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L'argomento contro il linguaggio privato

WITTGENSTEIN O DELLA FILOSOFIA

2. Contro il mentalismo semantico

2.2. L'argomento contro il linguaggio privato

Osserva però Wittgenstein che anche all’interno di un linguaggio essenzialmente privato, per denominare gli stati interiori più intimi, è comunque necessario riferirsi al linguaggio comune (allgemeine Sprache), al linguaggio pubblico:

Che ragioni abbiamo di dire che "S" è il segno di una sensazione? "Sensazione" è infatti una parola del linguaggio comune a noi tutti, non di un linguaggio che

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soltanto io posso comprendere. L’uso di questa parola richiede dunque una giustificazione che sia compresa da tutti.23

Questa è l’obiezione più naturale ed immediata che Wittgenstein potesse fare all’idea di linguaggio (essenzialmente) privato; del resto, l’espressione “linguaggio provato” potrebbe tranquillamente essere liquidata alla luce del paragrafo 261 come un ossimoro; al linguaggio è infatti connaturata la dimensione pubblica, esso è ciò che ci tiene uniti nella comunicazione, che senso ha dunque parlare di un linguaggio che ci tiene isolati gli uni gli altri?24

L’altro aspetto che interessa Wittgenstein in questo in contesto è la messa in discussione della grammatica cosale,25 ossia dell’idea che i significati siano cose. Per togliere ogni fascino a questa tendenza cosalista, Wittgenstein si affida nuovamente a un esempio, l’esempio famoso del coleottero:

Se dico di me stesso che soltanto dalla mia personale esperienza io so che cosa significa la parola "dolore",-non debbo dire la stessa cosa anche agli altri? […] Supponiamo che ciascuno abbia una scatola in cui c’è qualcosa che noi chiamiamo "coleottero". Nessuno può guardare nella scatola dell’altro; e ognuno dice di sapere che cos’è un coleottero soltanto guardando il suo coleottero.-Ma potrebbe ben darsi che ciascuno abbia nelle sua scatola una cosa diversa. Si potrebbe addirittura immaginare che questa cosa mutasse continuamente.-Ma supponiamo che la parola coleottero avesse tuttavia un uso per queste persone!-Allora non sarebbe quello della designazione di una cosa. La cosa contenuta nella scatola non fa parte in nessun caso del gioco linguistico; nemmeno come un qualcosa: infatti la scatola potrebbe anche essere vuota.-No, con questa cosa nella scatola si può "tagliar corto";26 di qualunque

23 Ibid., § 261, p. 123.

24 Si veda Wittgenstein, Ricerche filosofiche al § 256: "Che dire del linguaggio che descrive le mie

esperienze vissute interiori, e che soltanto io sono in grado di comprendere? In che modo designo le mie sensazioni con le parole? […] E ora associo semplicemente nomi e sensazioni, e impiego questi nomi in una descrizione (Beschreibung )."

25 “Wittgenstein intende dare una potente spallata all’ingiustificato monopolio della grammatica cosale e

alla fallacia descrittivistica che ne consegue”, in La comunicazione umana come relazione fatica e interpretativa. Paltrinieri e Ruggenini 2003, p. 125.

26 In questo caso si è preferito adottare la traduzione proposta da Paltrinieri, di : “kann ´gekürzt werden`”,

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cosa si tratti, si annulla. Questo vuol dire: Se si costruisce la grammatica dell’espressione di una sensazione secondo il modello oggetto designazione, allora l’oggetto viene escluso dalla considerazione, come qualcosa di irrilevante.27

La lezione che Wittgenstein vuole suggerire è evidente: chi sostiene la totale privatezza delle emozioni (o stati interni) segue una grammatica del tipo: oggetto-designazione, la quale si basa sull’assunto, già più volte ricordato, che il significato (nel nostro caso il significato della parola “dolore”) sia la “cosa” per cui quella parola sta (nel nostro caso: la sensazione di dolore). A partire da qui, Wittgenstein con una mossa brillante ci fa vedere come è proprio quella la grammatica, invece di salvaguardare l’autenticità degli stati interni, li mette completamente fuori gioco; è infatti l’adozione di una grammatica cosale, necessaria condizione di un linguaggio privato, a togliere alla sensazione il ruolo di protagonista del gioco linguistico delle sensazioni. Lungi dal voler negare l’esistenza delle sensazioni, Wittgenstein vuole invece recuperarle, ma conferendo loro il giusto ruolo all’interno del linguaggio comune, ossia liberandole dall’oscurità in cui le avevano relegate i sostenitori del linguaggio privato.

Si noti che l'esempio del coleottero è generalizzabile ai diversi modi in cui le teorie mentaliste identificano il significato con stati interni. Al coleottero si potrebbero sostituire non solo sensazioni e sentimenti, ma anche qualsiasi tipo di significato che a parere dei mentalisti sia un significato mentale e cioè i significati cognitivi, visibili solo agli “occhi della mente”. L’osservazione è qui interessante perché l’assunto semantico mentalista caratterizza profondamente la Teoria della Pertinenza e la Teoria della mente modulare su cui essa basa. Dal punto di vista di queste teorie, la comunicazione e, in particolare, i meccanismi di comprensione sono infatti spiegati dai processi mentali, caratterizzati dalla fondamentale capacità computazionale della mente volta a selezionare gli stimoli.

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2.2.1 Le sensazioni esistono

Wittgenstein, ribadiamolo, non vuole sostenere che le sensazioni non esistono, se non altro perché una tale negazione andrebbe a cozzare contro la sua indicazione secondo cui le sue ricerche sono ricerche grammaticali28 che non si propongono di stabilire che

cosa c’è e che cosa non c’è, bensì di gettar luce sugli usi linguistici e sui fraintendimenti che ne possono derivare. Per esempio, considerando la grammatica della parola “dolore”, Wittgenstein fa notare i diversi posti nel nostro linguaggio e la diversità di reazioni che avremmo di fronte a questo o a quell’uso:

E se mi sbagliassi, e non fosse più dolore!? ____ Ma qui non posso certo sbagliarmi; non vuol dire nulla: dubitare se sento dolore!-Cioè se uno dicesse: "non so se quello che ho è un dolore o qualcos’altro?" forse penseremmo che non sappia che cosa significhi, in italiano, la parola "dolore" e gliela spiegheremmo.

Qui il senso è chiaro: che non si possa dubitare di avere dolore non è una impossibilità empirica, bensì grammaticale; fa parte dei tratti costitutivi del concetto di dolore che chi prova un dolore non possa dubitare di provarlo. Per questo non ha senso affermare, invece di “provo dolore”, «so di provare dolore!». In realtà, Wittgenstein prende in considerazione un caso in cui sapere di provare dolore può avere senso; poniamo infatti che qualcuno stia soffrendo e che un altro lo accusasse di mentire, in questo determinato caso, la proposizione. «Io so che sto provando dolore!» ha del tutto sensata.

28 Wittgenstein non si sarebbe mai esposto ad affermazioni del tipo: “Le sensazioni non esistono”, perché

come sappiamo già dal Tractatus, questa sarebbe soltanto un’altra proposizione empirica al pari di: “Esistono soltanto sensazioni interiori”. Entrambe le proposizioni, infatti, in quanto empiriche non aggiungerebbero nulla alla nostra conoscenza del funzionamento del linguaggio.

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