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La teoria del linguaggio come azione: Wittgenstein, Austin e Searle

9. Il ruolo del contesto e dell'implicito nella visione pragmatica del linguaggio

9.1 La teoria del linguaggio come azione: Wittgenstein, Austin e Searle

E’ di nuovo Wittgenstein il punto di riferimento. Si tratta in questo caso della sua concezione e problematizzazione del “seguire una regola”.70

69 Perry 1998.

70 Al § 198 delle Ricerche si legge: "Ma come può una regola insegnarmi che devo fare a questo punto?

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Se infatti alla base del processo di seguire una regola non ci può essere né un "atto di intuizione"71 né di interpretazione72 perché questo condurrebbe alla conseguenza paradossale che non esiste un criterio che ci garantisca di sapere se seguiamo correttamente una regola, a meno di non ricadere in un vacuo regresso all'infinito,73 allora non resta che cercare la soluzione o la dissoluzione del problema altrove.

È infatti la pratica condivisa che conferisce correttezza all’applicazione della regola quando essa è collocata all’interno di un contesto comunitario.

A partire da questa prospettiva Searle sostiene che le asserzioni sono sempre interpretabili all’interno di una rete di presupposizioni (implicito), inferenze (atti illocutori indiretti) e credenze (contesto); a loro volta queste interpretazioni sono sempre relative a un background74 non verbale (accordi su abitudini e costumi).

Sulle orme di Austin, invece, Searle ha sviluppato la teoria degli atti linguistici e di questa soprattutto l'idea di forza illocutoria75, che fatto tesoro della lezione griceana del significato del parlante, viene da lui considerata come un caso specifico di intenzionalità. Il ricorso all’intenzionalità verrà esteso fino all’introduzione dell’idea di intenzionalità sociale: se il concetto di azione individuale include in sé quello di "intento", allora esso esiste anche all'interno delle intenzioni collettive, in quanto esse sono definite in termini di una forma specifica di intenzionalità.76

L'aspetto più interessante per le nostre considerazioni sul contesto e sull'implicito, è l'idea secondo cui affinché si crei un'intenzione collettiva, occorre che gli altri possano

interpretazione". Si tratta della tesi secondo cui le regole possono essere sempre soggette a diverse interpretazioni, (Wittgenstein 1953, 1995, p. 107).

71 Si vedano le considerazioni in Wittgenstein 1929-30, 1976, § 149 e Wittgenstein 1933-35, pp. 183-184. 72 Le conseguenze paradossali che emergono dal pensare che tra la regola e la sua applicazione vi sia

qualcosa (un atto di interpretazione), consistono nell'inevitabile implicazione secondo cui la regola vada sempre interpretata ottenendo che qualsiasi azione possa essere resa compatibile con la regola data (mediante l'interpretazione).

73 Wittgenstein 1953, 1995, § 198.

74Searle utilizza il termine background in un'accezione molto tecnica , esso è il contesto all'interno del

quale accadono gli atti intenzionali, ed include la comprensione del mondo propria dell'individuo e anche il fatto che altre persone possano partecipare alle sue attività intenzionali, (Searle 1969).

75 Searle, inoltre alla teoria originale degli atti linguistici, per altro non del tutto maturata e approfondita

nel lavoro di Austin, individua una specifica proprietà dei fenomeni intenzionali: la direzione di

adattamento (direction of fit), che può andare in due direzioni: o dallo stato mentale al mondo o dal

mondo allo stato mentale.

76 In questa sede Searle giustifica l'intenzione collettiva attraverso tre tesi principali. Prima: il

comportamento intenzionale collettivo esiste, e non corrisponde alla somma dei comportamenti intenzionali individuali; seconda: le intenzioni collettive non possono essere ridotte a intenzioni individuali; terza: i due vincoli delle prime due tesi sono: la società è composta da individui, non esiste una "coscienza di gruppo" e l'intenzionalità è indipendente dalla verità o falsità di ciò che si pensa, (Searle 1990, pp. 401-416).

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partecipare all'intenzione stessa; l'intenzionalità collettiva presuppone pertanto una consapevolezza di fondo (Background sense) dell'altro individuo come attore sociale, cioè come attore capace di partecipare alle attività collettive.

Risulta evidente come in questi passaggi i due concetti di implicito e contesto giochino un ruolo fondamentale. L'intenzione in uno scambio comunicativo è ciò che permette la comprensione, ma è anche ciò che, a sua volta, per essere inteso correttamente, deve essere indicato, esplicitato tramite la forza illocutoria dell'atto linguistico, forza che, a sua volta, necessita per essere identificata necessita del contesto di riferimento. Il Background rappresenta così un concetto allargato del concetto di contesto implicitamente condiviso.

Il sostrato di queste riflessioni è il tema fondamentale della pragmatica linguistica del linguaggio come azione, i cui padri sono stati, da una parte, Wittgenstein con il concetto di gioco linguistico, e dall’altra Austin con quello di atto linguistico. Quest'ultimo si differenzia dal primo soprattutto in quanto rappresenta il modo per "iniziare una riflessione, anche astratta, sul funzionamento del linguaggio, congiungendola e in parte subordinandola a una riflessione sul tema dell'azione",77 che ha come conseguenza una considerazione della verità come la "risultante di un giudizio complessivo sul compimento di un atto linguistico assertivo in un contesto".78 La proposta di valutare la verità di atti e non di enunciati, fu accolta con qualche sospetto, dall'ambiente filosofico analitico.79 Infatti, anche se Searle riprese e ampliò la teoria degli atti linguistici, lo fece in una direzione che sembra diversa80 da quella verso cui muoveva il suo maestro in How to do Things with Words.81 Gli atti di cui parla Austin si configurano come vere e proprie azioni, mentre il filosofo americano, punta di più sull'idea secondo la quale il linguaggio è un'attività sociale, ed in particolare un attività svolta conformemente a

77 Sbisà 1989, p. 21. 78 Ibid..

79 Searle 1973, pp. 141-185; Strawson 1973, pp. 46-68.

80 A proposito delle notevoli differenze di impostazione teorica su di uno stesso tema, Sbisà, citando

Austin (Austin 1962, 1987, p. 107), fa notare che: "Per Searle il concetto di atto è positivamente definibile, nel senso che ci sono delle condizione alle quali si può affermare che qualcuno ha compiuto un certo atto linguistico; mentre per Austin atto locutorio, illocutorio e perlocutorio si distinguono in modo negativo, indiretto, in base a «the possible slips between cup and lip», cioè in base al fatto che l'atto linguistico può fallire secondo ciascuno di questi aspetti" (Sbisà 1989, p. 35).

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regole, rivelando una certa continuità con le idee del secondo Wittgenstein più che con quelle di Austin.82

Ciò che in questa sede importa mettere in risalto è la proprietà che ha un atto linguistico di trasformare il contesto, intendendo per contesto la nozione generale di ciò in cui avviene e a cui è relato l'atto linguistico. Se l'atto linguistico è un'azione e se quest'azione comporta delle trasformazioni nel contesto83 di riferimento di uno scambio comunicativo, allora per ogni atto linguistico compiuto esiste una responsabilità dell'enunciatore. Per quanto riguarda la teoria dell'azione, sembrano quindi essere più incisive le considerazioni austiniane.

Il tema della responsabilità della comunicazione è, dal mio punto di vista, una delle idee più innovative dell'opera del filosofo inglese. Quando tratta dell'enunciato performativo e poi dell'atto illocutorio,84 Austin rende infatti esplicita la dimensione intersoggettiva della comunicazione; un atto linguistico è sempre un atto sociale in cui gli attori coinvolti sono almeno due: Enunciatore e Destinatario, i quali agiscono e reagiscono in una condizione, potremmo dire, di responsabilità reciproca.

Va qui almeno ricordato che del carattere di azione del linguaggio si sono interessati anche molti filosofi “continentali”.

Mi riferisco, in particolare, a K.O. Apel,85 e ad J. Habermas, i quali, a partire da presupposti e con stili diversi da quelli dei filosofi analitici e proponendo soluzioni diverse tra loro, affrontano il tema della prassi linguistica e della dimensione pragmatica del linguaggio. Habermas, per esempio, si propone di ricostruire il sistema di condizioni e regole che rendono possibile la partecipazione adeguata a quello che egli

82 Sulla differenza tra attività e azione si veda Sbisà 1989, capitolo II-1.

83 Sappiamo che il contesto può avere diversi livelli di realtà, cui corrispondono sue differenti analisi.

Sbisà introduce tre distinzioni per la nozione di contesto: 1. distingue tra il fatto che la situazione abbia certe caratteristiche, dal modo in cui i partecipanti se le rappresentano; 2. distingue il contesto come dato esterno e precedente a un certo atto linguistico o testo, dal contesto che è presupposto (comunicato, costruito), da quell'atto linguistico o testo; 3. distingue un contesto di fatto, costituito da circostanze materiali (fisiche o psicologiche) da un contesto di diritto, costituito da aspetti istituzionali ,convenzionali, o comunque in senso lato semiotici, (Ibid. pp.55-56).

84 Austin 1962, 1987 e Austin 1979, 1990.

85Secondo Apel il parlante avanza sempre di fatto pretese di comprensibilità (sulla base della correttezza

grammaticale), di verità (in base ad un corretto rapporto semantico tra ciò che si dice e la realtà), di veridicità (come espressione linguistica non distorta di quello che è lo stato interno del parlante) e di giustezza (ossia di adeguamento alle norme della comunità dei parlanti). Queste pretese non possono non essere avanzate, se non altro, implicitamente, in qualunque atto linguistico: infatti, se non fossero avanzate, il parlante cadrebbe in quella che Apel chiama un'autocontraddizione pragmatica o performativa. Tra le sue opere più importanti in questo senso si ricorda Apel 1977.

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chiama discorso, il quale non deve essere confuso con il semplice scambio di informazioni o di esperienze.86 E’ questo, ossia l’attenzione per la dimensione pragmatica del linguaggio, un campo in cui analitici e continentali possono fecondamente collaborare. Come osserva Penco, “quello che accomuna i tentativi di descrizione del funzionamento dell’azione linguistica è la necessità di essere buone rappresentazioni del fenomeno che si vuole rappresentare-e questo permette e aiuta l’interdisciplinarità della ricerca”.87