AUSTIN E L'AZIONALITA' DEL LINGUAGGIO
2. Le radici filosofiche.
Austin è stato uno dei primi nella storia della filosofia del linguaggio, ma anche in quella linguistica, a cercare di dare una lettura il più possibile sistematica della dimensione azionale del linguaggio. Come si è già ricordato, anche Wittgenstein a partire dagli anni '30 iniziò a modificare l’idea di linguaggio proposta nel Tractatus basata sul primato della proposizione vero-falsa, in favore del riconoscimento della natura eterogenea del linguaggio, passando da una visione statica del linguaggio a una visione dinamica, da una unitaria a una che insiste sulla molteplicità, da una nella sostanza fonologica a una che ne sottolinea il carattere di attività socialmente condivisa.
2.1 L'effetto Wittgenstein
Il pensiero di Wittgenstein, soprattutto attraverso il suo insegnamento a Cambridge, condizionò profondamente la filosofia inglese. Tuttavia, non ci è dato sapere con
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precisione, in che misura il pensiero di Wittgenstein influenzò l’opera di Austin, anche se è noto che il manoscritto denominato Blue Book (1933-34) iniziò a circolare privatamente ad Oxford non prima del 1937.9 Certo è che i due filosofi, oltre a condividere l’oggetto dell’indagine filosofica, il linguaggio comune, sono accomunati dal disaccordo nei confronti di alcuni assunti teorici del neopositivismo logico, quale per esempio l’idea che la risoluzione o dissoluzione dei problemi filosofici richieda sempre il ricorso o la costruzione di un linguaggio logico/formale.10 Inoltre Austin e Wittgenstein condividono la messa in discussione della visione del linguaggio tradizionalmente accettata che spesso si è sviluppata sulla base di dicotomie concettuali come quella vero/falso che rappresentano delle semplificazioni di fronte alla multiformità e alla ricchezza che i due filosofi riscontrano nelle occorrenze concrete degli eventi linguistici.
Sbisà fa notare altre analogie fra i modi dei due filosofi di svolgere la propria opera filosofica:
a) “la distinzione fra atto locutorio e atto illocutorio è almeno in parte analoga alla distinzione tra dire/mostrare”;
infatti la forza illocutoria è manifestata dal linguaggio e gli enunciati performativi sono un esempio di esibizione esplicita di questa forza.
b) “Austin condivide con Wittgenstein un antimentalismo metodologico e non riduzionista”
Questa osservazione risulterà molto importante per la nostra indagine. Sembra infatti che i due filosofi condividano l’idea che i vissuti psicologici del soggetto non debbano essere l'elemento su cui costruire l'analisi filosofica del significato, e che, in qualche misura, ritengano che la soggettività sia qualcosa come un costrutto.
9 Wittgenstein 1933-35, 1983.
10 Si ricordi l’aspra critica che Austin ha mosso al pensiero di Ayer, in particolare all’idea del Tractatus e
fatta propria dal positivismo, secondo la quale qualora un enunciato non presentasse delle condizioni di verità determinate, non potrebbe dirsi sensato; solo gli enunciati dei quali si può giudicare la verità o falsità hanno un senso. Tale tesi sarà ampiamente contestata da Austin il quale dimostrerà che le condizioni di verità non sono degli a-priori indiscutibili, e che si può giudicare un enunciato che non presenta condizioni di verità determinate secondo criteri diversi da quelli della corrispondenza o meno ai fatti.
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c) “il performativo e poi l’atto locutorio sono presenti come questioni sociali, intersoggettive, che […] hanno bisogno della bilateralità di una comprensione, […], di una controparte sociale.” 11
Il carattere intersoggettivo e sociale del linguaggio sta, in modi diversi, al centro della riflessione dei due filosofi. Questo aspetto, secondo la lettura che si intende proporre, è strettamente connesso al punto precedente b), e sfocia in una “filosofia della corresponsabilità” che vede egualmente coinvolti parlante ed interprete, a loro volta immersi nello sfondo di una comunità linguistica. È la realtà sociale connaturata al linguaggio che, in ultima analisi, si dimostra essere l’elemento di legittimazione nella filosofia del linguaggio ordinario proposta dai due autori.
D’altro canto, è importante ricordare che la filosofia di Austin, si configura in modo originale rispetto a quella di Wittgenstein, e da essa si contraddistingue per diversi e significativi aspetti. Innanzitutto per lo stile utilizzato: all’inclinazione spesso drammatica di Wittgenstein, Austin contrappone un tocco di umorismo; in secondo luogo, come già detto, Austin vede nell’analisi del linguaggio comune il prerequisito dell’indagine scientifica, e non esclude che essa possa svilupparsi nella direzione, per esempio, di una linguistica scientifica, diversamente da Wittgenstein per il quale la distinzione tra attività filosofica e indagine scientifica sembra essere netta e di principio
.
12 A questa seconda differenza con il pensiero di Wittgenstein si collegano altre due peculiarità del pensiero di Austin: egli sembra avere fiducia nel progresso della ricerca scientifica di cui l’analisi filosofica deve essere la precondizione e ritiene sia possibile costruire una teoria sul linguaggio. Al pari di una teoria scientifica e in modo costantemente attento alle diverse manifestazioni del fenomeno linguistico, Austin tenta di elaborare una teoria dell'azione, costituita da una serie di ipotesi generali e11 Sbisà 1989, pp. 21-22.
12 Alcune delle osservazioni più interessanti a questo riguardo, sono raccolte nelle Note sul 'Ramo d'oro'
di Frazer, in particolare a pp. 23-25 (Wittgenstein 1931, 1936-48, 1975). Qui Wittgenstein stigmatizza la
fiducia nel progresso e l'idea che la storia dell'uomo, il suo agire nel mondo, possa venire valutato esclusivamente come volta ad uno scopo pratico, nello specifico secondo Frezer lo scopo è quello del controllo dell'ambiente circostante. Per Wittgenstein la fiducia nel progresso storico-scientifico dell'uomo è "un'ottusa superstizione della nostra epoca" (a tal proposito non sembra che ai giorni nostri essa sia venuta meno) che interpreta la meraviglia come l'incapacità di spiegare i fenomeni naturali. In realtà il filosofo mostra che: "Vi è uno stupore il quale segna per così dire, il risvegliarsi dell'uomo dal mondo, e non ha nulla anche fare con l'assenza di spiegazioni" (Perissinotto 1997).
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dall’introduzione di nuovi termini come enunciato performativo e di una classificazione attraverso la quale spiegare il comportamento linguistico. Entrambi questi elementi distanziano nettamente Austin dall’autore delle Ricerche il quale Entrambi questi elementi distanziano nettamente Austin dall’autore delle Ricerche il quale sostiene che in filosofia non si danno tesi e nega che abbia senso tentare di costruire qualcosa come una teoria filosofica del linguaggio.13
2.2 Le auctoritates: Aristotele e Frege
Tradizionalmente a partire da Aristotele, la filosofia si è concentrata sullo studio del carattere descrittivo del linguaggio, connotando l’attività linguistica come prettamente se non unicamente referenziale. Di questa visione tradizionale del linguaggio è erede Frege, il quale sulla distinzione tra senso e denotazione ha costruito le basi della semantica vero-condizionale.14 Un aspetto interessante consiste nel fatto che sia stato Austin a elaborare una visione del linguaggio in contrasto con la tradizione, elaborando una concezione che nasce da un’approfondita conoscenza del pensiero antico che si ispira al metodo aristotelico,15 e che al tempo stesso rappresenta una sorta di
13 In filosofia non si fanno scoperte, come accade nella scienza: "nella filosofia non si può scoprire
nulla[…] non abbiamo bisogno di aspettare il futuro" scrive Wittgenstein (Wittgenstein 1929-32, 1975, pp. 171-172), in filosofia si tratta piuttosto di "vedere ciò che sta davanti ai nostri occhi!" (Wittgenstein 1914-51, 1980, p. 78). E' per questo che per Wittgenstein bisogna astenersi dalla tentazione di spiegare e tentare di sistematizzare il linguaggio, ed è proprio questa la reale difficoltà della filosofia: essere in grado di "accettare il fenomeno […] senza spiegarlo" ( Wittgenstein 1946-49, 1947-48, 1990, capitolo I, § 509). Quello che si deve fare è riconoscere e distinguere le proposizioni logiche da quelle empiriche, le proposizioni grammaticali , non sono coinvolte nel gioco del vero e del falso ed hanno la funzione di delimitare lo spazio del linguaggio e cioè di indicare il limite tra senso e non senso. La distanza tra filosofia e scienza culmina in Wittgenstein nell'idea che quello che le difficoltà da superare in filosofia sono sempre legate alla volontà: "un difficoltà della volontà e non dell'intelletto" (Wittgenstein 1914-51, 1980, pp. 42-43), il lavoro filosofico non è-come quello delle scienze-un lavoro volto a spiegare come stanno le cose, ma è "propriamente […] un lavoro su se stessi. Sul proprio modo di vedere. su come si vedono le cose (E su che cosa si pretende da esse)." (Ibid. pp. 40-41).
14 Frege 1892, Frege 1879, 1965, Frege 1893, 1903, 1965.
15 È' bene ricordare che Austin, che compì i suoi studi a Oxford, università per tradizione aristotelica, fin
da giovanissimo dimostrò una spiccata attitudine per la lingua greca che lo condusse a vincere una borsa per le materie classiche ed il premio Grisford per la prosa greca. In particolare il filosofo si dedicò allo studio di Aristotele e alla traduzione delle sue opere dimostrando un interesse tanto filosofico quanto filologico.
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approfondimento delle idee di Frege, per esempio per quanto riguarda la nozione di forza (assertoria in Frege e illocutoria in Austin).16
Di matrice aristotelica è il nucleo stesso del pensiero di Austin, ossia la convinzione che l’indagine sui problemi filosofici debba poggiare su un’analisi preliminare del linguaggio. Sostengono Penco e Sbisà che il metodo analitico stesso prenda ispirazione dai testi aristotelici, "l’analisi linguistica può essere considerata un recupero dell’idea aristotelica di una scienza che deve precedere tutte le scienze, un tipo di lavoro da apprendere prima di studiare qualsiasi scienza", tale lavoro propedeutico all’indagine scientifica è per Aristotele l’Analitica e per Austin il metodo analitico. 17
Inoltre Austin ritiene di condividere con Aristotele il fatto di porre come fondamentale nell’analisi dei significati delle espressioni, non tanto la definizione delle parole, quanto l’attenta valutazione dei diversi usi di queste espressioni all’interno dei diversi contesti.18
Secondo l’interpretazione tradizionale, almeno come la vede Austin, il linguaggio aveva la sola funzione di descrivere fatti ed era identificato con un’attività esclusivamente referenziale; il logos privilegiato era insomma il logos apofantico. Attraverso la sua opera Austin riesce a spostare il centro dell’indagine linguistica dal problema della verità e falsità degli enunciati (o del pensiero che essi esprimono), al potere del linguaggio di fare cose, di produrre la realtà, di cambiare i fatti del mondo.