WITTGENSTEIN O DELLA FILOSOFIA
5. La natura pubblica del linguaggio
5.2 Seguire una regola
5.2.1 Soluzioni tradizionali al problema di seguire una regola
Le soluzioni che tradizionalmente sono state proposte per spiegare il processo che sottosta alla capacità umana di seguire una regola possono essere distinte in due tipologie: la risoluzione logico-formale, e la posizione del "mentalista normativo".
1) la risoluzione per così dire logico-formale del problema del seguire una regola, che vede nella formulazione della regola in termini generali la risposta al problema di
matematici e queste connessioni, proprio in quanto eternamente sussistenti, preesistono all’attività stessa del matematico, cosicché al matematico non resta che scoprirle.
77 Sulla questione del seguire una regola sottolinea che qui: “il problema riguarda le cose stesse e non la
nostra conoscenza di esse. A tutta prima infatti il problema sembrerebbe essere epistemologico […] Ma il problema è in realtà ontologico. Supponiamo pure che uno sia in grado di ottenere la miglior conoscenza possibile di ciò che determinerebbe la correttezza dell’applicazione di una regola in una nuova circostanza […] Tuttavia, che cos’è ciò che egli dovrebbe conoscere? Che cos’è ciò che compie una siffatta determinazione?” (Voltolini 1998, pp. 76-77).
78 Inoltre bisogna ricordare che una regola, prima di divenire una consuetudine, è necessariamente passata
per le sue applicazioni nuove, e che ognuno di noi applica delle regole che una volta furono nuove applicazioni, allora Wittgenstein ci chiede: “«In che nodo posso seguire una regola?»-se questa non è una domanda riguardante le cause, è un richiesta di giustificare il fatto che, seguendo una regola, agisco così.” (Wittgenstein 1953, 1999, § 217).
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quale sia la determinazione del modo corretto di applicare una regola in una circostanza nuova; in questo caso le conseguenze di una regola “esistono già [in essa], in un senso ideale di ´esistere`, prima di essere tratte”,80 quindi le conseguenze sono già dentro la regola stessa, al modo di “una collana di perle in una scatoletta […] dobbiamo soltanto tirarla fuori”. L’inserimento nella formula di variabili individuali dovrebbe riuscire a esibire ciò che tutte le applicazioni particolari ottenute hanno in comune, così da implicare implicitamente come la regola vada applicata in ogni caso particolare, anche per quelli futuri; in questo modo si escluderebbe a priori che il comportamento dell’allievo dell’esempio comportasse un’applicazione corretta. Secondo questa posizione la regola diverrebbe una sorta di entità ideale da cui ricavare ogni volta l’applicazione corretta, come se la regola tracciasse “la linea della propria osservanza attraverso l’intero spazio”81 per cui seguirla o applicarla equivarrebbe a continuare senza soluzione di continuità lungo “un binario che si prolunga invisibilmente, all’infinito”.82Tutte quelle posizioni che trovassero la loro ragion d’essere in questi presupposti “platonistico-idealistici”, sarebbero annoverate da Wittgenstein tra le “superstizioni filosofiche”. Esse infatti non risolvono affatto il problema ma si illudono di farlo. La domanda iniziale, viene qui soltanto riproposta com’era e cioè, che cosa ci garantisce che il passo a cui siamo giunti fisicamente sia esattamente il punto a cui la regola è da sempre idealmente giunta? Qui infatti, il problema non viene risolto, “l’assunzione di una prefigurazione del passaggio non ci porta avanti, poiché non colma lo iato tra la prefigurazione e il passaggio reale”.83 Anzi, la questione si ripropone: che cosa vuol dire che esiste in un qualche luogo ideale una regola che già contiene tutte le sue possibili applicazioni? L’altra risposta che la filosofia tradizionale ha saputo dare alla questione del seguire una regola, nasce proprio dalle difficoltà incontrate nel tentativo di elaborare la soluzione 1). Queste difficoltà sono rappresentate dalla
80 Wittgenstein 1932-34, 1990, p. 21. 81 Wittgenstein 1953, 1999, § 219.
82 Sono varie le immagini metaforiche che Wittgenstein utilizza nelle Ricerche (Ibid., § 218) ed in altre
opere per descrivere questa posizione “idealista” sull’applicazione corretta delle regole. Nelle Ricerche, per esempio scrive ancora che quando intendiamo la regola, la nostra mente “vola, per così dire, in avanti e compie tutti i passaggi prima che si pervenga fisicamente a questo o a quel punto”, (§ 188) oppure scrive che in questi casi è come se dicessimo che una “macchina sembra già avere in sé il suo modo di funzionare”, a esprimere il concetto per cui indipendentemente da come i meccanismi si muoveranno nella realtà concreta e fuori da ogni contingenza, quella macchina contiene tali movimenti in sé. (§ 193) E in Wittgenstein, Libro blu, si legge che è come se la nostra mente “potesse varcare un ponte prima che si
sia giunti ad esso” (Wittgenstein 1933-35, 1983, p. 183)
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necessità di riconoscere che la regola non anticipa né predetermina in alcun “modo singolarissimo”84 le sue applicazioni, di conseguenza sembra che occorra ammettere che tra la regola e ciascuna delle sue applicazioni intervenga qualcosa o qualcuno. Si tratta della posizione
2) sostenuta, per così dire, dal “mentalista normativo”. Essa “fornisce infatti alla concezione platonica un sostegno epistemologico che interviene a fugare il dubbio ontologico appena sollevato: l’esistenza di una rete già tracciata di connessioni tra la regola e le sue applicazioni sarà garantita dal fatto che chi segue la regola afferra questa rete in un unico atto mentale”.85
In questo modo la formulazione in termini generali di una regola potrà determinare le sue applicazioni in quanto esiste un atto mentale che sa intuire tutte le applicazioni ovviamente in anticipo rispetto alla loro esecuzione concreta. Sappiamo che per un certo periodo (1929-1930) lo stesso Wittgenstein venne attratto dall’idea secondo cui tra le regole e le loro singole applicazioni ci dovesse essere qualcosa, e che questo qualcosa fosse un “atto di intuizione”, infatti scrisse che: “supponendo di avere una certa regola generale […] è indispensabile riconoscere sempre di nuovo che tale regola può essere applicata a questo caso. Nessun atto di previsione mi può risparmiare questo atto […]. Poiché di fatto la forma cui la regola viene applicata è, ad ogni passo, un’altra”.86 Subito dopo però si rese conto che quella scelta non sarebbe stata una risposta per la questione del seguire correttamente una regola. Ne sono prova queste parole contenute nel Libro Marrone: “Non è un atto di intuito, di intuizione a farci usare la regola così come noi le usiamo a quel punto particolare della successione. Sarebbe meno improprio parlare di atto di decisione, quantunque anche questo nome sia fuorviante: infatti, non è necessario che abbia luogo un atto di decisione, una deliberazione; al contrario, è possibile che venga semplicemente detto, o scritto, qualcosa”.87 A questo punto infatti, per il filosofo iniziavano a profilarsi all’orizzonte le conseguenze paradossali a cui conduce la supposizione che tra la regola e la sua applicazione vi sia qualcosa, vi sia un atto di interpretazione. Ciò infatti implica inevitabilmente che se la regola va sempre
84 Ibid., § 188.
85 Voltolini 1998, p. 78.
86 Wittgenstein 1929-1930, 1976, § 149.
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interpretata, allora è vero che “qualunque cosa io faccia, può sempre essere resa compatibile con la regola mediante qualche interpretazione”.88 In questo caso si giunge alla conclusione che la regola potrebbe venir interpretata in qualsiasi modo possibile e così svanirebbe qualsiasi possibilità di garantire che l’applicazione della regola sia corretta o meno, infatti “ogni interpretazione è sospesa nell’aria insieme con l’interpretato; quella non può servire da sostegno a questo”,89 essa conduce inevitabilmente ad un vacuo regresso all’infinito. Il punto è che se qualsiasi cosa io faccia può essere messa d’accordo con la regola mediante un interpretazione, allora può anche essere messa in disaccordo con essa, di conseguenza il filosofo afferma che “qui non esistono, pertanto, né concordanza né contraddizione”,90 ma allora non si è risolto proprio niente, anzi così facendo si può benissimo giungere a dire che non esiste, propriamente, regola, essa viene così automaticamente dissolta.91
Si vede chiaramente come entrambe le soluzioni che la tradizione filosofica aveva elaborato a sostegno del problema riguardante l’applicazione corretta della regola, non fanno altro che ricadere nel paradosso: la regola che non sappia determinare le sue applicazioni, non potrà certo essere in una situazione diversa se ad essa si aggiunge l’interpretazione, anzi, si aggiungerebbe la questione dell’interpretazione che può essere sempre ulteriormente interpretata.92 In questo modo si distrugge la regola proprio nel suo carattere normativo che era ciò che si voleva difendere.
88 Wittgenstein 1953, 1999, § 198. 89 Wittgenstein 1953, 1999. 90 Ibid., § 201.
91 Wittgenstein espone le contraddizioni cui va incontro la posizione del “mentalista normativo”,
attraverso un esempio particolarmente efficace in tal senso; esso racconta di qualcuno il quale, trovandosi per la prima volta nella foresta di Sherwood, smarritosi, si ritrovi improvvisamente di fronte ad un albero con inciso il disegno di una freccia: “→”, a questo punto che cosa fa sì che egli giri a desta piuttosto che a sinistra? Se si ritenesse corretta la tesi interpretazionisata allora il segno significherebbe questa regola: “Ogni volta che vedi un segno fatto così e così, vai a destra”, ma la freccia, se è passibile di interpretazione, potrebbe anche essere interpretata così: “ogni volta che vedi un segno fatto così e così, o vai a destra o vai a sinistra se ti trovi a Sherwood”. Ogni comportamento potrebbe essere corretto rispetto alla regola, in relazione all’interpretazione del segnale. (Ibid., § 198).
92 In Zettel il filosofo puntualizza che: “anche un’interpretazione è certo qualcosa che vien data in
segni”(§ 229), cioè è un segno ulteriore che verrebbe ad aggiungersi ai segni delle regole; inoltre risponde anche all’obiezione di chi dicesse che l’interpretazione di cui qui si sta parlando “non è un segno o un immagine ulteriori, ma qualcos’altro: qualcosa che non si può interpretare ulteriormente”(§ 231 ), dicendo che: parlare di un’interpretazione “definitiva” è mitologico tanto quanto chiamare in causa una regola che dovrebbe contenere in sé “in modo singolarissimo” le sue applicazioni, (Wittgenstein 1930-48, 1986).
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