoratori dipendenti si registrava una scarsa crescita 81Si pensi ad esempio alle numerose trafile burocratiche che richiedono l’assistenza di consulenti specializzati o l’erogazione del finanziamento in conto capitale, che prevede l’anticipo delle spese da parte del richiedente.

dei salari (Barbieri 1999). Il lavoro autonomo in questi settori costituiva quindi a tutti gli effetti una possibilità lavorativa per la manodopera non qualificata. Come evidenziava Pizzorno (1974, 335) questo comportò la diffusione di un “ceto popolare non proletarizzato, non fondato quindi sulla mobilitazione collettiva finalizzata al miglioramento complessivo della categoria di appartenenza quanto sulla mobilitazione individualistica”.

Negli anni Settanta, la funzione di serbatoio occupazionale svolta da queste attività viene progressivamente meno, poiché - pur con velocità diverse nelle varie regioni italiane - iniziano a svilupparsi considerevolmente sia la grande gande distribuzione sia la produzione manifatturiera. Da un alto ciò ha comportato una progressiva razionalizzazione e modernizzazione del sistema commerciale, che implica sul piano operativo la messa in campo di maggiori doti imprenditoriali: il piccolo esercizio commerciale, infatti, diviene sempre più un’azienda specializzata nella funzione distributiva (Maida 2009). Dall’altra, anche le attività artigianali si

sono indirizzate verso una maggiore industrializzazione, puntando

all’industrializzazione del processo produttivo e ,in tempi più recenti alla qualità del made in Italy. Più recentemente, come evidenzia Reyneri (1997), un altro fenomeno ha interessato in particolare il mondo del commercio e della ristorazione, modificandone sostanzialmente la fisionomia. Si tratta del franchising, che è particolarmente interessante, perché accosta a un’autonomia formale una sostanziale dipendenza. Infatti, in questi casi una società concedente vende al concessionario beni o servizi appartenenti al proprio marchio in cambio di una percentuale sulle vendite: ciò presuppone anche una serie di vincoli che limitano fortemente l’autonomia gestionale del concessionario. Ciò permette al concedente di realizzare una rete distributiva a basso rischio, pur mantenendo un potere contrattuale e organizzativo molto elevato.

Analizzando le fonti statistiche, si nota come attualmente il commercio presenti una concentrazione rilevante per quanto riguarda il fatturato, mantenendo tuttavia una significativa polverizzazione del settore, anche se si riscontrano notevoli differenze nelle diverse aree del paese. Ciò evidenzia come molti commercianti presentino forti elementi di marginalità e precarietà, confermato anche dall’elevato turnover (Ranci 2012). Il rapporto Confcommercio 2013, infatti, evidenzia come nel 2012 sono registrate nelle Camere di Commercio 1 milione 549mila imprese del commercio (pari al 25,4 del totale delle imprese totali in Italia), di cui il 64,0% è costituito da ditte individuali82. Inoltre, nel 14,3% si tratta di commercianti al dettaglio, nonostante la costante crescita della grande distribuzione (Confcommercio 2013). L’analisi dei Censimenti dell’Industria e dei Servizi 2000 e 2011 conferma questa tendenza, anche se con valori diversi dovuti alle disomogenee modalità di rilevazione. I dati censuari, inoltre, mettono in luce come 82Tra i commercianti al dettaglio le ditte individuali sono maggiormente rappresentate (70,6%), mentre sul totale dell’economia italiana esse costituiscono il 55,1% delle imprese registrate.

nell’arco del decennio le imprese del settore sono sostanzialmente stabili, pur con notevoli differenze al loro interno (Tabella 8). Infatti, se le imprese del commercio in senso stretto diminuiscono leggermente (-3,1%), in realtà si registra un incremento del commercio all’ingrosso (5,4%) e una riduzione degli esercizi al dettaglio (-7,0%). In particolare, rispetto a quest’ultimo dato, si nota come il numero degli addetti sia in aumento (+13,2), il che farebbe presupporre un incremento dimensionale delle aziende stesse.

Tabella 8 – Imprese e addetti settore commercio in Italia. Censimenti 2001-2011, v. a. e %, var. %.

2001 2011 Var. 2001/2001

Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti

v.a. v.a. v.a. % v.a. % Di cui

indip* % Commercio 1.195.063 3.088.923 1.158.360 26,2 3.442.517 21,0 41,7 -3,1 11,4 -Auto, moto 127.280 391.083 118.023 10,2 389.359 11,3 40,5 -7,3 -0,4 -Commercio all'ingrosso 381.588 1.027.914 402.066 34,7 1.163.280 33,8 38,3 5,4 13,2 -Commercio al dettaglio 686.195 1.669.926 638.271 55,1 1.889.878 54,9 44,0 -7,0 13,2 Trasporto e magazzinaggio 151.127 1.053.655 132.768 3,0 1.093.953 6,7 13,2 -12,1 3,8 Servizi di alloggio e ristorazione 244.540 850.674 302.067 6,8 1.220.529 7,4 36,5 23,5 43,5 -Alloggio 40.681 204.821 45.343 15,0 217.716 17,8 27,3 11,5 6,3 -Ristorazione 203.859 645.853 256.724 85,0 1.002.813 82,2 38,5 25,9 55,3

Tot. Commercio(Ateco2007) 1.590.730 4.993.252 1.593.195 36,0 5.756.999 35,1 35,2 0,2 15,3 Totale Italia 4.083.966 15.712.908 4.425.950 100 16.424.086 100 31,2 8,4 4,5 *Addetti indipendenti, valore %

Fonte: n.s. elaborazioni su dati Istat-Censimento dell’industria e dei Servizi 2001 e 2011

Nonostante la permanenza in termini di valori assoluti dei piccoli commercianti al dettaglio, che costituiscono il 55,1% delle imprese del commercio in senso stretto, la crisi attuale ha messo in evidenza tutta la debolezza di questi tipi di attività. Ciò è confermato anche dal numero di imprenditori individuali, liberi professionisti, lavoratori autonomi. Infatti, dal punto di vista dell’occupazione (Tabella 8), nel 2012 il settore Commercio contava circa 5,7 milioni di addetti, che corrispondono al 35,1% degli occupati dell’economia nel suo complesso. Nel dettaglio sul totale degli addetti delle imprese italiane, il commercio in senso stretto occupa il 21,0%, i trasporti persano per il 6,7% e il settore dell’alloggio e ristorazione per il 7,4%. Nello specifico, inoltre, più del 50% degli addetti al commercio in senso stretto sono assorbiti dagli esercizi al dettaglio; nel settore ristorazione e alloggio, più dell’80% degli addetti appartiene alla prima categoria. In questo complesso, il peso dei lavoratori indipendenti sul totale degli occupati del sistema industriale è pari al 31,2%, mentre nel commercio in senso stretto e nella ristorazione/alloggio la loro incidenza è più elevata (rispettivamente il 41,7% e 36,5%).

Questa situazione frammentaria è stata ulteriormente compromessa in seguito alla crisi economica: infatti, il saldo tra imprese registrate e chiuse nel commercio è costantemente negativo, in misura maggiore rispetto al valore calcolato per l’intero

sistema economico (Confcommercio 2013). Come evidenza Ranci (2012), l’elevato turnover83 presente in questo settore è spesso frutto di barriere di acceso minori rispetto ad altre tipologie di imprese sia in termini di acquisizione di competenze specifiche84 sia rispetto agli investimenti di capitale economico iniziale, che ad esempio può essere facilmente superato con incentivi e strumenti di agevolazione per la creazione di nuove impese. Alla presenza di scarse barriere di accesso ha contribuito certamente anche la liberalizzazione delle attività commerciali avvenuta a partire dal d.lgs. n. 114/199885.

La breve sintesi sopra riportata mette in luce quindi la rilevanza numerica dei lavoratori autonomi ed indipendenti nel settore del commercio, che nel passato –e in misura minore tutt’ora- sono stati considerati come uno sbocco occupazionale di riserva.