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La concezione pragmatica filosofica del dire-fare

AUSTIN E L'AZIONALITA' DEL LINGUAGGIO

7. La concezione pragmatica filosofica del dire-fare

La tradizione semantica ha da sempre privilegiato un'interpretazione eminentemente descrittiva del linguaggio. Questo aspetto, come si vedrà, è difficilmente sradicabile dalle ricerche filosofiche di stampo analitico; una certa inclinazione a privilegiare l'aspetto descrittivo degli enunciati in vista della loro valutazione in termini di verità e falsità è riscontrabile non solo negli sviluppi più recenti della semantica, ma anche, forse più sorprendentemente, in diverse teorie che si muovono nell'ambito della pragmatica linguistica.

How to do things with words non è solo un testo di analisi del linguaggio, non è solo un sorprendente esempio di meticolosa campionatura di atti linguistici, è un'opera dedicata al progetto di creazione di una teoria dell'agire umano. Come si è infatti più volte sottolineato, il legame tra linguaggio e rito, tra atti linguistici e società è un legame etico: le procedure attraverso le quali agiamo linguisticamente corrispondono all'accettazione e alla condivisione di regole comuni di una cultura. La forza illocutoria non è allora solo qualcosa che si va ad aggiungere alla proposizione [F(p)], ma è il mezzo (la forza convenzionale) attraverso cui una società si manifesta nel suo linguaggio, e così le condizioni di felicità non sono soltanto regole che governano l'uso degli indicatori di forza, ma sono "il riflesso 'istituzionalizzato' della storia morale di

124 Sull'affermazione di un riconoscimento intersoggettivo in un atto linguistico riuscito, si veda

Habermas 1991, pp. 17-29. Qui il criterio intersoggettivo si sostituisce a quello intenzionale,nel mostrare come i soggetti coinvolti nell'iterazione linguistica pervengono ad un consenso attraverso un riconoscimento intersoggettivo delle pretese di validità (di essere vero, legittimo, vincolante, o sincero) proprie del tipo di atto illocutorio in questione.

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una comunità".125 Il problema è che per considerare realmente il fenomeno dell'azionalità del linguaggio con tutte le sue conseguenze filosofiche è necessario abbandonare seriamente non solo l'idea che gli enunciati constativi stiano al centro e nel cuore del nostro linguaggio, ma soprattutto che tra enunciati constativi e enunciati performativi vi sia una divisione netta e di principio. Che non sia così è reso chiaro dal fatto che anche i performativi non sono valutati solo in termini di felicità o infelicità dell'atto. Si prenda, per esempio, l'enunciato:

«Ti consiglio di metterti a dieta»,

attraverso il quale Nicola consigliava ad Antonio di dimagrire, qui la questione non è solo se l'atto sia riuscito o non riuscito in base alle sue condizioni di felicità contestuali e al rispetto delle indicazioni convenzionali, ma anche e soprattutto se sia una un buon consiglio o un cattivo consiglio; nel caso in cui Antonio fosse grandemente in sovrappeso, il consiglio sarebbe buono, ma se Antonio tendesse per natura ad essere sottopeso, non lo sarebbe affatto.126 Allo stesso modo, si consideri l' enunciato constativo proferito da Luca in risposta alla domanda di Waldo: Dove è il gatto?

«Il gatto è sul tappeto».

Austin sostiene che esistano due modi per analizzare questo tipo di enunciato, e che questi due modi siano solo apparentemente diversi:

1. il primo ha come scopo la determinazione del valore di verità della proposizione, 2. il secondo ha come scopo la verifica dell'appropriatezza o dell'inappropriatezza

dell'enunciato.

Applicando l'analisi del tipo 1 al constativo «Il gatto è sul tappeto», Austin conclude che "Possiamo benissimo dire: 'Può essere che allo stesso tempo il gatto sia sul tappeto e io non creda che il gatto sia lì', ciò significa che non vi è alcuna incompatibilità tra queste

125In particolare il legame convenzionale che intreccia società e linguaggio si evidenzia: "nelle 'procedure

convenzionali accettate', nei 'princìpi da invocare', negli 'istituti morali' (ad es. 'la promessa') e in tutte quelle condizioni al contorno che costituiscono ciò che Austin chiama le 'condizioni di felicità dei performativi' della storia morale di una comunità" (Sacco «L’ideale filosofico di J. L. Austin», p. 124).

126 A questo proposito Austin fa il seguente commento sugli enunciati performativi: "Si direbbe che sono

quasi tenuti ad essere veri o falsi, e che non sono poi molto lontani dalle asserzioni" (Austin 1956, 1990, p. 231-232).

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due proposizioni; esse possono essere vere contemporaneamente", per esempio Luca potrebbe proferire quell’enunciato credendo che il gatto sia sul tetto, perché vuole che Waldo non lo trovi, ma in realtà non sa che il gatto è rientrato e si sta leccando sul tappeto, e quindi Waldo vedendolo può affermare: «Eccolo. Il gatto è sul tappeto». Lo stato di cose che il constativo deve descrivere è che il gatto è sul tappeto, ma questa proposizione, come si vede, è compatibile con quella secondo cui io non credo che esso lì; le due proposizioni sono entrambe vere.127 Austin fa notare che c'è comunque qualcosa che non va nell'esempio; scrive il filosofo che "quel che invece è impossibile, è affermare le due cose allo stesso tempo: è appunto l'affermare che il gatto è sul tappeto che dà a intendere che chi lo afferma ci crede". Qui Austin fa notare che l'affermare qualcosa non corrisponde ad una constatazione di un dato di fatto, ma all'affermare qualcosa essendo convinti della verità di quello che si sta asserendo. A questo punto è già entrata in campo l'analisi di tipo 2. Austin infatti ha fatto vedere che nel caso del constativo «Il gatto è sul tappeto» non è tanto la questione sulla verità o falsità della proposizione espressa ad essere interessante; da quel punto di vista le due proposizioni «il gatto è sul tappeto, ma io non ci credo» non sono incompatibili. Da un punto di vista pragmatico però esse sembrano esserlo, in quanto è infelice un atto di affermazione che non rimanda alla credenza della cosa affermata poiché il fatto di ritenere vero la cosa affermata fa parte della procedura convenzionalmente riconosciuta dell'enunciato performativo "Io affermo che". E' un constativo tanto inappropriato quanto può esserlo un performativo.

Sempre a proposito dei constativi Austin osserva che: "[p]iù ci pensate, alla verità e falsità, più trovate che pochissime delle asserzioni che facciamo sono semplicemente vere o false. Di solito c’è il problema se sono obiettive o meno, se sono adeguate o meno, se sono esagerate o meno."128 Anche in questo caso, l'appello al linguaggio

127 Questo esempio si inserisce nell'analisi che fa Austin dei modi di essere assurdo e cioè nei casi di

presupposizione - "presupporre" (Presuppose) - non rispettata come in «Tutti i figli Giovanni sono calvi, ma/e Giovanni non ha figli»; nei casi anomali di "dare a intendere" (Imply) come in «Il gatto è sul tappeto, ma/ e io non credo che sia là»; e in quelli di "implicitare" (Entail) come in: «Tutti gli invitati sono francesi e alcuni di loro non lo sono». Scrive Austin che questi sono: "Tre dei modi in cui un'asserzione non funziona pur senza essere falsa e neppure un guazzabuglio senza capo ne coda. […] questi tre modo di non funzionare corrispondono a tre dei modi in cui un enunciato performativo può essere infelice" Tali enunciati performativi affetti dalle stesse anomalie sono:" Ti lascio in eredità il mio orologio ma/e non ho nessun orologio" e "Prometto di esserci, ma/e non ho lacuna intenzione di esserci", (Austin 1962 c, pp. 54-55).

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quotidiano e colloquiale può dare facilmente ragione di quanto sostenuto dal filosofo in questo brano. Se all'interno di un tribunale, alle 14.30 p.m. Nick dicesse a Luigi:

«Ieri Lisetta ha perso tutto il giorno in attesa dell'arrivo del suo assistito per parlare con il giudice»,

questa proposizione non sarebbe facilmente valutabile in termini di verità/falsità. Che cosa intende infatti Nick, con l'espressione "tutto il giorno"? Ventiquattro ore a partire dalle 14. 30 p. m. del giorno precedente? O intende tutto la giornata lavorativa? O ancora intende la mattinata? In questo caso risulta più adeguato alla situazione valutare pragmaticamente l'enunciato in termini di appropriatezza: se Lisetta finisse di lavorare alle 15.00 p.m. l'enunciato sembrerebbe adeguato e obbiettivo, essendo la giornata intesa come giornata lavorativa infatti sarebbe quasi terminata, ma se Lisetta finisse di lavorare intorno alle 22.00, l'enunciato potrebbe sembrare esagerato e quindi infelice. E ancora se Nick proferisse l'enunciato solo per tentare di giustificare al capo suo e di Lisetta, Luigi, la quantità di lavoro arretrato di Lisetta, e quindi non credesse a ciò che sta asserendo, l'enunciato sarebbe infelice, e allo stesso modo esso sarebbe inadeguato e quindi infelice se Nick lo dicesse a Luigi, il capo suo e di Lisetta, nonché marito di Lisetta al quale lei aveva detto, mentendo, che quel giorno era andata a fare degli esami medici. Da tutti questi esempi emerge con forza l'importanza della funzione del contesto pragmatico (linguistico, extralinguistico, sociale, ed epistemico) e il legame contestuale che accomuna constativi e performativi. E’ sulla base del contesto pragmatico che riusciamo a stabilire di volta in volta se un atto linguistico sia riuscito o non riuscito, appropriato o non appropriato, felice o infelice, vero o falso e se i suoi effetti siano volontari o involontari.

8. Conclusione

Austin fa vedere attraverso lo studio del linguaggio comune che non bisogna lasciarsi sedurre dalle semplificazioni come le contrapposizioni nette vero/falso, reale/non reale, dire/fare Tali demarcazioni sono frutto di astrazioni "che non vanno considerate delle

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“proprietà” delle cose, degli eventi o delle azioni, bensì delle generiche dimensioni di valutazione che vanno contestualizzate."129 Le considerazioni che Austin ha elaborato sul funzionamento del linguaggio comune devono essere riconosciute come la base essenziale di un approccio pragmatico al linguaggio e al fenomeno comunicativo. Bianchi fa notare che è grazie a Austin, oltre che a Waismann e a Wittgenstein, che ha origine la Pragmatic View, la quale sembra voler fare proprie e sviluppare le indicazioni austiniane. Emblematica a questo proposito è l'osservazione di Austin secondo cui se se all'improvviso il gatto si mettesse a parlare o il cardellino nel giardino si gonfiasse fino ad esplodere, non avremmo le parole per descrivere adeguatamente questi fatti del mondo. Ciò dimostra che la funzione descrittiva non può essere la sola funzione del linguaggio. Il linguaggio non nasce e non si evolve sotto il segno o a causa della sola necessità di descrivere; ne consegue che, per intendere e analizzare il fenomeno comunicativo, occorre considerare il linguaggio non solo come uno strumento di conoscenza o l’espressione di una teoria ingenua o raffinata del mondo, bensì come la manifestazione attuale dell’ethos di una comunità linguistica.

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III

GRICE SIGNIFICATO DEL PARLANTE E IMPLICATURA