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Dall’art 14 del progetto di Costituzione all’art 19 Cost.

la libertà religiosa nel sistema costituzionale

5. Dall’art 14 del progetto di Costituzione all’art 19 Cost.

Subito dopo l’approvazione della formula che diverrà poi l’art. 7 Cost., i lavori della prima sottocommissione proseguirono avendo a riguardo la libertà di opinio- ne, di coscienza e di culto; nella proposta di disposizione avanzata dall’on. Dossetti durante i lavori della prima sottocommissione nella seduta del 18 dicembre 1946 si leggeva:

36 Si vedano, a questo proposito, gli esiti di un recente seminario del gruppo di Pisa raccolti in aa.VV.,

Lavori preparatori ed original intent nella giurisprudenza della Corte costituzionale, a cura di F. giuFFrè - i. ni- Cotra, torino, giappichelli, 2008, dove è possibile reperire una bibliografia completa e aggiornata scorrendo i

vari contributi, in particolare quelli di Luciana Pesole e Chiara tripodina.

37 Si rinvia, dunque, per approfondimenti, alle ormai classiche trattazioni di a. pizzoruSSo, Fonti del

diritto, in a. SCialoJa - g. BranCa (a cura di), Commentario del codice civile, Bologna - Roma, zanichelli - Soc.

ed. del Foro italiano, 1977, p. 114 e ss. (v. ora anche la ii edizione del 2011); g. zagreBelSky, Manuale di diritto

costituzionale. i. Il sistema delle fonti del diritto, torino, Utet, 1988, p. 72 e ss.; l. paladin, Le fonti del diritto

italiano, Bologna, il mulino, 1996, p. 97 e ss.; r. guaStini, Teoria e dogmatica delle fonti, milano, giuffrè, 1998,

Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore, alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, alla propaganda di essa, al libero esercizio privato e pubblico, del proprio culto, purché non si tratti di religione o di culto implicante principi o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume.

a tale proposta venne affiancata quella dell’on. Cevolotto, recitante «tutti i cittadi- ni hanno diritto alla piena libertà di fede e di coscienza»38.

È interessante notare, ai fini dell’impostazione che si cercherà di sostenere in que- sto lavoro, il titolo della rubrica contenuta negli atti della Costituente sotto la quale si svolge questo dibattito: Discussione sulla libertà di opinione, di coscienza e di culto. Ciò potrebbe concorrere a dimostrare come, discutendo di quello che diverrà poi l’art. 19 Cost., si avesse già allora in mente l’inscindibilità logica e giuridica delle libertà di pensiero, coscienza e religione39.

La discussione procedette in maniera vivace sulle possibili implicazioni della pro- posta Dossetti: l’on. marchesi criticò il riferimento alla morale che poteva far pensare al voler privilegiare quella di matrice religiosa e fece altresì notare come «con quella semplice parola “purché” si viene a distruggere il principio della libertà di pensiero, il quale pensiero può anche esigere la libertà di concepire e di formulare norme che siano in disaccordo con quelle della morale cattolica»40. L’on. Cevolotto lamentò che si stesse

facendo «una Costituzione paolotta, mentre le formule dovrebbero essere, per dir così, un poco laicizzate»; l’on. Lucifero affermò che «una buona Costituzione è tutta un dettame, e che il richiamo alle supreme norme della morale è nelle norme stesse che la Costituzione detta, e non come richiamo a sé stante»; mentre l’on. Basso rimarcò come una precisa definizione della norma in esame fosse di suprema importanza, perché la stessa riguardava la libertà di coscienza41.

Dopo l’on. De Vita, che faceva notare come i principî supremi della morale somi- gliassero «un po’ al diritto naturale: sono, cioè, vaghi ed inafferrabili»42 parlò l’on.

togliatti, che avanzò obiezioni significative:

qui non si mira a giudicare delle azioni, ma delle idee e delle convinzioni, la cui espressione deve

38 La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, edizione curata dalla

Camera dei deputati – Segretariato generale, Roma, 1970, Vol. Vi, p. 787.

39 non a caso, tutte le dichiarazioni internazionali che il nostro paese sottoscriverà, recitano per l’appunto

‘libertà di pensiero, coscienza e religione’: cfr. art. 18 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo O.n.U., art. 9 C.e.d.u. e, ora, art. 10 Carta di nizza. L’on. moro propose di distinguere fra libertà di opinione e di coscienza in senso generale e professione religiosa (p. 788), ma con tale asserzione veniva nella sostanza riconfermata l’unità del genus libertà di pensiero/coscienza, di cui la libertà religiosa non poteva che essere considerata come una species.

40 La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori, cit., p. 788.

41 Ibidem, p. 788. L’on. Basso rimarcava pure che «quando si stabilisce che la libertà di coscienza può es-

sere sottoposta ad esame in base a una formula suscettibile di interpretazioni diverse, si va incontro al pericolo che questo esame possa variare da persona a persona» (p. 789).

essere invece libera. Con una norma del genere, si arriverebbe all’assurdo che un uomo non può più pensare una cosa che a giudizio dei proponenti dell’articolo sia considerata da essi contro le supreme norme della morale, supreme norme che non si conoscono e non vengono precisate. La verità è che qui si nasconde il tranello della soppressione della libertà di pensiero, di convinzione, e di ogni altro principio di libertà.

egli faceva notare che un articolo così formulato avrebbe comportato, agli albori del Cristianesimo, la messa in arresto dei primi cristiani e che

Lasciando da parte l’anarchismo e il comunismo, che sono dottrine politiche, se si desse domani il caso di una eresia religiosa, si potrebbe dire, in base a questo articolo, che essa è contro le supreme norme morali43.

La seduta fu poi ripresa il giorno seguente, giovedì 19 dicembre 1946, e l’on. Dos- setti, preso atto del dibattito, presentò una nuova proposta:

Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore, alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, alla propaganda di essa, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto, purché non si tratti di religione o di culto implicante princìpi o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume44.

L’on. Cevolotto richiamò invece la sua articolatissima proposta, tesa a bilanciare gli effetti che, a suo dire, sarebbero seguiti dall’approvazione del richiamo in Costituzione dei Patti lateranensi, ossia la confessionalizzazione dello Stato45. Su questo aspetto,

però, il Presidente tupini rimarcò come un tale esito fosse stato esplicitamente escluso da tutti i democristiani proponenti tale menzione46. tuttavia L’on. Cevolotto insistette

43 Ibidem, pp. 789 e 790. a questo intervento seguì quello dell’on. Lucifero, che rimarcò come compito del

legislatore e del costituente fosse quello di sviluppare la morale nelle leggi e non di richiamarla come articolo di codice. egli evidenziava inoltre come lo stesso fatto che si fosse sentita la necessità di un ampio dibattito sul punto dall’una e dall’altra parte non potesse che significare la difficoltà di interpretazione della parola ‘morale’. L’on moro ammise i possibili rischi a cui ci si esponeva con quella formulazione ma chiese di dare atto della onestà delle intenzioni dei proponenti, che non volevano esiti del genere (p. 791).

44 Ibidem, p. 802.

45 Ibidem, p. 802: «art. 1 tutti i cittadini hanno diritto alla piena libertà di fede e di coscienza; art. 2 tutti

i cittadini hanno diritto di professare qualsiasi culto che non sia contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume, o di non professarne alcuno; di manifestare pubblicamente le proprie credenze religiose, di compiere attività religiosa nella loro casa e nei locali privati come nei locali e templi aperti al pubblico culto, o anche di abbandonare una confessione religiosa per entrare in un’altra; art. 3 tutte le confessioni religiose che non contrastino con l’ordine pubblico, con la morale e con il buon costume hanno pari diritto di organizzarsi liberamente, di propagandare e di diffondere la loro fede, di eleggere i propri ministri e di revocarli, di aprire templi e di possedere gli edifici nei quali il culto viene esercitato. tutti i culti hanno diritto a eguale protezione penale contro il vilipendio loro, delle loro credenze, dei loro ministri e contro il turbamento delle loro funzioni. Particolari leggi e patti concordati regoleranno il regime giuridico e amministrativo delle associazioni e degli enti morali di qualunque culto; art. 4 nessuno può giustificare un reato o il mancato adempimento di un dovere imposto dalla legge, invocando le proprie opinioni religiose e filosofiche».

sul punto della necessità di esplicitare la libertà di proselitismo e dopo l’aggiunta pro- posta dall’on. marchesi – «propagazione della propria fede» – si ritenne soddisfatto.

L’on. Dossetti, per fugare i dubbi avanzati nel dibattito, si premurava di precisare che con la sua proposta si voleva «garantire la libertà religiosa di tutte le confessioni e anche della confessione cattolica»47.

L’on. Basso, frattanto, cominciava ad avanzare dei dubbi sulla menzione del sinda- cato sui principî di una confessione, che dominerà poi il dibattito sul progetto di art. 14 e sarà una delle chiavi di lettura dell’interpretazione che si cercherà di proporre: con uno sguardo proteso davvero verso i giorni nostri, faceva notare che con tale menzione «Potrebbe darsi che domani si proibisse in italia la religione mussulmana per il fatto che essa contiene un principio contrario al buon costume. D’altra parte è lecito temere che l’interpretazione possa essere generalizzata»48.

nonostante questi rilievi, l’articolo venne approvato nella seguente formulazione: Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore, alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, alla propaganda di essa, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto, purché non si tratti di religione o di culto implicante princìpi o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume49.

La seduta si chiuse con la votazione dell’articolo che poi sarebbe divenuto il vente- simo della Costituzione: a questo proposito è necessario osservare, visto che oggi parte della dottrina vorrebbe usare tale disposizione per giustificare trattamenti di favore nei confronti del fenomeno religioso, che lo stesso, nell’intenzione del costituente, nonché nella sua formulazione letterale, voleva avere solo una funzione negativa e di denuncia nei confronti delle c.d. leggi eversive che abbiamo analizzato trattando dei rapporti Stato-Chiesa nel periodo statutario50. L’on. Dossetti, proponente l’articolo, specificò:

nello Stato italiano, in seguito a vicende a tutti note, è stata tolta agli enti ecclesiastici la personalità di diritto. Questo articolo vuole, quindi, affermare un concetto negativo, che cioè il carattere ecclesiasti- co o lo scopo di culto non possono essere causa di un trattamento odioso a danno degli enti stessi51.

47 Ibidem, p. 803, aggiungendo «nella dannata ipotesi che in italia venisse a cessare il regime concordata-

rio», da cui si può arguire che lo stesso era dunque visto come garanzia di libertà più che come fonte di privilegio.

48 Ibidem, p. 804. Ci si riferiva in particolare alla poligamia.

49 Ibidem, p. 804. Subito dopo l’on. Cevolotto propose un emendamento teso a parificare la tutela penale

dei culti, ma l’on. moro – che peraltro sosteneva la liceità di tale differenziazione sulla base del maggior allarme sociale destato dalle offese alla religione cattolica in quanto religione della quasi totalità degli italiani – ebbe buon gioco nel fargli notare come quella fosse materia da codice penale, mentre l’on. Lucifero faceva notare come una volta stabilita l’eguaglianza delle religioni il legislatore non avrebbe che potuto adeguarsi a tale prin- cipio (auspicio che, come vedremo, sarà realizzato solo dopo sessant’anni e quasi esclusivamente per opera della giurisprudenza costituzionale).

50 in questo senso v. S. lariCCia, Coscienza e libertà. Profili costituzionali di diritto ecclesiastico, Bologna, il

mulino, 1989, p. 65, secondo il quale la disposizione «tende ad evitare che, dopo l’entrata in vigore della costi- tuzione sia possibile il ritorno a sistemi giurisdizionalisti nella disciplina del fenomeno religioso».

È evidente dunque come tale disposizione, che poteva avere in origine una funzio- ne, dal momento che all’epoca non si riteneva applicabile l’art. 3 Cost. alle formazioni sociali, è oggi probabilmente quasi del tutto inutile dal punto di vista normativo52.

Si può quindi asserire che esso non può concorrere a fondare trattamenti privilegiati per il fenomeno religioso, ammesso e non concesso che lo Stato abbia la possibilità di distinguere tale fenomeno rispetto agli altri promananti dal libero esercizio di tutte le libertà collegate alle manifestazioni della coscienza e del pensiero, cosa che in questo lavoro si cercherà di contestare.

La discussione riprese poi in assemblea nella seduta antimeridiana di sabato 12 aprile 1947 e riguardò un articolo in gran parte diverso, ossia l’art. 14 del progetto di Costituzione, che così recitava:

tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individua- le o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto, purché non si tratti di principî o riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume53.

Fu subito presentato un emendamento dall’on. Binni, teso a sopprimere ogni riferi- mento a possibili limitazioni di tale libertà che così recitava:

tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individua- le o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto54.

Spariva dunque in questa formulazione qualsiasi richiamo all’ordine pubblico e al buon costume, nonché qualsiasi ipotesi di sindacato sui principî di una religione. L’on. Binni, nello svolgere le argomentazioni a sostegno della sua proposta, ricordava come durante la discussione sull’art. 7 vi fosse stata una lunga e dura battaglia, ma come «tutti, però, mi sembra, concordarono nel riconoscimento generale della libertà di

52 Significativamente F. onida, L’art. 20 della Costituzione, in Pol. dir., 1996, p. 105, dopo aver specificato

che «l’interprete deve fare ogni sforzo per trovare un valore normativo alle parole del legislatore. all’interno di questo principio, poi, tutto è relativamente possibile. Possiamo ritenere ambigua o ambiguamente espressa la volontà del legislatore; e possiamo considerare quella volontà modificata dal tempo o dall’interazione con le altre norme dell’ordinamento fino a dar luogo a una voluntas legis anche fortemente diversa; e possiamo far parlare il silenzio del legislatore e riempirlo di significati opposti potendo scegliere tra considerarlo una lacuna da colmare analogicamente o invece una esclusione conosciuta e voluta … ma non è consentito all’interprete negare “qual- siasi” valore alle parole del legislatore», concludeva che «tornando dunque a guardare l’art. 20 solo sullo sfondo del quadro costituzionale di cui fa parte, esso mi appare sempre di più un principio che ha perso ogni funzione (dopo averne avuto per qualche tempo una minima) dato che non può essere letto con significato di promozione di una legislazione speciale per gli enti a carattere religioso e d’altra parte le garanzie in esso contenute sono da consi- derare ormai comunque assicurate a tutti gli enti dalle altre norme della Costituzione (artt. 2, 3, 18, 53)» (corsivi aggiunti). Di conseguenza ne proponeva una soppressione proprio per evitare che, volendo per forza trovargli un significato, si finisse per attribuirgliene uno totalmente incompatibile con il significato letterale del testo.

53 Cfr. La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, cit., Vol. i, p. 816. 54 Ibidem, p. 818. La formula continuava comprendendo anche un secondo comma che poi sarebbe dive-

nuto l’art. 8: «Le confessioni religiose sono eguali di fronte alla legge e hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano».

religione e della libertà di culto; e, anzi, proprio i colleghi democristiani affermarono la loro volontà di non legare, in alcun modo, l’inserzione dei Patti lateranensi ad una

qualsiasi, possibile menomazione o violazione della libertà generale di religione»; faceva

poi notare da una parte che non erano presenti culti ‘stravaganti’ nel contesto italiano, dall’altra che

a parte il fatto che a me sembra impossibile che ci siano fra noi questi culti stravaganti, questa ado- razione, per esempio, dei serpenti o simili, sarebbe molto difficile dare una definizione di questo ca- rattere di stravaganza. Se colui che giudica partisse da una mentalità arretratamente illuministica o strettamente razionalistica, dove si arriverebbe nella definizione di queste stravaganze?55.

Con il che, si metteva in risalto il nodo ineludibile del problema, a tutt’oggi sottova- lutato dalla maggioranza della dottrina: cioè l’impossibilità di esistenza, in un sistema che affermi la libertà religiosa, di qualsiasi criterio legittimo per discernere giuridi- camente la religiosità di una convinzione. L’esempio portato dall’on. Binni dimostra chiaramente come anche la Chiesa cattolica, agli occhi di un razionalista, potrebbe apparire come un culto stravagante e dunque come la libertà religiosa possa essere garantita solamente da disposizioni che non contemplino criteri di distinzione tra ciò che è religioso e ciò che non lo è, se non ci si vuole affidare ai giudizi delle maggioranze culturali e politiche affermatesi in un determinato momento storico.

Di notevole spessore anche il finale dell’intervento, in cui si sottolineava:

Con la formula dell’articolo 14 si può impedire una manifestazione di libertà di pensiero, di libertà di religione. epperciò io credo che questi pericoli ci siano veramente e che noi potremmo dare prova di generosità e di coraggio moderno, escludendo dalla nostra Costituzione quelle due limitazioni56.

Fu poi proposta un’altra formulazione dagli on. Pajetta e La Rocca che così recitava: tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individua- le o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto, purché non si tratti di riti contrari all’ordinamento giuridico dello Stato o al buon costume57.

55 Ibidem, p. 818 (corsivi aggiunti). molto interessante anche il prosieguo sull’espunzione del limite dell’or-

dine pubblico: l’on. Binni sottolineò come tale formula gli apparisse «ancora più pericolosa, più rischiosa. È una di quelle formule che, pure essendo consuetudinarie in alcune Costituzioni – per quanto non si trovi nelle Costituzioni dei più grandi paesi democratici – appare estremamente pericolosa e direi ricca di tentazioni per chi ha il potere e può servirsene per i suoi scopi particolari. L’onorevole Preti, nel suo intervento, ha portato nu- merosi esempi dello zelo inopportuno che durante il passato alcuni ministri di culto, sia pure periferici, sia pure dei bassi strati ecclesiastici, hanno dimostrato servendosi di questa formula dell’ordine pubblico per impedire la libertà di culto di alcune denominazioni protestanti».

56 Ibidem, p. 819. Segue poi una precisazione sul secondo comma – che sarebbe poi diventato in diversa

formulazione l’art. 8 Cost. – tesa ad evidenziare lo stretto legame tra la libertà e l’eguaglianza in materia religiosa degli individui e quelle dei gruppi a cui gli stessi diano vita.

57 Ibidem, p. 819. anche il ii comma della proposta presentava differenze, la più rilevante delle quali l’‘in-

venzione’ delle Intese, istituto giuridico sino ad allora sconosciuto: «tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge e si reggono sulla base dei propri statuti. i loro rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, mediante intese con le rispettive rappresentanze».

Venivano dunque riproposti dei limiti alla libertà religiosa, ma essi riguardavano solamente i riti, senza nessuna possibilità invece di legittimare un sindacato sui principî propri di un culto.

il dibattito che seguì continuò, dopo la presentazione di ulteriori emendamenti58, a

essere incentrato sulla necessità di rimuovere la possibilità di sindacato sul fenomeno religioso. Particolarmente significativo fu l’intervento dell’on. nobili tito Oro, il quale sottolineava lo spirito e la portata delle modifiche che si volevano apportare al progetto: ammetteremmo noi che i principî di una fede religiosa, i quali si consustanziano con la fede stessa, possano costituire oggetto di esame da parte di elementi estranei a quella fede? Questo è assurdo e

contraddice all’essenza della stessa libertà religiosa e pertanto mi pare che l’espressione ‘principî’ debba

essere senz’altro esclusa dalla formula del testo59.

inoltre, si richiedeva l’espunzione del criterio dell’ordine pubblico, giudicato «troppo evanescente e troppo spesso preso a prestito da funzionari di polizia per non permettere quelle manifestazioni che ad essi fa comodo di non permettere, e che potrebbero essere anche sconsigliate e non volute dai governi del tempo» e si criticava pure la sua variante contenuta nell’emendamento Pajetta-La Rocca, ossia il riferimento all’ordinamento giuridico dello Stato60.

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