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Imprenditoria straniera

1. IL QUADRO DELLE POLITICHE PER L’IMPRENDITORIALITÀ

1.4. I destinatari privilegiati delle politiche per l’imprenditorialità

1.4.3. Imprenditoria straniera

Un’ulteriore categoria di lavoratori a cui l’Europa guarda con particolare interesse rispetto alla creazione di impresa è quella dei migranti. Infatti, molte analisi internazionali evidenziano come essi costituiscono un segmento di popolazione che presenta livelli di propensione all’imprenditorialità maggiori rispetto agli autoctoni. L’importanza delle imprese gestite da immigrati è rilevante anche per la creazione 133In particolare alcuni studi mettono in evidenza come l’imprenditoria femminile sia penalizzata dalla scarsa credibilità e dalla mancanza di piena legittimazione del proprio ruolo delle donne sul piano economico, per cui sussistono maggiori difficoltà di accesso al credito rispetto ad un uomo (Lesina e Lotti 2008).

di occupazione. Infatti, secondo l’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) le piccole medie imprese gestite da migranti creano da 1,4 a 2,1 nuovi posti di lavoro (OECD 2010): pertanto la loro valorizzazione è strategica. Tuttavia, esse presentano alcuni elementi di debolezza: infatti, sono più piccole rispetto a quelle autoctone sia per quanto riguarda la dimensione sia rispetto al profitto e, inoltre, presentano elevati tassi di fallimento (Commissione Europea 2013, 26).

Sull’imprenditoria immigrata la letteratura sociologica di stampo nazionale e internazionale ha prodotto numerosi studi che ne hanno messo in luce le diverse peculiarità, evidenziando in particolare come la determinante etnica – e il bagaglio di valori che la caratterizzano – incida notevolmente sulla propensione ad avviare attività imprenditoriali. In particolare, nella teoria sociologica si è fatto spesso riferimento al concetto di enclave etnica, che mette in luce la specializzazione dei gruppi etnici in specifici settori imprenditoriali, anche attraverso l'utilizzo di risorse umane (dipendenti, collaboratori) e relazionali (l'ottenimento risorse informative, dei clienti e rapporti con i fornitori, ecc.) interne alla stessa comunità (Wilson e Portes 1980). Ambrosini (2005), inoltre, ha messo in evidenza il concetto di transnazionalismo, sottolineando la rilevanza del campo transnazionale nella strutturazione delle attività imprenditoriali dei migranti: la capacità di mobilitare reti e contatti attraverso i confini alla ricerca di nuovi mercati, di capitali e di fornitori è quindi rilevante tanto quanto la struttura di opportunità presente nel contesto di insediamento. Spesso le attività degli immigrati sono in qualche modo legate ai paesi di origine: tipicamente ad esempio le attività di import-export o le attività commerciali che propongono prodotti etnici. Le risorse relazionali attivate diventano quindi fondamentali per superare eventuali difficoltà linguistiche, giuridiche ed economiche che si possono incontrare per avviare l’attività autonoma. In questo senso il progetto imprenditoriale risulta funzionalmente inserito in quello migratorio. Inoltre, lo sviluppo dell’imprenditoria immigrata non dipende solo dalle caratteristiche dei network etnici, ma anche dal contesto in cui questi si inseriscono: la capacità di agency viene attribuita non solo alle minoranze, ma anche agli altri attori presenti nel contesto di destinazione dei potenziali imprenditori immigrati (Barberis 2008). Infatti, tra le motivazioni alla base del percorso imprenditoriale, non vi sono solo elementi legati alle caratteristiche dell’offerta imprenditoriale, ma anche a quelle della domanda e dell’ambiente in cui matura la scelta imprenditoriale. Si citano, ad esempio: la presenza in alcuni settori di maggiori vincoli normativi che possono ostacolare il passaggio dal lavoro dipendente a quello autonomo, le caratteristiche frammentarie del sistema economico e produttivo che è maggiormente ricettivo alla nascita di piccola imprenditoria e la presenza di spazi lasciati liberi dalla scarsità dell’offerta imprenditoriale autoctona. In particolare quest’ultimo caso è quello di attività rivolte ai locali, che non necessariamente hanno a che fare con gli aspetti etnici.

Data l’ampiezza della letteratura sociologica su questi temi, l’obiettivo in questa sede non è quello di fornire una ricognizione completa e di cogliere tutte le sfaccettature e le dinamiche che spingono gli immigrati a propendere verso l’attività imprenditoriale, tanto più che essi non costituiscono un gruppo omogeneo per quanto riguarda le caratteristiche individuali di partenza, le esperienze maturate, le motivazioni e il capitale culturale di riferimento. Al contrario, ci si limita a mettere in evidenza solo alcuni elementi di carattere generale. Per quanto riguarda quindi le motivazioni che possono spingere un migrante verso il lavoro autonomo, un aspetto centrale è certamente dato dalle aspirazioni di mobilità sociale134, non facilmente realizzabili attraverso una carriera da lavoratore dipendente (a causa, ad esempio, della scarsa competenza linguistica, della mancanza -o non riconoscimento- dei titoli di studio e della presenza di stereotipi e pregiudizi). In questo senso, gli imprenditori migranti –almeno in una fase iniziale-possono essere classificati come prevalentemente necessity driven, anche se nel lungo periodo vi sono anche casi di successo, specie tra gli immigrati di lungo corso o tra i giovani con titolo di studio elevati (Benini 2013). La rilevanza dell’imprenditoria immigrata nel contesto italiano viene confermata anche dal costante incremento del numero di attività gestite da migranti, tanto anche nel 2012 il saldo di imprenditori stranieri segnava valori positivi (Censis 2013). È chiaro, inoltre, che all’interno della categoria del lavoratori stranieri sussistono notevoli differenziazioni etniche, per cui alcuni gruppi mostrano una maggiore propensione imprenditoriale135 (Ambrosini 2005, Barberis 2008). Inoltre, che anche il genere e la storia individuale di ciascuno giocano un ruolo rilevante.

Oltre a ciò, il lavoro autonomo è stato spesso indicato anche come strumento di integrazione e coesione sociale, poiché luogo di scambio e di interazione tra individui appartenenti a comunità diverse. In realtà Ambrosini (1999) ha messo in evidenza come i due aspetti non sempre vadano di pari passo, in quanto dipendenti dalle caratteristiche intrinseche delle comunità prese in considerazione: in questo senso un caso idealtipico è quello delle comunità cinesi, che mostrano elevati livelli di imprenditorialità, ma uno scarso livello di integrazione.

Alla luce delle considerazioni precedentemente esposte, considerare i migranti tra i target privilegiati delle politiche per l’imprenditorialità, comporta l’inserimento delle classiche motivazioni alla base dell’avvio di impresa all’interno di quello che è il più ampio percorso migratorio. Tuttavia, alcuni contributi recenti sottolineano 134Tuttavia è opportuno sottolineare che mentre per alcuni migranti l'accesso al lavoro autonomo costituisce a tutti gli effetti un miglioramento sociale, per altri può sfociare verso un lavoro precario e non redditizio. Infatti, se si considerano i settori in cui è maggiormente diffusa l’imprenditorialità straniera, spesso si tratta di attività a basso valore aggiunto e che richiedono un lavoro poco qualificato, che comporta una situazione di marginalità e precarietà.

135Il Censis (2013) mette in evidenza come le tre nazionalità più rappresentate tra gli imprenditori stranieri siano Marocchini, Rumeni e Cinesi. A livello regionale non si evidenzia un’unica tendenza, ma emergono delle specificazioni etniche. I Cinesi, ad esempio, sono più presenti in Toscana, Veneto e Marche, gli egiziani in Lombardia.

come, accanto a questa rappresentazione etnica della creazione di impresa, vi siano, anche nel contesto italiano, sempre più attività gestite da stranieri che privilegiano i mercati mainstream e forme organizzative che prevedono il coinvolgimento di autoctoni (Arrighetti, Bolzani e Lasagni 2013), dimostrando quindi una certa maturazione dell’imprenditorialità straniera. In sintesi, come evidenziato dalla Commissione Europea nel Piano d’azione imprenditorialità 2020 (2013):

“le politiche nazionali ed europee dovrebbero tenere pienamente conto del potenziale imprenditoriale rappresentato da questo gruppo [..] dovrebbero inoltre tener conto delle potenzialità dei migranti qualificati per la creazione di imprese e di posti di lavoro.” (Commissione Europea 2013, 27)