4. L’OFFERTA DI IMPRENDITORIALITÀ: I PARADIGMI DI RIFERIMENTO
4.6. L’imprenditore e il contesto sociale
4.6.2. Il capitale sociale
Ancor più utile nell’analisi delle determinanti che facilitano la creazione di impresa, tuttavia, è l’approccio della nuova sociologia economica, che evidenzia il ruolo della rete nell’agire dell’attore. Infatti, a partire dai lavori di Grannovetter, si è sviluppato un filone interpretativo che considera le scelte individuali come emergenti dalla struttura interna delle relazioni che intercorrono tra soggetti. In questo filone è centrale il concetto di embeddedness ovvero di radicamento dell’azione sociale, che cerca di integrare la contrapposizione individuo e struttura sociale: infatti, “the embeddedness argument stresses instead the role of concrete personal and structures (or “networks”) of such relations in generating trust and discouraging malfeasance.” (Granovetter, 1985, 490).
Gli studi sociologici appartenenti a questo filone hanno posto l’accento sul ruolo che rivestono le relazioni per l’individuo. Granovetter (1973) evidenziava come i legami sociali59 siano basilari nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro: egli in particolare sostiene che ciascun individuo, per facilitare la propria mobilità lavorativa, attiva una serie elevata di legami deboli che permettono il collegamento con gruppi al di fuori della propria cerchia di conoscenze. Altri autori (Grieco, 2001), invece, hanno messo in evidenza una maggiore efficacia dei canali relazionali 58In questo contesto, quindi, il mercato viene inteso come un’istituzione sociale che crea ruoli, identità, sistemi di interazione e meccanismi di riproduzione nel tempo.
59L’operazionalizzazione della forza di un legame è stata fonte di un vasto dibattito. Non essendo questa la sede in cui approfondire tale dibattito, ci si limita dunque a riproporre la formulazione utilizzata dallo stesso Granovetter (1973) nel suo saggio “La forza dei legami deboli”. Egli definisce la forza di un legame come la combinazione lineare della “quantità di tempo, dell’intensità emotiva, del grado di intimità (confidenza reciproca) e dei servizi reciproci che caratterizzano il legame stesso”: più forte è un legame più i legami cognitivi, culturali o affettivi due soggetti da esso interessati hanno una maggiore intensità.
forti rispetto a quelli deboli. Inoltre, l’attenzione di Granovetter (1973) si è indirizzata all’analisi delle reti di relazioni personali tra imprenditori, evidenziando come queste permettano loro di attenuare il rischio di transazioni rischiose sul mercato. Piselli (2001), rispetto all’apparente contraddittorietà di tali analisi, fa notare come il discrimine sia nel contesto e nelle modalità di conduzione di tali studi. Ciò che viene rimarcato, è che, al di là dei diversi casi e ambienti sociali di sfondo, “le risorse relazioni sono importanti in relazione agli obiettivi che si vogliono perseguire”, mentre “diversi sono i legami che di volta in volta sono in grado di fornire” (Piselli, 2001, p. 57). Barbieri (1997), inoltre, sostiene che, nell’accesso al lavoro, l’influenza maggiore di legami deboli o forti dipende in larga misura dal modello occupazionale di riferimento: nel contesto italiano, in cui le istituzioni si rivelano deboli e oggetto di scarsa fiducia, giocano un ruolo primario le relazioni forti. In generale, quindi, questi studi hanno evidenziato l’esistenza di un potenziale di risorse accessibile e attivabile dai membri di una rete sociale: tale potenziale è contenuto all'interno della rete stessa.
La letteratura sociologica sul capitale sociale60è molto numerosa61: come afferma Pedenza (Pedenza 2010, 316), “Da Putnam in avanti, il capitale sociale verrà via via ripreso in molti ambiti disciplinari e, ciò che è più importante, in modi variamente diversi e spesso contrastanti. La sua forza risiede nella flessibilità, per il fatto che si presta ad essere adoperato nella maniera più appropriata per ogni oggetto di studio e per ogni campo disciplinare; la sua debolezza, invece, nella sua polivalenza e poliedricità, che ne fanno spesso un concetto vago e tendente alla onnicomprensività”. In questa sede, quindi, si richiameranno solo alcuni aspetti che possono essere funzionali a evidenziare il ruolo che lo stesso può avere per l’interpretazione dell’attività imprenditoriale62.
In particolare, nelle analisi di Bourdieu è possibile indentificare un approccio improntato all’individualismo metodologico, che analizza il capitale sociale partendo dall’individuo e, quindi, dall’insieme potenziale di risorse accessibili e attivabili dal singolo attore nelle reti in cui è inserito per raggiungere i propri obiettivi. Il capitale sociale, in questo caso, si caratterizza come una proprietà individuale derivante dalla rete in cui è inserito l’individuo e di cui esso stesso è un 60Si veda al riguardo: Loury, 1977; Coleman, 1988; Putnam, 1993; Fukuyama, 1995; Lin, 2001; Glaser et al 2002; Pizzorno, 2001.
61In realtà, il concetto di capotale sociale viene usato per la prima volta da Lydia Hanifan, sovrintendente del sistema scolastico della Virginia Occidentale, nello spiegare gli effetti positivi della partecipazione della comunità sul sistema educativo (Pierucci 2012-2013)
62In particolare, quindi, si tralasceranno gli approcci che si rifanno a Putnam, che valorizza il capitale sociale come bene collettivo, portatore di valori condivisi, coesione sociale e fiducia generalizzata. Putnam (1993), attraverso l’analisi della tradizione civica italiana, mette in relazione il rendimento istituzionale delle regioni della penisola italica con la dotazione di capitale sociale, inteso come civicness. Egli identificava il capitale sociale con “la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che
migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo”. Anche
Fkuyama (1995) individua il capitale come un elemento collettivo della società, facendo riferimento in particolare alle norme sociali che estendendosi al di là dei rapporti familiari contribuiscono al di là del capitale economico allo sviluppo di un solido sistema economico.
nodo. Coleman (1990), muovendosi anch’egli sulla scia dell’individualismo metodologico, definisce specificatamente il capitale sociale come quelle relazioni durevoli nel tempo, possedute dagli individui in un determinato momento, e che permettono di raggiungere degli obiettivi che altrimenti non sarebbero raggiungibili o lo sarebbero in modo difficile. In questo senso il capitale sociale indica una proprietà individuale. Tuttavia, a differenza di Bourdieu, per Coleman il capitale sociale si costituisce come un bene collettivo che appartiene ai soggetti che fanno parte della rete e i cui vantaggi sono distribuiti tra coloro che appartengono alla stessa, pur non risiedendo “né nei singoli individui né negli elementi fisici della produzione” .
Su questo approccio si colloca anche il già citato Granovetter. Criticando il lavoro di Putnam che analizza solo variabili macro, Chiesi (2005) propone una visione micro del capitale sociale. In particolare, in una ricerca, condotta in Italia, egli cerca di verificare empiricamente il legame da lui ipotizzato tra performance aziendale degli imprenditori e capitale sociale di questi. Egli evidenzia come esso venga attivato a livello micro per ridurre i costi di transizione nelle relazioni tra le aziende, ma come al tempo stesso esso incida anche a livello meso, incrementando l’associazionismo degli imprenditori, e a livello macro, generando reciprocità generalizzata (Ibidem). Questo tipo di capitale messo in circolo dagli imprenditori può essere paragonabile a ciò che Pizzorno (2001, 29) definisce capitale sociale di reciprocità ovvero quel capitale sociale che, assimilabile ai legami deboli, “si costituisce nella relazione tra due parti, in cui l’una anticipa l’aiuto dell’altra nel perseguire i suoi fini, in quanto ipotizza che si costituisca un rapporto diadico di mutuo appoggio”63. Egli assume che quando un soggetto instaura un rapporto di qualche durata è prevedibile che avvengano determinati passaggi di aiuti o di informazioni. Inoltre, egli identifica una serie di fattori, per cui il capitale sociale si genera:
pure motivazioni particolaristiche di interesse personale
motivazioni universali che riguardano il riconoscimento di chi interagisce motivazioni legate al riconoscimento di un’identità socialmente determinata Per Pizzorno, il primo caso è assimilabile a quello di “un operatore economico che utilizza determinati rapporti di conoscenza con altri operatori per impiantare un’impresa, o stabilire determinati accordi” e si differenzia dalle mere relazioni di scambio poiché presuppone una certa durata e un radicamento precedente.
Per quanto riguarda, nello specifico, il contributo dell’indagine sul capitale sociale in relazione alle scelte imprenditoriali è utile ricordare alcuni contributi che considerano il capitale sociale in riferiemnto al carattere degli imprenditori (Simoni e Labory 2006), alle decisioni imprenditoriali (Lanza 2002; Minniti 2005; Presutti, 63Un secondo tipo di capitale sociale enunciato da Pizzorno (2001, p.29) è il capitale sociale di solidarietà , il quale “si basa su quel tipo di relazioni sociali che sorgono, o vengono sostenute, grazie a gruppi coesi i cui membri sono legati l’uno all’altro in maniera forte e duratura, ed è quindi prevedibile che agiscano secondo principi di solidarietà di gruppo”.
2005) e alle performance economiche delle imprese. Come evidenzia Presutti (2005), le reti sociali in cui è inserito l’imprenditore costituiscono per lo stesso una risorsa intangibile rilevante per lo sviluppo della sua attività aziendale, al pari del capitale finanziario, di quello fisico e di quello umano (Simoni e Labory, 2006). Sul tema della genesi dell'imprenditorialità, invece, sono significativi i contributi Nahapiet e Ghoshal (1998) che hanno individuato tre dimensioni del capitale sociale che facilitano l’attività d’impresa: strutturale, relazionale e cognitivo. Il primo mette in luce l’importanza delle relazioni impersonali che facilitano l’accesso alle informazioni riducono i tempi e gli investimenti dell’azione imprenditoriale. Con il secondo gli autori si riferiscono alla la fiducia interpersonale che si costruisce nel tempo attraverso relazioni durature, che comprende anche elementi di affettività e valoriali. La dimensione cognitiva del capitale sociale sottolinea come i valori, i codici e i linguaggi condivisi influenzino i rapporti economici tra i diversi soggetti, in quanto alla base di rappresentazioni e interpretazioni di significato comuni.
Successivamente, Abell, Crounchely e Mills (2001) esamiando il nesso tra capitale sociale e la propensione a diventare imprenditore evidenziano tra i due elementi una certa correlazione. In particolare essi teorizzano l’esistenza di diversi networks capaci di incoraggiare e stimolare la formazione di nuova imprenditorialità. Essi propongono tre categorie di network:
Legitimation Networks: rapporti tra soggetti che conferiscono legittimità alla scelta di diventare imprenditore, creando un clima positivo rispetto a questa carriera lavorativa
Opportunity Networks: relazioni che concretamente, a livello istituzionale, offrono l’opportunità di entrare in un settore mediante la costituzione di nuove imprese
Resource Networks: relazioni che permettono di accedere a risorse materiali e capitale umano
Al di là delle diverse teorizzazioni, ciò su cui la letteratura concorda è l’influenza del capitale sociale sull’iniziativa imprenditoriale: non è un caso, infatti, che l’agire imprenditoriale sia fondato sulle relazioni sinergiche tra l’imprenditore e il suo contesto di riferimento, che può condizionare positivamente o negativamente la propria attività. A tal proposito Light e Dana (2013), analizzando i rapporti commerciali della comunità Alutiiq in Alaska, evidenziano come il capitale sociale sia certamente un catalizzatore di imprenditorialità, sebbene non sia una condizione sufficiente per spiegare la genesi imprenditoriale, in quanto si innesta
su un capitale culturale pregresso che condiziona la propensione
all’imprenditorialità. Ad esempio, nel caso della popolazione Alutiiq, il forte capitale sociale usato per attività legate alla pesca non è stato indirizzato verso
l’imprenditoria commerciale, che, infatti, viene gestita prevalentemente da stranieri.
Infine, nel completare la panoramica sul capitale sociale, è opportuno ricordare quanto affermato da Burt rispetto ai buchi strutturali. Egli riprende il lavoro di Granovetter sulla forza dei legami, tuttavia non si concerta sulla forza del legame in sé, quanto piuttosto sulla discontinuità strutturale che la relazione sociale è in grado di coprire. Egli si concentra sul ruolo dell’agente-nodo di una rete sociale in termini di apporto informativo. La su tesi è che il maggiore o minore successo degli individui è legato alla presenza di buchi strutturali (structural holes) nel tessuto sociale in cui gli individui operano: i buchi strutturali sono delle discontinuità informative tra i soggetti. Essi costituiscono delle opportunità per chi li governa (Burt, 2001). L’analisi di Burt si colloca in un contesto di concorrenza imperfetta, in cui, poiché la qualità delle relazioni costituisce un fattore centrale per il successo, la reciprocità delle relazioni personali e le garanzie offerte appaiono fondamentali. In questo quadro, i buchi strutturali rappresentano degli spazi metaforici in cui la mancanza di legami diretti lascia spazio a strutture ponte di mediazione. Poiché ogni individuo possiede una serie di contatti, che si sviluppano nella vita quotidiana, il vantaggio competitivo si trova nella struttura della rete e nella posizione occupata dallo stesso al suo interno. Il trovarsi in zone di confine tra cliques di nodi ravvicinati permette di agire da mediatore (broker): infatti, tra cerchie di individui con legami forti c’è il rischio che le informazioni circolanti siano ridondanti, non introducendo elementi di novità. Al contrario, è proprio grazie ai rapporti più deboli che le informazioni e i rapporti relazionali si rinnovano e producono nuove opportunità.
Un esempio riportato da Burt è quello di un mercato, in cui tra fornitori e consumatori c'è scarsa organizzazione: in questo caso il produttore ha l’opportunità imprenditoriale di negoziare prezzi favorevoli. Il diverso livello di rendimento dell’investimento fatto dal produttore dipende dal suo grado di autonomia, che gli permette di aumentare il suo potere negoziale. Al contrario un basso livello di autonomia, spinge gli individui a uniformarsi alle caratteristiche richieste dalla loro posizione nella struttura sociale. Di conseguenza, indipendentemente dagli aspetti di natura motivazionale, la presenza di molti spazi di discontinuità costituisce un incentivo all’attuazione e realizzazione di attività imprenditoriali; al contrario, un contesto con basse opportunità tende a scoraggiare anche i soggetti con una maggiore predisposizione all’iniziativa.