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TRA IMPRENDITORI E LAVORO AUTONOMO: CATEGORIE ETEROGENEE

Come accennato in precedenza, i lavoratori indipendenti sono un gruppo tra loro eterogeneo. Per questo è opportuno in questa sede partire da alcune definizioni. In particolare, secondo il Codice civile art. 2082, l’imprenditore è “colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi”. Questa definizione mette in evidenza tre requisiti. Da un lato l’esercizio di un’attività economica e quindi la realizzazione di atti e attività che hanno lo scopo di produrre e scambiare beni e servizi. Un secondo elemento è l’organizzazione ovvero la coordinazione dei fattori produttivi. Infine, un terzo elemento discriminante nell’individuazione dell’imprenditore è costituito dalla professionalità ovvero dall’esercizio abituale e non occasionale delle attività economiche. Ciò significa che giuridicamente le attività occasionali non costituiscono impresa, nonostante per la loro realizzazione possa essere necessaria un’organizzazione. Quindi, affinché si possa parlare di impresa, l’organizzazione deve assumere determinati caratteri. Inoltre, in base al genere di attività, il codice civile distingue l’imprenditore commerciale72 (art. 2195 c.c.) dall’imprenditore agricolo73(art. 2135 c.c.). Infine, in base alle dimensioni aziendali, la legislazione identifica il piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.), che è rappresentato da coltivatori diretti, artigiani, piccoli commercianti o da chi esercita un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei famigliari, in cui il lavoro di questi deve essere prevalente sia sul lavoro di terzi sia sul capitale investito nell’azienda.

Per la definizione del piccolo imprenditore, inoltre, è utile richiamare quanto stabilito dalla Commissione europea. La raccomandazione n. 361/2003/Ce categorizza le imprese sulla base di tre variabili: organico, fatturato e stato patrimoniale. Le microimprese si caratterizzano per un organico inferiore a dieci persone e per un fatturato o stato patrimoniale non superiore a due milioni di euro. Le piccole imprese hanno un organico compreso tra le 11 e le 50 persone e un fatturato o stato patrimoniale fino a 10 milioni di euro. Infine le medie imprese hanno un organico fino a 250 persone, fatturato non superiore a 50 milioni di euro o stato patrimoniale fino a 43 milioni di euro.

Accanto a quella dell’imprenditore, l’ordinamento giuridico italiano riconosce la figura del lavoratore autonomo (art. 2222 c.c.). Questo si contraddistingue per la 72 Si definisce imprenditore commerciale (art. 2195 c.c.) sia chi esercita un’attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi (ad esempio una fabbrica automobilistica, un’emittente televisiva privata) sia chi svolge un’attività intermediaria nella circolazione dei beni sia chi, infine, realizza un’attività di servizi.

Esempi del primo caso sono un’impresa produttrice di automobili o un’emittente televisiva. Nel secondo tipo sono raggruppate le attività commerciali comunemente intese (ad. esempio, commercio all’ingrosso/al dettaglio, commercio ambulante, pubblici esercizi commerciali). Nella terza tipologia rientrano, invece, le attività di servizi quali banche/assicurazioni, trasporti, agenzie di mediazione, di pubblicità, ecc..

73Per imprenditore agricolo (art. 2135 c.c.) si intende colui che esercita attività quali coltivazione di un fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse alla produzione agricola volte alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dello stesso.

presenza del contratto d’opera e comprende ogni attività che abbia le seguenti caratteristiche:

 prevede l’esecuzione di un’opera o di un servizio a fronte di un corrispettivo;

 viene realizzata con lavoro prevalentemente proprio;

 non presenta vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Quindi, l’elemento centrale che distingue il lavoro autonomo (self-employment) dall’impresa è principalmente l’assenza di un’organizzazione significativa ovvero di un’azienda. Rientra in questa fattispecie, chi esercita arti o professioni, i collaboratori a progetto e i lavoratori occasionali.

Questa rapida panoramica mette in luce come le espressioni generiche “mettersi in proprio”, “avviare un’attività autonoma” o “diventare imprenditore” definiscano in generale forme di lavoro “non subordinate”, disomogenee dal punto di vista giuridico, ma che dal punto di vista sociale richiamano l’elemento comune dell’“indipendenza”. In accordo con diversi studi internazionali, per quanto riguarda l’analisi sociale (Grilo e Thurik 2004, Ahmad e Seymour 2008, Muffatto, Giacon e Saeed 2012), l’imprenditore e il lavoratore autonomo possono essere equiparati, in quanto entrambi impegnati in forme di lavoro che forniscono un reddito di natura indipendente. Anche Reyneri (1997, 2011) evidenzia come l’elemento che accomuna quest’insieme eterogeneo di lavoratori è la condizione di indipendenza. Inoltre, è necessario precisare che accanto alle figure in precedenza indicate (imprenditori, lavoratori in proprio e professionisti), nella categoria di lavoratori indipendenti, le statistiche ufficiali nazionali includono anche i soci di cooperativa e i coadiuvanti familiari: nel primo caso si tratta di chi è membro di una cooperativa di produzione di beni e/o servizi, nel secondo caso di chi collabora con un familiare che svolge un’attività in proprio. Nel corso del capitolo, sarà specificato di volta in volta a chi effettivamente si riferiscono i dati proposti74.

L’accezione comune, che definisce il lavoratore autonomo sulla base della propria autonomia nel procacciarsi lo stipendio, raggruppa quindi tre grandi categorie (imprenditori, lavoratori in proprio e professionisti), la cui specificità è stata nel tempo valorizzata, anche dal punto di vista normativo. Come evidenzia Ranci (2012), ciò ha fatto sì che tali figure non si riconoscessero in un insieme omogeneo, favorendo al contrario il particolarismo categoriale. Inoltre, l’attuale contesto economico e sociale ha causato una fluidificazione ulteriore di tali distinzioni, favorendo una “riarticolazione del campo” (Ranci, Di Maria, et al. 2008). Infatti, accanto a figure tradizionali come commercianti, artigiani, liberi professionisti, si

74 Una terza categoria che per il codice civile rientra tra i lavoratori autonomi è quella dei lavoratori parasubordinati. Questi vengono normalmente esclusi dal computo dei lavoratori indipendenti sia nelle statistiche nazionali che fanno riferimento all’Istat sia nell’ambito delle informazioni internazionali.

sono sviluppate sia nuove figure del terziario avanzato sia piccoli imprenditori innovativi.

Anche dal punto di vista del reddito e delle condizioni di vita le differenze interne ai lavoratori autonomi sono aumentate. Quindi se da un lato negli ultimi vent’anni i lavoratori indipendenti hanno accresciuto il loro reddito medio più del lavoratore dipendente, soprattutto di quello operaio o impiegatizio a qualificazione intermedia, dall’altra i differenziali di reddito all’interno del lavoro indipendente sono aumentati notevolmente: accanto a molti che si sono arricchiti, ve ne sono altri che si sono impoveriti e hanno visto diminuire le proprie potenzialità sia in termini di reddito sia in termini di competitività (Ranci 2012). Da elemento stabile e tradizionale del ceto medio, gran parte del lavoro indipendente è passata a occupare una posizione più ambigua e sfuggente (Ibidem), spiazzato dalla globalizzazione e dalla liberalizzazione dei mercati, ma anche da cambiamenti sociali che riguardano, ad esempio, la famiglia, il ruolo della donna, l’immigrazione. Il lavoro indipendente ha subito delle trasformazioni anche interne, dovute all’emergere delle nuove professioni in cui prevalgono forme di lavoro parasubordinato e partire Iva. A questo aspetto, da un altro punto di vista, si segnalano altre dinamiche tra cui l’importanza crescente delle competenze imprenditoriali anche nei lavori professionali, l’incremento della grande distribuzione nel commercio e la conseguente diminuzione dei piccoli esercizi e, infine, l’aumento delle attività del terziario, a cui si affianca una diminuzione del peso degli indipendenti nei distretti manifatturieri industriali.

All’interno di questo mondo multiforme quindi si compongono e scompongono diverse categorie che non sempre sono riconducibili ad una gerarchia precisa. Tradizionalmente è stata proposta la distinzione tra “borghesia indipendente” e la “piccola borghesia” (Cobalti e Schizzerotto 1994), facendo riferimento nel primo caso agli imprenditori e ai liberi professionisti e nel secondo caso ai lavoratori in proprio e ai micro-imprenditori, in cui convivono nella stessa persona la proprietà dei mezzi di produzione e il lavoro di natura esecutiva. Altri hanno proposto ulteriori distinzioni che fanno riferimento al grado di qualificazione del lavoratore (Barbieri e Bison 2004): sia i lavoratori indipendenti sia i dipendenti sono stai suddivisi da questi autori in posizioni manageriali o professionali, lavoratori che svolgono mansioni qualificate e lavoratori non qualificati. Tuttavia, Ranci (2012) osserva come anche quest’ultima classificazione sia non sempre applicabile alla realtà effettiva e concreta dei lavoratori indipendenti. Infatti, al di là delle distinzioni interne, come ribadito in precedenza, l’elemento comune è l’indipendenza del lavoratore autonomo, che a differenza del lavoratore dipendente, ha come interlocutore il mercato e pertanto si interfaccia direttamente con il cliente, organizza la propria attività senza alcun vincolo di subordinazione, non percepisce un salario come ricompensa del proprio lavoro e pertanto assume il rischio di impresa completamente sotto la sua responsabilità (Reyneri 2011). A tal proposito, quindi, rispetto all’autonomia, che costituisce la dimensione centrale del

lavoratore autonomo o microimprenditore, è possibile distinguere un continuum su cui collocare i lavoratori indipendenti: da coloro che posseggono una vasta clientela, a chi si interfaccia al mercato attraverso forme di committenza limitata (sub-contracting) fino a chi lavora per un solo committente75, talvolta anche con forme di collaborazione (Ranci, 2012).