3. I DIVERSI VOLTI DEL LAVORO AUTONOMO E INDIPENDENTE
3.3. Il terziario
Nell’ambito dei servizi, accanto al commercio, vi sono altre attività che rivestono un ruolo rilevante e che evidenziano una crescita importante nel corso dell’ultimo decennio. Infatti, la caduta del settore industriale e manifatturiero (cfr. paragrafo 3.1) lascia spazio ad una terziarizzazione del sistema produttivo, con un aumento significativo rispetto al 2001 delle imprese e degli addetti sia nel settore del commercio sia degli “altri servizi”. All’interno di quest’etichetta sono ricompresi una serie di attività tra loro eterogenee (Tabella 9), che costituiscono il 40,3% delle imprese italiane e occupano il 29,3% degli addetti, pari a circa 4,5 milioni di persone. In generale, analizzando i dati ricavati dai Censimenti dell’Industria e dei Servizi, si osserva come la variazione percentuale delle imprese sia maggiore rispetto al numero di addetti complessivi, a testimonianza di una frammentazione del settore che vede un’elevata presenza di imprese unipersonali e microimprese. Anche il numero dei lavoratori indipendenti è considerevole, superando di circa dieci punti percentuale il valore relativo al totale italiano. In particolare sono aumentate le imprese immobiliari, quelle che si occupano di servizi sociali, sanitari e di istruzione, nonché le attività professionali e i servizi alle imprese. In generale, si tratta di un terziario avanzato in cui gli addetti spesso sono persone che hanno seguito iter formativi medio alti e la cui crescita può costituire un ambito strategico nel contesto italiano.
83Nel 2012 sono cessate in tutto il comparto del commercio 108.321 attività a fronte di 71.286 iscrizioni, con un saldo di -37.035 unità: circa i due terzi di queste sia tra le iscritte sia tra le cessate sono esercizi al dettaglio (rispettivamente 43.367 tra le prime e 64.126 tra le seconde).
84Ciò viene confermato anche dai dati: infatti, secondo l’Istat (Istat 2013), circa il 40% dei commercianti è in possesso del diploma di scuola superiore e solo il 6% ha un titolo di laurea.
85 Il D.lgs. n. 14/1998 eliminò le licenze per gli esercizi con superficie di vendita inferiore ai 250 m2(con esclusione di farmacie e delle rivendite di generi di monopolio), le tabelle merceologiche, i piani commerciali gestiti dai comuni e ampliò gli orari degli esercizi. Più recentemente è stato ulteriormente liberalizzato l’orario di apertura dei negozi e la vendita di farmaci.
Tabella 9 - Imprese e addetti Altri servizi in Italia. Censimenti 2001-2011, v. a. e %, var. %
2001 2011 Var. 2001/2011
Anno Imprese addetti imprese Addetti imprese addetti
v.a. v.a. v.a. % v.a. % di cui
indip.* % Informazione/comunicazione 91.051 559.327 96.265 2,2 538.970 3,3 16,3 5,4 -3,8 Attività finanziarie e assicurative 82.219 591.487 90.805 2,1 597.334 3,6 16,8 9,5 1,0 Attività immobiliari 137.112 211.204 227.882 5,1 281.245 1,7 79,8 39,8 24,9 Attività professionali, scientifiche e tecniche 524.804 942.884 693.770 15,7 1.177.970 7,2 61,8 24,4 20,0 Noleggio, agenzie di viaggio,
servizi di supporto alle imprese
112.554 764.748 143.553 3,2 1.048.833 6,4 13,6 21,6 27,1
Istruzione 19.317 61.388 24.825 0,6 74.825 0,5 38,5 22,2 18,0 Sanità e assistenza sociale 172.056 370.565 246.770 5,6 518.940 3,2 48,7 30,3 28,6 Attività artistiche, sportive,
di intrattenimento 52.632 119.225 61.527 1,4 157.139 1,0 40,8 14,5 24,1 Altre attività di servizi per la
persona 169.540 315.290 172.000 3,9 375.550 2,3 53,6 1,4 16,0 Altre attività di servizi 33.659 61.512 26.152 0,6 46.837 0,3 65,4 -28,7 -31,3
Tot. altri servizi 1.394.944 3.997.630 1.783.549 40,3 4.817.643 29,3 41,6 21,8 17,0 Totale 4.083.966 15.712.908 4.425.950 100,0 16.424.086 100,0 31,2 7,7 4,3 *Addetti indipendenti, valore %
Fonte: n.s. elaborazioni su dati Istat-Censimento dell’industria e dei Servizi 2001 e 2011
In particolare, inoltre, vale la pena soffermarsi sul ruolo dei professionisti, al di là di quelle che sono le informazioni statistiche che si possono leggere nella tabella sopra riportata: infatti, accanto ai classici professionisti riconosciuti dagli ordini professionali, nel corso degli ultimi decenni si sono affacciati sul mercato una serie di professionalità non sempre inquadrate o inquadrabili in etichette univoche e precise che hanno reso i confini di queste figure più permeabili. In particolare, ciò è dovuto allo sviluppo progressivo di nuove figure professionali, spesso autoregolamentate e con identità poco definite in termini di competenze, conoscenze e iter formativi, che si sono affiancate alle libere professioni tradizionalmente disciplinate dagli ordini professionali.
L’incremento delle figure professionali è testimoniato anche dalla numerosità di ordini professionali e associazioni riconosciute dal D. lgs. 206/2007: infatti, i primi sono 27 e le seconde 106 associazioni. In entrambi i casi, l’elemento discriminante che definisce l’appartenenza a un gruppo professionale piuttosto che a un altro si basa sul possesso di conoscenze decodificate. Nel caso delle professioni regolamentate, l’accertamento delle competenze è funzionale all’accesso all’ordine e si affianca a specifici sistemi di formazione, codici etici o di comportamento; nel secondo caso, invece, i criteri di accesso sono più fluidi e l’identità professionale appare meno definita86. Accanto a questa distinzione formale, la letteratura 86Un caso idealtipico è quello delle professioni legate al mondo della comunicazione e della pubblicità, in cui è regolamentata solo la professione del giornalista, ma che vede la presenza di numerose figure tra loro simili (PR, comunicatori, pubblicitari ecc.).
(Wilensky 1979) evidenzia una generale tendenza alla professionalizzazione dei lavori, che si accompagna allo sviluppo di “sistemi conoscitivi” di formazione riconosciuti che garantiscano la realizzazione di una serie di attività in modo esclusivo o con un ragionevole grado di protezione87(Consorzio AAster 2011). In questo senso in parte viene ripresa la definizione di professione proposta da Gallino: “un’attività lavorativa altamente qualificata, di riconosciuta utilità sociale, svolta da individui che hanno acquisito una competenza specializzata seguendo un corso di studi lungo ed orientato principalmente a tale scopo” (Gallino 1993, 516). Alle interpretazioni che hanno messo in luce la diffusione di aspetti tipici delle professioni anche tra le attività lavorative non professionali, si sono affiancate una serie di riflessioni sulla funzionalità della stesse. In questo senso, le teorie classiche della sociologia, da Parsons in poi, hanno adottato un approccio funzionalista, ponendo l’accento sull’utilità delle professioni nel contesto pubblico, in quanto orientate all’interesse generale e finalizzate a garantire -in situazioni di asimmetria informativa- la tutela dei cittadini. Questo orientamento è stato criticato da chi evidenzia gli interessi privati delle varie categorie, identificando lo scopo ultimo delle professioni nella loro riproduzione: in questo senso, il controllo dell’accesso è finalizzato al mantenimento dei privilegi di reddito e occupazionali. Da un punto di vista teorico, quindi, lo studio delle professioni si è spostato dall’analisi della funzione delle stesse nella società all’analisi dei meccanismi attraverso cui viene determinato chi è professionista e chi no, puntando l’attenzione sulle fratture interne al mondo del lavoro in termini di prestigio. La complessità dovuta all’emergere di nuove figure professionali quindi ha fatto sorgere una nuova questione legata alle condizioni che inducono i membri di un’occupazione a trasformarla in una professione.
Solitamente i professionisti si definiscono come soggetti che producono reddito di lavoro autonomo, ma non si costituiscono come imprenditori. Ma allora perché parlarne in un contributo che si occupa di analizzare la formazione e la creazione di impresa? Dalla seconda metà degli anni ’70, il cambiamento di paradigma economico ha reso più complessa l’analisi contribuendo alla nascita delle nuove professioni, che nel lungo periodo hanno comportato una spiccata frammentazione. La proliferazione di figure non regolate hanno incrementato la competizione (anche tra professionisti con competenze simili), generando di fatto comportamenti di natura imprenditoriale anche tra alcune tipologie di professionisti. Inoltre, vi sono molti professionisti che hanno alle proprie dipendenze dei lavoratori. Da questo punto di vista, la polverizzazione e l’atomizzazione del mercato professionale sono meno ancorate a ruoli e funzioni istituzionali e a categorie o gruppi consolidati: “la 87Il rapporto AAster sulle vecchie e nuove professioni nel milanese identifica i seguenti aspetti come rilevanti nel definire una professione: “identificabilità; ruolo di gestione e di innovazione di processi di servizio; presenza di abilità e competenze definite (ovvero esplicitate in sistemi di conoscenza controllabili e verificabili); esistenza di un corpo sistematico di teorie e tecniche; curriculum formativo riconosciuto e con valore legale; conferimento di un’autorità legittimante; codice deontologico” (Consorzio AAster 2011, 5).
credibilità del professionista viene a fondarsi sulla sua capacità imprenditoriale” (Ranci 2012). Di conseguenza, viene richiesto ai professionisti di sviluppare, accanto alle specifiche competenze tecniche, capacità imprenditoriali di tipo commerciale, legate alla gestione dei clienti e allo sviluppo de proprio mercato di riferimento. A tal proposito Armano (2010) evidenzia come spesso la soggettività di questi nuovi professionisti viene considerata come quella di soggetti che si muovono in un orizzonte fluido non sempre accomunabile a quello del lavoro professionale o imprenditoriale.
Il farsi strada dei nuovi professionisti è dovuto alla transizione delle organizzazioni verso nuovi assetti economici, che hanno interessato anche i servizi per le imprese, aprendo nuovi mercati per esempio legati all’intermediazione, ai servizi finanziari, commerciali, informatici, di comunicazione, alla consulenza organizzativa e di direzione. Lo sviluppo di queste professionalità e la conseguente crescita del settore terziario sono quindi strettamente connessi alla transizione postfordista, che ha aumentato notevolmente lo spazio delle occupazioni a elevato contenuto tecnico e a qualificazione intellettuale, caratterizzate da una certa autonomia contrattuale. Essa si accompagna, inoltre, all’incremento generalizzato del livello di istruzione dei lavoratori italiani. Non è un caso quindi, che, come sottolineano Accornero e Anastasia (2006), nel contesto italiano la maggiore concentrazione di professionisti ad elevata qualificazione si registri nelle regioni del nord e in particolare del nord-ovest.
In Italia, la regolamentazione delle professioni è stata per lungo periodo demandata gli ordini professionali, che attraverso le limitazioni all’accesso e il controllo sulla formazione hanno di fatto svolto un ruolo di protezione dei loro iscritti dalla concorrenza di libero mercato88. Tuttavia, specie in alcuni casi, tale meccanismo ha generato effetti negativi producendo un eccesso di offerta, che ha inciso sui livelli di reddito e di autonomia dei professionisti stessi. Su ciò incide anche la struttura organizzativa atomizzata dei professionisti che spesso operano in regime di monocommittenza con un conseguente scarso potere contrattuale in termini di definizione del valore della prestazione erogata. A maggior ragione ciò è valido anche per quelle professioni non regolate, il cui riconoscimento sociale è debole. Ciò ha esposto i professionisti più giovani, meno qualificati e dotati di minori risorse relazionali ad una notevole fragilità e precarietà lavorativa. Questa interpretazione si inserisce all’interno della tesi della deprofessionalizzazione, intesa come “perdita, da parte delle occupazioni a carattere professionale, del monopolio sulla conoscenza, della fiducia del pubblico nella loro etica del servizio e 88Con la finalità di aumentare la concorrenza, in diverse occasioni (L. 48/2006, L. 183/2011, D.lgs. 1/2012) il legislatore ha tentato di riformare il mercato delle professioni svincolando gli ordini dal controllo sulla regolazione economica ed organizzativa e riservando loro una funzione i tutela della qualità e promozione dell’innovazione. Tali novità legislative hanno incontrato una certa resistenza da parte deli ordini professionali, specie per quanto riguarda l’abolizione del tariffario minimo delle prestazioni, lo snellimento e la tutela dei percorsi di accesso, l’introduzione della pubblicità informativa e la possibilità di creare organizzazioni societarie che offrano servizi professionali.
delle aspettative di autonomia” (Consorzio AAster 2011, 10). Accanto a questa visione pessimistica, vi sono autori (Butera 1997, Rullani 2004) che analizzano i cambiamenti delle professioni nel contesto di una terziarizzazione generalizzata del lavoro e di una svolta cognitiva dell’economia, caratterizzata dall’emergerne dei nuovi lavoratori della conoscenza. Emergono, quindi, due visioni contrapposte che mettono in luce da un lato il declassamento delle professioni, dall’altra l’accesso di ampie fasce di lavoratori ad attività nelle quali è possibile realizzare obiettivi di autonomia e soddisfazione professionale. In particolare, alcuni autori mettono in luce tre tendenze distintive (Consorzio AAster 2011, 12):
“la tendenza alla nuova professionalizzazione intesa come la crescita del numero di occupazioni terziarie high skilled che richiedono riconoscimento e tutela;
la tendenza alla de-professionalizzazione, ovvero la de-istituzionalizzazione delle professioni tradizionali e tutelate da ordini, indebolite dal punto di vista del prestigio sociale e dell’esclusività delle conoscenze;
la tendenza alla ri-professionalizzazione derivata dalla reazione ai fenomeni sopra riportati e a ridefinire i confini delle professioni”.