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Schumpeter e l’imprenditore come innovatore

3. L’EVOLUZIONE DEL PENSIERO SUL CONCETTO DI IMPRENDITORE

3.2. L’imprenditore nell’approccio funzionalista

3.2.1. Schumpeter e l’imprenditore come innovatore

L’individuazione della funzione innovativa dell’imprenditore è da attribuirsi a Schumpeter che, nella Teoria dello sviluppo economico (Schumpeter 1911, in Tigilia, 1998), identifica l’imprenditore in colui che, introducendo nuove combinazioni produttive, in grado di rompere gli equilibri preesistenti: “l’imprenditore è colui che introduce continue innovazione e continui processi innovativi” (J. Schumpeter, 1939, 132, in Trigilia 1998).

Da questo punto di vista il suo approccio supera la visione neoclassica dell’imprenditore quale soggetto passivo, che sottoposto alle regole del mercato cerca di massimizzare il proprio profitto. Egli pone l’accento sullo spirito di iniziativa, che può portare alla modifica delle condizioni del mercato stesso (Mussati 1990). Secondo quest’ottica, le nuove imprese si sviluppano a partire dalla capacità creativa dei potenziali imprenditori, che immaginano nuove combinazioni produttive, dando luogo a nuove organizzazioni, ridefinendo l’equilibrio del mercato preesiste (Schumpeter 1967). Genesi dei nuovi imprenditori e sviluppo economico sono quindi strettamente connessi. Nel dettaglio, però, Schumpeter 21In particolare, Liebenstein considera l’impresa come un’organizzazione composta da individui diversi che perseverano obiettivi tra loro differenti (in particolare, da un alto gli investitori o i proprietari che tendono esclusivamente a massimizzare il profitto, dall’altra i manager che agiscono sulla base di obiettivi organizzativi e di risultato, che non necessariamente coincidono con un immediato profitto). Attraverso il concetto di

X-efficiency, egli descrive l’abilità imprenditoriale di cogliere nuove opportunità andando a esplorare le aree di

inefficienza dell’azienda, ad esempio collegando mercati diversi o modificando i processi di produzione a seguito di nuove conoscenze.

22Il contributo della scuola economica neo-austriaca, che trae origine dal concetto di rischio esposto da Knight, mette in luce una definizione non esclusiva di imprenditore, in quanto ogni agente economico è caratterizzato da comportamenti imprenditoriali, dal momento che si colloca in un ambiente dominato dall’incertezza. Alla base di quest’approccio vi è un assunto di base legato alla razionalità olimpica, per cui per superare la costante incertezza sarebbe sufficiente incrementare gli elementi conoscitivi.

23Tale filone di studio, che prende il nome di contrattualismo trae origine dall’allargamento dell’oggetto di analisi oltre i confini dell’impresa, concentrandosi sui concetti di transizione e informazione. In particolare viene ampliata l’analisi degli scambi non solo alle merci e ai servizi, ma anche ad aspetti immateriali come il capitale conoscitivo, il capitale organizzativo, la capacità strategica: l’imprenditore è proprio colui che controlla e gestisce tutto il flusso informativo e relazionale che serve per organizzare tutti questi elementi. Successivamente, muovendosi nell’ambito dl neoistituzionalismo economico (cfr. par. 4.6.1), Williamson a partire da questo approccio definirà la teoria dei costi di transizione.

distingue tra crescita e sviluppo socio-economico. Egli definisce la crescita come un “flusso circolare che sostanzialmente ripercorre di anno in anno lo stesso cammino paragonabile alla circolazione del sangue nell’organismo animale” (Schumpeter, 1911 in La Rosa, Rizza, Zurla, 2006 p.128): si tratta quindi di un processo di adattamento, in quanto gli individui agiscono sulla base della routine e dell’esperienza, conservando quindi l’abituale condotta economica, finalizzata a mantenere l’equilibrio tra i mezzi di produzione e i bisogni da soddisfare. Lo sviluppo, invece, è il portato di momenti di discontinuità che conducono all’introduzione di nuove combinazioni produttive (azione creativa, in Schumpeter 1967) e permettono al ciclo economico di compiere un salto di tipo qualitativo (Zanini 2000). La teoria dell’innovazione consente dunque all’autore austriaco di spiegare l’alternarsi nel ciclo economico di fasi espansive e recessive: l’introduzione delle innovazioni si concentra nelle prime, cui segue un nuovo equilibrio. Questo muta rispetto al precedente grazie all’apporto dell’innovazione24, che introduce diverse combinazioni di fattori produttivi. Nel dettaglio egli identifica cinque tipologie di innovazione: innovazione dei prodotti e della loro qualità, dei metodi di produzione, delle organizzazioni industriali, dei mercati di sbocco e, infine, delle fonti di approvvigionamento. Inoltre, egli evidenzia come proprio l’accezione funzionalista dell’imprenditore permette di individuare tale figura non solo nella società capitalista, ma anche in altre configurazioni sociali (La Rosa, Rizza e Zurla 2006).

La riflessione di Schumpeter sull’imprenditore è molto prolifica, abbracciando anche prospettive diverse: dall’evoluzione storica dell’imprenditore, all’analisi dello stesso come soggetto economico, delle sue funzioni nell’impresa al suo ruolo nello sviluppo economico25(Pagani, 1964). Imprenditore, impresa e sviluppo appaiono strettamente connessi nel pensiero schumpeteriano26: infatti, l’imprenditore viene interpretato come il portatore esclusivo dello sviluppo economico, in quanto depositario dell’innovazione. In questo senso, la figura del capitalista e quella dell’imprenditore sono separate: a prescindere dalla presenza della proprietà, il secondo viene definito come colui che opera in modo innovativo. Pertanto, egli fornisce una definizione funzionale di imprenditore, che può comprende anche i dirigenti e i tecnici che contribuiscono all’introduzione di elementi innovativi. Di

24Per questo motivo, l’attività imprenditoriale ha un compito dirompente rispetto al contesto economico e sociale in cui agisce. A tal proposito, Schumpeter utilizza il termine “distruzione creatrice” riferendosi a quelle fasi di trasformazione dovute all’introduzione di innovazioni particolarmente rilevanti, che comportano un cambiamento drastico degli equilibri di mercato, per cui alcune aziende possono morire, altre nascere o rafforzarsi.

25In particolare, è opportuno distinguere tra le opere scritte tra il 1912 e il 1926, in cui viene descritto il ruolo dell’imprenditore come motore dello sviluppo, e quelle scritte negli anni quaranta in cui viene posta maggiore attenzione alle funzioni dell’imprenditorialità, che si evidenziano in nello specifico analizzando le grandi imprese (Pagani, 1964).

26In particolare, Schumpeter si riferisce ai concetti di imprenditore, impresa e sviluppo in termini di tipologie ideali nel senso weberiano del termine al fine di definire alcuni elementi interpretativi significativi.

conseguenza egli si allontana dalla tradizione che vede nell’assunzione di rischio27

una determinante fondamentale della figura imprenditoriale. Infatti, per Schumpeter è il capitalista che si assume il rischio del capitale, mentre l’imprenditore lo sostiene esclusivamente nel caso  possibile ma non necessario  in cui sia anche capitalista. Pagani (1964, p. 29) a tal proposito citando Schumpeter ricorda che “non è il padrone della diligenza a introdurre la ferrovia”.

Per Schumpeter quindi l’analisi dell’imprenditorialità coincide con lo studio della reazione creativa nell’attività economica, che si manifesta a diversi livelli: “non vi è bisogno che la cosa nuova sia spettacolare o di importanza storica; non c’è bisogno che si tratti dell’acciaio di Bessember o del motore a scoppio; può essere anche la salsiccia di Deerfoot. Per cogliere il fenomeno anche ai livelli più modesti è indispensabile, anche se può essere difficile, analizzare storicamente i piccoli imprenditori” (Schumpeter 1967, 69).

L’analisi di Schumpeter nasce da una critica verso gli approcci sociologici e storici che a suo avviso, rispetto all’economia, si sono occupati di questa figura solamente in modo marginale, indagando prevalentemente la figura manageriale senza esaminare fattori che favoriscono o meno la nascita dell’imprenditore e che lo contraddistinguono da altre attività lavorative. Per questo egli ritiene rilevante introdurre anche elementi legati agli aspetti psicologici e di personalità cercando di individuare quelli caratteristici in modo esclusivo della figura dell’imprenditore e del suo ruolo sociale. Questo, infatti, per adempiere alla sua funzione innovativa che spesso assume caratteri dirompenti, deve contrastare l’esistenza dei gruppi sociali consolidati e di coloro che possono avere interesse a ostacolare l’introduzione dell’innovazione. Da questo punto di vista, esso si mette in gioco non solo dal punto di vista pecuniario, ma piuttosto anche rispetto alla reputazione sociale, in quanto si trova a dover contraddire le routine sociali, le consuetudini e gli schemi culturali consolidati. Per questo motivo l’imprenditore può essere definito come un deviante, che rompe i paradigmi precedenti e che pertanto necessita di una grande capacità d’intuito e tempestività nel comprendere ciò che in seguito avrà successo28. Questa capacità di leadership è indispensabile per superare i momenti di difficoltà e gli ostacoli che possono precedere l’affermazione di un’innovazione.

Successivamente, il pensiero di Schumpeter, di cui in questa sede sono stati approfonditi solo alcuni punti, è stato alla base degli studi elaborati nell’ambito del Research Center of Entrepreneurial History dell’università di Harvard, che ha cercato di superare alcuni elementi critici della teoria schumpeteriana come ad esempio quella di essersi soffermata esclusivamente sulle grandi realtà imprenditoriali, pur 27 Come ricorda Pagani (1964), Schumpeter intende il rischio esclusivamente in senso pecuniario. Tuttavia, nell’ambito delle attività del Center anche altri autori hanno cercato di conciliare la definizione di imprenditore di Schumpeter, legata alla funzione innovativa, con quella di Kinght connessa al concetto di rischio, identificando l’imprenditore in colui che in forza di un rapporto di proprietà assume appieno il rischio dell’introduzione dell’innovazione.

non identificando l’imprenditore come appartenente a una specifica classe sociale (Pagani, 1964). Per questo, Cole (1949) amplia l’oggetto di analisi all’entrepreneurial team, ovvero all’insieme di persone che, a vario titolo, partecipano alle decisioni aziendali e detengono una posizione istituzionalmente riconosciuta: tuttavia, anche un’analisi di questo tipo esclude automaticamente i piccoli operatori individuali come artigiani e commercianti che svolgono prevalentemente attività di routine (Pagani, 1964, p. 58). Inoltre, Cole (1949) propone una revisione anche del concetto di innovazione affermando che l’aspetto rilevante nella definizione della stessa non è tanto la sua priorità storica quanto la sua percezione come tale da parte del contesto sociale: in questo senso propone una visone antropologica dell’innovazione, che assume un valore soggettivo. Infatti, il grado di successo di una novità produttiva dipende dalla sua capacità di diffondersi nella società.

Il pensiero schumpeteriano ha avuto una notevole influenza nell’identificare l’impresa come attore fondamentale del cambiamento economico, tra i cui compiti rientrano anche la ricerca e lo sviluppo di beni innovativi. Nel contesto attuale, l’analisi di un fenomeno particolarmente complesso come l’innovazione richiede l’adozione di un orizzonte di riferimento che superi i confini dell’economia d’impresa, integrando diverse prospettive economiche, sociali e tecniche.