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Il dogmatismo della filosofia (tradizionale)

WITTGENSTEIN O DELLA FILOSOFIA

1. Il secondo Wittgenstein

1.2 Il dogmatismo della filosofia (tradizionale)

L'opera della fase matura di Wittgenstein ha rappresentato, assieme al lavoro di Austin, una battaglia in favore del ridimensionamento della funzione descrittiva del linguaggio. All’interno della rinnovata prospettiva, infatti, la funzione descrittiva del linguaggio, (designare oggetti, raffigurare fatti, descrivere pensieri) era riconosciuta solo come una delle svariate e molteplici funzioni del linguaggio.9 Secondo la nuova prospettiva wittgensteiniana i significati delle espressioni linguistiche hanno la loro matrice nelle differenti modalità d’uso e nelle diverse circostanze in cui vengono impiegate. Per questa inedita immagine del linguaggio, il linguaggio è composto da un insieme di usi, pratche e tecniche differenti che non sono mai date una volta per tutte. Considerare la descrizione come l'unica funzione del linguaggio è, secondo Wittgenstein, espressione di quel "dogmatismo in cui si cade così facilmente facendo filosofia". Lo scopo delle osservazioni che caratterizzano il secondo periodo del filosofo è quello di liberare la filosofia da quelle immagini che la tengono prigioniera e che stanno all’origine di molti tradizionali dilemmi filosofici.10 Tra queste immagini e idee fuorvianti vi sono quelle che riconducono tutti i fenomeni linguistici a una matrice mentalistica. A sua volta questo mentalismo si ricollega a una immagine ipersemplificata del linguaggio e del significato che privilegia in maniera esclusiva lo schema “oggetto designazione” dimenticando quanti diversi e innumerevoli siano gli usi linguistici.11

9 Tale tematica, assieme a quella dell’interpretazione del linguaggio delle sensazioni e dei cosiddetti stati

interni in funzione di comportamenti esterni e osservabili, sono trattate elle pagine di Notes for the

Philosophical Lecture, che sostanzialmente contengono in embrione quelli che saranno poi gli argomenti

sviscerati nelle Ricerche Filosofiche. Si tratta di un manoscritto redatto in inglese, che Wittgenstein aveva appuntato come supporto ad una lezione che avrebbe dovuto tenere presso la British Academy, ma che non ebbe mai luogo, (Wittgenstein 1912-1951, 2001, pp.445-458, pp. 5-15).

10 Scrive Wittgenstein: “Un’immagine ci teneva prigionieri”, e scrive ancora Wittgenstein, riferendosi al

Tractatus: “E non potevamo venirne fuori, perché giaceva nel nostro linguaggio, e questo sembrava ripetercela inesorabilmente” (Wittgenstein 1953, 1995, § 115, p. 67). Una di queste immagini che teneva prigioniera la riflessione del linguaggio è rappresentata da una delle tesi fondanti del Tractatus secondo cui: "la proposizione è un'immagine della realtà" e solo grazie a questo essa riesce a rappresentare i fatti: "per essere immagine, deve avere qualcosa in comune con il raffigurato" (2.16), e "ciò che ogni immagine, di qualsiasi forma essa sia deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare- correttamente o falsamente-, è la forma logica, ossia la forma della realtà" (2.18) (Wittgenstein 1914-16, 1983).

11 Secondo tale modello ad ogni simbolo corrisponderebbe un nome che a sua volta avrebbe come

referente semantico un oggetto. Ma in che modo i sostenitori della grammatica oggetto-designazione potrebbero rispondere a domande quali: quale è quindi l’essenza del “tempo?", a che oggetto specifico corrisponde questa parola? Esempi di quello che Wittgenstein avrebbe chiamato un problema filosofico irrisolvibile.

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Le Ricerche Filosofiche sono costruite sul presupposto fondamentale che nel linguaggio nulla è mai dato per assodato, non c’è niente che resti sempre immobile ed identico a sé stesso, perché il linguaggio è dinamico, cambia, cresce, muore come cambiano gli usi e i costumi delle comunità in cui si comunica attraverso il linguaggio e che sono tali grazie al linguaggio.

Dall'opera di Wittgenstein emerge una concezione del linguaggio come di qualcosa insieme di molteplice e di dinamico, che cambia, cresce, si sviluppa e si contrare con il cambiare, crescere, svilupparsi e contarsi degli usi, pratiche e costumi delle comunità umane. In questa prospettiva il linguaggio fa tutt’uno con la vita; come la via e insieme alla vita è un flusso e solo in questo flusso le parole acquistano significato.

Si può dire che la prospettiva pragmatica del linguaggio ha raccolto in parte questa preziosa indicazione di Wittgenstein. Essa infatti rimprovera alla semantica tradizionale di trascurare gli aspetti effettivi del linguaggio, quelli che si rivelano nella concreta prassi linguistica cercando di neutralizzare quei fenomeni come la deissi e gli impliciti che alla concretezza di quella prassi inevitabilmente rinviano. Come osserva Wittgenstein:

Quanto più rigorosamente consideriamo il linguaggio effettivo, tanto più forte diventa il conflitto tra esso e le nostre esigenze. (La purezza cristallina della logica non mi si era affatto data come un risultato; era un’esigenza.) il conflitto diventa intollerabile; l’esigenza minaccia a questo punto di trasformarsi in qualcosa di vacuo.

Siamo finiti su una lastra di ghiaccio dove manca l’attrito e perciò le condizioni sono in un certo senso ideali, ma appunto per questo non possiamo muoverci. Vogliamo camminare; dunque abbiamo bisogno dell’attrito. Torniamo sul terreno scabro!12

Nel ricercare con tanta insistenza l’asettica perfezione logica, la idealità, il filosofo perde di vista la “realtà” del linguaggio; nel ricercare le essenze nascoste al fondo delle cose, il filosofo non si accorge di ciò che ha sotto gli occhi.

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1.3 Scavare la superficie del linguaggio

Il metodo che Wittgenstein ci propone, al fine di sfuggire alle illusorie astrazioni ideali della filosofia, è quello che consiste nell’osservare le dinamiche del nostro linguaggio, nel metterne in evidenza gli usi e nel riconoscerne con minuziosità la molteplicità, senza nostalgie per teorie che generalizzano e unificano. Una pragmatica filosofica del linguaggio deve, a mio avviso, cogliere la lezione di Wittgenstein secondo la quale la ricerca sul linguaggio non può considerare come accessorio lo studio degli esempi concreti e non deve cadere nella mitologia dei concetti, riconoscendo che, in certi contesti e per certi impieghi, un concetto dai confini vaghi è più rigoroso di un concetto dai confini nettamente tracciati. Il difficile nella considerazione filosofica del linguaggio non è trovare essenze o definire concetti; non è insomma spiegare o fondare; il difficile è, per così dire, avere occhi per vedere. Sta qui la differenza tra considerazione filosofica e considerazione scientifica del linguaggio:

Era giusto dire che le nostre considerazioni non potevano essere considerazioni scientifiche. A noi non poteva interessare l’esperienza ´che è possibile pensare una determinata cosa, contrariamente al nostro pregiudizio`-qualunque cosa ciò possa voler dire. (La concezione pneumatica del pensiero.) E a noi non è dato costruire alcun tipo di teoria. Nelle nostre considerazioni non può esserci nulla di ipotetico. Ogni spiegazione dev’essere messa al bando, e soltanto la descrizione deve prendere il suo posto. E questa descrizione riceve la sua luce, cioè il suo scopo, dai problemi filosofici. Questi non sono, naturalmente, problemi empirici, ma problemi che si risolvono penetrando l’operare del nostro linguaggio in modo da riconoscerlo: contro una forte tendenza a fraintenderlo. I problemi si risolvono non già producendo nuove esperienze, bensì assestando ciò che da tempo ci è noto. La filosofia è una battaglia contro l’incantamento del nostro intelletto, per mezzo del nostro linguaggio.13

Nella prospettiva di Wittgenstein la filosofia deve diffidare del linguaggio (della grammatica che cela con una superficie omogonea la molteplicità dei suoi usi), senza

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per questo cedere alla tentazione scavare nelle sue presunte profondità. Come scrive bene Marconi a proposito delle Ricerche filosofiche: "l’esibizione del modo di funzionare del linguaggio non richiede che si colga qualcosa che è l’essenza del linguaggio; più in generale è possibile far uso di nozioni come quelle di proposizione, di regola, di linguaggio senza averne dato preliminarmente una definizione che colga l’essenza della proposizione (della regola, etc.).”14