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Le determinati sociali dell’imprenditore

4. L’OFFERTA DI IMPRENDITORIALITÀ: I PARADIGMI DI RIFERIMENTO

4.5. Le determinati sociali dell’imprenditore

Lo studio delle determinati sociali per l’avvio dell’attività imprenditoriale trae la sua origine dal pensiero di Sombart, a cui precedentemente si è accennato. Le analisi in tal senso si sono concentrate da un lato sullo studio delle biografie dei grandi imprenditori americani a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, dall’altra nel cercare di comprendere se l’origine sociale potesse costituire un fattore di stimolo per la creazione e lo sviluppo dell’imprenditorialità. In particolare, lo studio della mobilità sociale in relazione al reclutamento degli imprenditori permette di accertare il grado di accessibilità delle classi inferiori della popolazione alle fasce più ricche, mettendo in evidenza come l’esercizio dell’attività imprenditoriale abbia rappresentato uno dei più importanti “schemi di

mobilità” della società capitalistica. L’esistenza di questa possibilità ha rappresentato, fino a tutto il ventesimo secolo, uno degli elementi essenziali dell’ideologia del capitalismo (Pagani 1964, 149), in particolare nel contesto statunitense, dove si sviluppa il mito del “sogno americano”.

Tuttavia, l’analisi di Mills porta a escludere l’origine popolare degli imprenditori. Anche Miller e Gregory verso la metà degli anni cinquanta del novecento (in Pagani, 1964), attraverso due ricerche che analizzavano le biografie di centinaia di dirigenti delle maggiori aziende industriali americane tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, evidenziano come il modello del giovane, povero, immigrato che progredisce socialmente incrementando le sue ricchezze attraverso la propria capacità personale non trova più rispondenza51. Tanto che Mills afferma che “la migliore possibilità statistica di far parte dell’élite imprenditoriale è quella di esservi nato”52. Di contro Pagani (1964) rileva come il limite principale di tale filone di studi sia legato alla tipologia di soggetti studiati, che è riconducibile esclusivamente ai grandi imprenditori, non prendendo in considerazione altre forme di imprenditorialità legata alle professioni o ad attività di scala minore. Ciò che è possibile affermare rispetto a questo aspetto è che molto dipende dal contesto socio-economico di riferimento e dal grado di maturazione del mercato: è probabile, infatti, che un mercato in espansione offra maggiori possibilità di intrapresa rispetto ad un contesto più maturo e stabile. Infatti, ad esempio, nel caso italiano del secondo dopoguerra, in cui il sistema industriale aveva ampi spazi di azione in quanto molto era ancora da costruire, sono nati alcuni dei grandi imprenditori, che hanno contribuito allo sviluppo del paese. Analogamente, negli Stati Uniti, tra la metà degli anni settanta e gli anni ottanta hanno iniziato a svilupparsi le grandi società produttrici di sistemi informatici, in quanto quello specifico mercato era in espansione e presentava molte opportunità.

Rispetto all’analisi delle origini sociali dell’imprenditore, un ulteriore approccio è quello proposto da Knight (1921) e Oxenfeldt (1943), che hanno analizzato l’imprenditorialità considerando ogni componente della forza lavoro come un potenziale imprenditore. Tale approccio, che viene definito del self employment, parte dal presupposto che gli individui decidono di impegnarsi nelle attività imprenditoriali a causa di diverse combinazioni di motivazioni. In generale, la letteratura suddivide le possibili motivazioni in push e pull (Shapero e Sokol 1982): i primi individuano fattori situazionali di tipo ambientale che spingono i soggetti ad agire in un determinato modo (ad esempio il rischio di disoccupazione, le pressioni da parte della famiglia, l’insoddisfazione per l’attuale lavoro), mentre nel secondo

51 In particolare, tale tipo ideale era impersonificato dallo scozzese Andrew Carnegie, che immigrato poverissimo nel 1948 in America, era riuscito a costruire un impero siderurgico con le sole sue forze e intuito per gli affari (Pagani 1964).

52Storicamente tali considerazioni fanno riferimento alla situazione americana tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX.

caso a muovere i futuri imprenditori sarebbero la ricerca di più elevati livelli di reddito, di maggiore autonomia, realizzazione e approvazione sociale.

Per Knight le opportunità di ciascun individuo nel campo lavorativo possono essere riassunte in tre situazioni: la disoccupazione, la sicurezza di un impiego come lavoratore dipendente e l’imprenditoria, che comprende anche il self employment, in quanto entrambi caratterizzati da un reddito atteso incerto. In questo quadro, l’imprenditorialità appare come una “scelta reddituale” ovvero una strategia che viene perseguita nel caso in cui la differenza tra il reddito da lavoro dipendente e quello indipendente sia considerata soddisfacente a fronte di un rischio proporzionato. Tale filone di studi ha portato a interpretare più recentemente l’imprenditorialità come fuga dalla disoccupazione, per cui lo sviluppo dell’imprenditorialità potrebbe essere letto come una reazione a un mercato del lavoro precario e incerto (Reyneri 1997). Da questo punto di vista la spinta all’imprenditorialità deriva non tanto dall’assunzione di un rischio, ma dalla scarsa percezione della sicurezza lavorativa, che caratterizza il mondo del lavoro (Arum e Muller 2004). In questo caso, anche gli aspetti legati all’innovatività assumono un ruolo di secondo piano: l’imprenditorialità quindi viene letta come una scelta obbligata dovuta all’impossibilità di trovare una tipologia di lavoro dipendente. A tal proposito Audretsch, Carree, e Thurik (2001) parlano esplicitamente di unemployment push. Gli studi al riguardo sono numerosi e hanno cercato di evidenziare come i diversi fattori interagiscano tra di loro, contribuendo a definire l’attività imprenditoriale come una necessità piuttosto che come un’occasione di miglioramento. Infatti, gli individui si muovono all’interno di un ambiente sociale e istituzionale, che definisce le opportunità, ma anche i vincoli, che facilitano o frenano il diventare imprenditori: in questo senso fattori socio-demografici, quali l’età, la precedente esperienza lavorativa, le reti sociali formali e informali di sostegno, la nazionalità di appartenenza possono facilitare l’una o l’altra percezione, nonché costituire un’occasione o dei limiti rispetto all’apertura di un’impresa. Analogamente la rilevazione GEM (Global Entrepreneurship Monitor) suddivide gli imprenditori in imprenditori per necessità e imprenditori per opportunità, suggerendo che tra i primi rientrano coloro che sono disoccupati o si trovano in una situazione di precarietà lavorativa tale da non avere altra scelta che il lavoro autonomo (Muffatto, Giacon e Saeed 2012).

Altri studi si sono concentrati su alcune variabili specifiche che determinano la propensione all’attività imprenditoriale. Ad esempio McClelland (1961) ritiene che l’ambiente familiare, quale sede di socializzazione primaria, sia il contesto in cui si sviluppano le inclinazioni e si costituisce la personalità e l’identità dell’individuo, anche per quanto riguarda le propensioni lavorative. In particolare, ad esempio, la presenza in famiglia di imprenditori sembra essere una buona determinante per lo sviluppo della propria carriera nella medesima direzione. Tra i numerosi fattori analizzati (genere, status coniugale, età, livello di istruzione), un aspetto

particolarmente interessante e su cui la letteratura sembra convergere è quello relativo alle esperienze lavorative. Questo sembra essere un elemento di predittivo particolarmente positivo rispetto al successo dell’impresa, specie nel caso in cui quest’ultima si occupi di attività simili a quelle svolte nel lavoro precedente, in quanto possono essere messe in gioco competenze e conoscenze specifiche rispetto al mercato di riferimento. Brugnoli (1990) afferma che le precedenti esperienze lavorative influenzano sia la tipologia di impresa avviata sia il suo modo di gestione. A conferma di ciò, ad esempio, Bonomi (2013) evidenzia come, secondo l’indagine Unioncamere sui nuovi imprenditori 2012 in Italia, il 43% di essi provenga da un precedente lavoro come dipendente.

Un ulteriore accenno va fatto rispetto al tema dell’imprenditoria immigrata, su cui la letteratura internazionale e nazionale ha elaborato numerosi studi e approfondimenti (Chiesi e Zucchetti 2003; Ambrosini 2005, 2007; Barberis 2008; Storti 2009). Quello dell’imprenditoria straniera è un fenomeno complesso che trae origine da molteplici motivazioni, che in parte si avvicinano alla teoria di Oxenfeldt. Da un alto, infatti, molti autori evidenziano come la mancanza di un ricambio generazionale per molte attività artigianali o di servizi provochi un progressivo abbandono da parte degli autoctoni e viceversa, grazie a basse barriere d’ingresso, un incremento della loro presa in carico da parte degli stranieri53 (approccio demand-side). Dall’altra anche gli aspetti legati alla mobilità sociale assumono un ruolo rilevante: per gli immigrati spesso la strada dell’imprenditoria è l’unica per seguire un miglioramento socio-economico, ma anche per vedere riconosciuti il proprio bagaglio formativo e le carriere professionali pregresse. A tal proposito Ambrosini (2005) parla di teoria dello svantaggio, in quanto la scelta imprenditoriale dello straniero costituirebbe una scelta adattiva alle scarse opportunità incontrate nella società di accoglienza. In altri casi, l’imprenditoria immigrata viene spiegata con la predisposizione valoriale, spesso stereotipata, di alcune etnie piuttosto che di altre. Tali approcci, che propongono una visone dell’attore sociale eccessivamente atomistica (Storti 2009), vengono integrati dalla Nuova Sociologia Economica, che introduce il concetto di embeddedness, ovvero l’idea dell’attore economico come immerso in strutture relazionali e pertanto da esse condizionato. Questa tipologia di studi ha analizzato le caratteristiche dei reticoli sociali e delle risorse attivabili dal capitale sociale degli immigrati, mettendone in luce l’influenza nel reperimento di risorse economiche, informative e umane.