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Prima obiezione: a) contro il feticcio vero/falso

AUSTIN E L'AZIONALITA' DEL LINGUAGGIO

4. L’azionalità del linguaggio

4.1 Il linguaggio come azione Tra verità, contesto e stati mental

4.1.2 Obiezioni alla filosofia del linguaggio tradizionale

4.1.2.1 Prima obiezione: a) contro il feticcio vero/falso

La prima obiezione che Austin muove al modo in cui tradizionalmente viene analizzato il linguaggio è la seguente:

a) Austin contesta l’esclusività dei valori di verità nella valutazione degli enunciati. Si è infatti portati a ritenere che nel compimento di un atto commissivo (che impegna a fare qualcosa), quale è in questo caso la promessa, ciò che determina il significato dell’enunciato sia il fatto che lo stato interiore corrispondente sia vero o falso. Di conseguenza, sulla base della constatazione della verità o falsità dell’atto interiore, si può decidere se l’enunciato che lo veicola sia vero o falso.

Austin a questo proposito porta l’esempio dell’Hippolytus, nel quale il protagonista pronuncia le seguenti parole:

a. “La mia lingua ha giurato, ma il mio cuore [o la mente o un altro attore del retroscena] no.”73

72 Austin 1962, 1987, p. 12.

73 La citazione è dalla tragedia di Euripide l’Ippolito, v. 612. Tali parole sono pronunciate dal figlio di

Teseo, Ippolito, un giovane vergine solo dedito alla caccia, e disinteressato all’eros e all’idea di crearsi una famiglia, durante un dialogo con la nutrice che gli ricorda di aver giurato di non rivelare il segreto di

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Di fronte a questo enunciato siamo dunque portati a pensare che l’enunciato attraverso cui Ippolito aveva promesso alla nutrice di non rivelare il segreto di Fedra, fosse falso, in quanto esteriorizzazione di un sentimento o pensiero non corrispondente al vero. Nell'argomentazione Austin archivia l’enunciato a. come un atto interiore fittizio.74 L'esclusione dalla considerazione dell'enunciato a. tratto dalla tragedia potrebbe essere riconducibile a tre cause:

• In primo luogo a. potrebbe essere citato da Austin come esempio di atto anomalo, mal formato, in quanto esprime una stato interiore non convenzionale rispetto alla procedura convenzionalmente condivisa del giuramento.

• In secondo luogo perché esso risulterebbe essere l'espressione di una stato mentale sulla base della cui verità o falsità molti filosofi giudicano vero o falso l'enunciato che esprime. In questo modo si incappa nell'errore di pensare che gli atti linguistici siano asserzioni su atti o stati mentali. Si potrebbe dire con Mulligan che qui Austin sta ironizzando sui filosofi che postulano tante varietà di atti interiori fittizi, e che tale posizione critica si inserisca all'interno "di quella svolta linguistica in filosofia che, fra le altre cose, aveva convinto i filosofi che le descrizioni dei fenomeni psicologici fossero al più descrizioni del linguaggio usato per esprimere o riferire o ascrivere tali fenomeni e, nella peggiore delle ipotesi, proiezioni mitologiche di tale linguaggio".75

• In terzo luogo perché a. fa parte di una Tragedia, di un'opera poetica e, in quanto tale, è quello che Austin definirebbe un eziolamento del linguaggio e si riferisce a un contesto fittizio nel quale i pensieri, e le intenzioni che fanno parte della procedura cui l'atto linguistico fa riferimento sono altrettanto fittizi.76 Nel brano citato invece il filosofo vuole trattare di quegli enunciati che sembrano avere

Fedra, moglie di suo padre, la quale si strugge di passione per il figliastro a causa dell’intervento di Afrodite, (Austin 1962, 1987, p. 13).

74 " [e]scludiamo gli atti interiori fittizi come questo," (Austin 1962, 1987, p. 13). 75 Mulligan 1987, 2000, pp. 309-384.

76 L'eziolamento (etiolation) è un termine botanico con il quale si definisce il processo di ingiallimento

delle foglie di piante tenute al buio, e cioè di piante che non vivono in una condizione naturale. Con una metafora Austin paragona il linguaggio comune, quotidiano, con il suo stato naturale, mentre l'eziolamento corrisponde, in questo senso, ad un uso innaturale del linguaggio, come accade per esempio nella poesia, che si configura come derivata dal linguaggio ordinario.

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come caratteristica principale la loro possibile verità o falsità. Tali enunciati sono le asserzioni vere e proprie e non il verso di una tragedia o di una poesia. In questi casi è molto più difficile delineare il contesto oggettivo e sociale di riferimento, in quanto si tratterebbe di un contesto finto e, di conseguenza, non sarebbe possibile stabilire se le condizioni di felicità dell'atto sono rispettate e si vanificherebbe il criterio per la definizione della felicità o meno dell'atto.

Tuttavia, se si volessero applicare all’enunciato a., un giuramento che pare essere solo esteriore, le condizioni di felicità dei performativi individuati da Austin nelle Lezioni II e III, che tipo di infelicità si potrebbe imputargli?

Secondo l’autore le cause di infelicità del performativo, che poi saranno le stesse per l’atto linguistico illocutorio, sono divise in tre gruppi riassunti nel seguente schema:

Infelicità

Tipo A e di tipo B Di tipo Γ

Colpi a vuoto Abusi

Atto preteso, ma nullo Atto ostentato ma vacuo

A. invocazioni indebite B. Esecuzioni improprie Γ.1 insincerità (pensieri, sentimenti, intenzioni) Γ.2 effettivo comportamento conseguente A.1 (?) procedura non convenzionalmente accettata A.2 Applicazioni Indebite B.1 Difetti B.2 Lacune

Nel caso del giuramento pronunciato da Ippolito, un atto perlocutorio infelice, le cause della sua infelicità non sembrano ascrivibili: al tipo A.1: la procedura del giuramento risulta infatti una procedura convenzionale accettata; al tipo A.2: colui che giura sembra

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avere la facoltà di farlo, Ippolito sembra un uomo di parola, la persona è appropriata alla procedura; né al tipo B.1 e B.2: la procedura del giuramento sembra essere stata eseguita correttamente, e in modo completo per quel che concerne il suo riconoscimento entro certe regole; si può quindi parzialmente concludere che il giuramento di Ippolito non è un atto nullo, perché non viola esplicitamente alcuna convenzione di felicità. Si deve supporre che il tipo di infelicità di cui è affetto il giuramento di Ippolito sia di tipo Γ e cioè un abuso. Non si può però ascrivere l’infelicità dell’atto in questione a Γ.2; nella lezione IV Austin infatti scrive che essa è la condizione secondo la quale i partecipanti alla procedura devono effettivamente comportarsi nel modo richiesto dalla procedura cui l’atto fa riferimento.77 Nel caso di Ippolito non si può certo dire che non abbia mantenuto fede al giuramento. Egli infatti non rivelerà al padre il segreto rivelatogli dalla nutrice riguardo alla passione che Fedra (la moglie del padre) nutriva per lui, neanche quando ella prima di togliersi la vita, lo accusa di averla violentata, firmando così la condanna a morte di Ippolito.

La causa dell’infelicità di a. è riconducibile alle cause di tipo Γ.1, in questi casi la violazione della procedura non riguardano un aspetto pubblico della sua esecuzione, ma i sentimenti, i pensieri e le intenzioni di chi lo compie. L’atto di giuramento di Ippolito sembra dunque essere un atto commissivo infelice in quanto abuso, perché la procedura osservabile del giuramento non è accompagnata da un sentimento sincero, da un’intenzione autentica, vengono a mancare i “normali fatti concomitanti” della procedura. Tornando all’osservazione a) possiamo dire che ciò che conta nella valutazione di un atto linguistico in generale e nei casi della promessa e del giuramento che sono atti il cui compimento richiede una corrispondenza di atti interiori non visibili, non sono le categorie della verità o della falsità, ma piuttosto quelle della felicità o infelicità dell’atto che sarà appropriato o inappropriato a seconda del contesto.

Nella seconda parte del passo che si sta analizzando - “da qui il passo è breve per arrivare a credere o ad assumere, senza accorgersene, che per molti versi, l’enunciazione esteriore sia una descrizione vera o falsa, dell’avvenuta esecuzione interiore” - si riconosce l’intenzione di Austin di iniziare la sua battaglia contro i falsi idoli del Vero e del Falso, posta non a caso nella lezione di apertura. Il fatto che di fronte a una promessa che supponiamo insincera, diciamo che è una promessa falsa, non

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deve indurci a pensare che i valori di verità giochino un ruolo determinante nella valutazione dell’enunciato e quindi nell’individuazione del suo significato. Si tratta infatti di un inganno del linguaggio. La promessa fatta in malafede “è senza dubbio scorretta, ma non è una bugia o un’asserzione inesatta”.78 Secondo il filosofo dire di una promessa che è falsa sarebbe come dire “una falsa scommessa” o un “falso battesimo”, “e il fatto che parliamo di una falsa promessa non deve comprometterci più del fatto che parliamo di un passo falso; falso non è necessariamente usato per le sole asserzioni.”79

4.1.2.2 Seconda e terza obiezione: b) inseparabilità di intenzione e atto, c) la