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nella giurisprudenza costituzionale

3. L’ora di religione

Le decisioni in materia di ora di religione rappresentano una tappa fondamentale nel cammino della Consulta, dal momento che è proprio in quest’àmbito giurispru- denziale che la Corte ‘scoprì’ il principio di laicità dello Stato; con molta acutezza si è sottolineato come attraverso questa operazione ermeneutica il giudice delle leggi abbia riportato in campo il principio di eguaglianza «senza distinzione di religione», che era nella sostanza stato estromesso, come si è visto, dai principî supremi nella giurispru- denza in materia di matrimonio concordatario, attraverso una lettura troppo ‘flessibile’ della sua portata normativa:

per riscoprire la portata stringente dell’art. 3 la Corte aveva bisogno, se non voleva sconfessare il parametro dei principi supremi, di inserirlo in questo circuito: è ciò che fa con la sentenza caposaldo n. 203/89 … in tal modo il principio di eguaglianza, finito in posizione di offside con la giurispruden-

25 S. lariCCia, Libertà delle Università ideologicamente impegnate e libertà di insegnamento, cit., p. 2195. 26 Lamentò immediatamente questo carenza S. lariCCia, Libertà delle Università ideologicamente impe-

gnate e libertà di insegnamento, cit., p. 2196, evidenziando come fosse necessario «porsi il quesito se sia am- missibile il sistema per il quale le autorità dello Stato italiano, di fronte ad un atto pienamente discrezionale promanante da un organo ecclesiastico … siano realmente sprovviste del potere di giudicare sulla liceità di tale comportamento». Per a. C. Jemolo, Perplessità su una sentenza, cit., c. 11, «la S. Sede è, sì, un organo sovrano,

ma quando opera attraverso il provvedimento di un ente pubblico italiano a carico di un cittadino italiano che esplica nel nostro Stato una pubblica funzione, non può sottrarre a questo cittadino ogni garanzia giuri- sdizionale. mi sembra che occorresse operare questo filtraggio per riconoscere la compatibilità dell’art. 38 del Concordato con la Costituzione».

27 Sull’influenza di questa decisione negli sviluppi legislativi e giurisprudenziali cfr. F. FalCHi, La sentenza

195/1972 della Corte costituzionale punto di svolta per il «gradimento» dei docenti dell’Università cattolica, in Botta r. (a cura di), Diritto ecclesiastico e Corte costituzionale, cit., p. 159 e ss.

za sui principi supremi, rientra pienamente in gioco proprio come principio supremo, sub specie di laicità: costituendone, invero, l’asse portante, nella misura in cui il sindacato di laicità, in definitiva, si risolve in quello ordinario di eguaglianza = non disciriminazione28.

Dopo una prima decisione di inammissibilità (ord. n. 914/1988)29, in cui la Con-

sulta sembra prendere tempo respingendo le censure di incostituzionalità mosse alla l. n. 121/1985 e al D.P.R. n. 751/1985 in riferimento agli artt. 3, 19 e 33, motivando sulla base del fatto che in tali articoli mancasse qualunque indicazione circa le modalità di adempimento dell’obbligo che la scuola aveva nei confronti dei soggetti non avvalen- tisi dell’insegnamento della religione cattolica30, la Corte affrontò la questione dell’‘ora

di religione’ nel 1989: il giudice a quo, in una causa civile fra l’amministrazione della pubblica istruzione e privati cittadini che aveva ad oggetto l’art. 9 della l. n. 121/1985, sollevò questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 2, 3 e 19 della Costituzione, motivando la non manifesta infondatezza sulla base del fatto che tale disposizione e le altre ad essa complementari avrebbero causato «discriminazione a danno degli studenti non avvalentisi dell’insegnamento di religione cattolica “ove non potessero legittimare la previsione dell’insegnamento religioso come insegnamento

meramente facoltativo”»31.

il giudice delle leggi respinse le tre eccezioni di inammissibilità proposte dall’avvo- catura dello Stato32, richiamò la dottrina stabilita nei suoi precedenti a proposito della

sindacabilità delle norme concordatarie33 e, dopo aver specificato che, nella materia

28 Così n. Colaianni, Eguaglianza, non discriminazione, ragionevolezza, cit., pp. 65-66. Sottolinea sotto al-

tri profili l’importanza della decisione F. onida, Il principio di laicità, in r. Botta (a cura di), Diritto ecclesiasti-

co e Corte costituzionale, cit., p. 278: «fino ad allora ogni riflessione in argomento aveva carattere essenzialmente teorico, astratto addirittura, e poteva cercare riferimenti e punti d’appoggio solamente in studi storici e filosofici e nei testi legislativi di ordinamenti stranieri autoqualificantisi secolari e laici (magari senza esserlo), vincolati alla separazione tra Stato e religione».

29 in Giur. cost., 1988, p. 4241 e ss., con osservazione di l. Violini, Vuoto normativo, disparità di trattamen-

to e scelte “tecniche”.

30 nota B. randazzo, Diversi ed eguali. Le confessioni religiose davanti alla legge, cit., p. 314, che per la

Corte «tali censure si risolvono in una generalizzata critica delle carenze organizzative conseguenti alla at- tuazione delle norme impugnate; essa precisa che sfugge al giudizio di costituzionalità “l’apprezzamento di situazioni contingenti – anche se per più versi criticabili – venutesi a creare nella fase di prima applicazione della normativa”, dato che le disparità denunciate “sono ricollegabili all’incompletezza delle ordinanze ministeriali o addirittura alle concrete scelte tecniche di chi è tenuto a darvi esecuzione”».

31 S. n. 203/1989, in Giur. cost., 1989, p. 890 e ss., con nota redazionale di a. SaCComanno e osservazione

di l. muSSelli, Insegnamento della religione cattolica e tutela della libertà religiosa. Punto 1 del Considerato in

diritto, p. 897 (corsivo aggiunto).

32 tutte aventi ad oggetto motivi in rito, in particolare la mancata determinazione del thema decidendum

da parte del giudice a quo, il difetto di giurisdizione dello stesso e la situazione ancora non stabilizzata dell’as- setto organizzatorio scolastico, con il richiamo della motivazione dell’ordinanza di inammissibilità dell’anno precedente (cfr. Punto 2 del Considerato in diritto, p. 897).

33 Punto 3 del Considerato in diritto, p. 898. La Corte richiama le sentenze n. 30 del 1971, n. 12 del 1972,

n. 175 del 1973, n. 1 del 1977 e n. 18 del 1982, con le quali aveva stabilito che anche le disposizioni del Concor- dato, le quali godono della particolare copertura costituzionale fornita dall’art. 7, non si sottraggono all’accer- tamento della loro conformità ai principî supremi dell’ordinamento costituzionale.

del contendere, gli artt. 3 e 19 venivano in evidenza come «valori di libertà religiosa

nella duplice specificazione di divieto: a) che i cittadini siano discriminati per motivi di religione; b) che il pluralismo religioso limiti la libertà negativa di non professare alcuna religione»34, sulla base di un’interpretazione sistematica delle disposizioni costituziona-

li, giunse ad affermare che

i valori richiamati concorrono, con altri (artt. 7, 8 e 20 della Costituzione), a strutturare il princi- pio supremo della laicità dello Stato, che è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica. il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale35.

Scese poi nel merito della questione: con una lunga e argomentata disamina della disposizione impugnata dapprima specificò che

dinanzi ad un insegnamento di una religione positiva impartito «in conformità alla dottrina della Chie- sa», secondo il disposto del punto 5, lettera a), del Protocollo addizionale, lo Stato laico ha il dovere di salvaguardare che non ne risultino limitate la libertà di cui all’art. 19 della Costituzione e la respon- sabilità educativa dei genitori di cui all’art. 3036;

per poi concludere nel senso che il principio di laicità non fosse vulnerato da tale normativa, dal momento che l’art. 9 prevedeva che l’esercizio del diritto di scelta di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica sarebbe avvenuto, sulla base delle indicazioni di questa decisione di rigetto, senza che tale scelta potesse dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.

La Corte, prima di rigettare la questione ‘nei sensi di cui in motivazione’, precisò inoltre che

La previsione come obbligatoria di altra materia per i non avvalentisi sarebbe patente discrimina- zione a loro danno, perché proposta in luogo dell’insegnamento di religione cattolica, quasi corresse tra l’una e l’altro lo schema logico dell’obbligazione alternativa, quando dinanzi all’insegnamento di religione si è chiamati ad esercitare un diritto di libertà costituzionale non degradabile, nella sua serietà e impegnatività di coscienza, ad opzione tra equivalenti discipline scolastiche. Lo Stato è obbligato, in forza dell’accordo con la Santa Sede, ad assicurare l’insegnamento di religione cattolica. Per gli

34 Ibidem, p. 898 (corsivo aggiunto).

35 Punto 4 del Considerato in diritto, pp. 898 e 899 (corsivi aggiunti). Di particolare interesse l’inciso che

segue nel testo della motivazione, che non sembra mai esser stato valorizzato in dottrina, in cui la Corte precisa che «La scelta confessionale dello Statuto albertino, ribadita nel trattato lateranense del 1929, viene così anche formalmente abbandonata nel Protocollo addizionale all’accordo del 1984, riaffermandosi anche in un rapporto bilaterale la qualità di Stato laico della Repubblica italiana»: riaffermandosi, anche, formalmente, sono termini che inducono a pensare che, quindi, sostanzialmente, l’abbandono del confessionalismo di Stato ci fosse già stato, appunto con la sostituzione dello Statuto albertino in ragione dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, così come sostenuto con lucidità e chiarezza nel 1950 da Vezio Crisafulli.

36 Punto 8 del Considerato in diritto, p. 901. Prosegue la Corte: «torna qui la logica strumentale propria del-

lo Stato-comunità che accoglie e garantisce l’autodeterminazione dei cittadini, mediante il riconoscimento di un diritto soggettivo di scelta se avvalersi o non avvalersi del predisposto insegnamento della religione cattolica».

studenti e per le loro famiglie esso è facoltativo: solo l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo scolastico di frequentarlo37.

Questa decisione è di storica importanza perché riconosce definitivamente l’e- sistenza di un principio supremo (quindi limite implicito alla funzione di revisione costituzionale, nonché parametro di costituzionalità delle norme concordatarie e ‘con- trolimite’ rispetto alle norme comunitarie) che la dottrina più sensibile aveva da tempo identificato, ma su cui le opinioni erano ancora discordanti in virtù della presenza in Costituzione dell’art. 7 e di un presunto, e quasi mai definito, favor religionis che si desumerebbe dagli articoli 7, 8, 19 e 2038: tale principio, per la sua generalità, eserciterà

in seguito influenza su tutta la materia della libertà religiosa, al di là del singolo àmbito giurisprudenziale che ha portato al suo riconoscimento39.

37 Punto 9 del Considerato in diritto, p. 902 (corsivi aggiunti). Continua la Corte: «Per quanti decidano di

non avvalersene l’alternativa è uno stato di non-obbligo. La previsione infatti di altro insegnamento obbligatorio verrebbe a costituire condizionamento per quella interrogazione della coscienza che deve essere conservata attenta al suo unico oggetto: l’esercizio della libertà costituzionale di religione». Per a. m. punzi niColò,

La libertà religiosa individuale e collettiva nelle sentenze della Corte costituzionale, in r. Botta (a cura di), Diritto

ecclesiastico e Corte costituzionale, cit., p. 313, «Le motivazioni in diritto avanzate dai giudici costituzionali ap- paiono profonde ed elevate, rifiutando di degradare – come fu detto – la scelta dell’insegnamento religioso, che dovrebbe essere connessa ad un atteggiamento di fede, ad una opzione tra varie attività scolastiche».

38 Sulla ontologica impossibilità di esistenza di un tale favor nel nostro ordinamento costituzionale v. quan-

to già argomentato nella Parte i di questo lavoro. Definitive, a tal riguardo, paiono comunque le considerazioni di C. Cardia, Ateismo e libertà religiosa, cit., p. 18, secondo cui «Provvedere a una disciplina positiva della

religiosità, favorendola o privilegiandola, comporterebbe di necessità porre in una condizione di sfavore le ma- nifestazioni di non religiosità». ne risulterebbero vulnerate, di conseguenza, la libertà religiosa sotto il profilo negativo e le altre manifestazioni promananti dal libero sviluppo della personalità di ciascuno.

39 Sul significato di questa sentenza e sulle vicende parlamentari conseguenti v. P. Barile, Lo Stato è laico,

parola di corte, in La Repubblica, 13 aprile 1989, nonché Quei poveri studenti prigionieri in classe…, in La Repub- blica, 12 maggio 1989, ora in Libertà, giustizia, costituzione, Padova, Cedam, 1993, rispettivamente p. 195 e p. 203. Cfr. anche g. g. Floridia - S. SiCardi, Dall’eguaglianza dei cittadini alla laicità dello Stato. L’insegnamento confes-

sionale nella scuola pubblica tra libertà di coscienza, pluralismo religioso e pluralità delle fonti, in Giur. cost., 1989, p. 1086 e ss, e n. Colaianni, Il principio supremo di laicità dello Stato e l’insegnamento della religione cattolica, in Foro

it., 1989, i, c. 1333 e ss. giudica una svolta questa sentenza m. Ventura, La religione tra Corte costituzionale e giuri-

sdizioni europee, cit., p. 372, secondo cui da essa in poi «va delineandosi grazie alla Corte costituzionale un sistema di diritto ecclesiastico finalmente purgato delle scorie confessioniste e più coerente con il quadro costituzionale». avanza una velata critica, invece, F. onida, Il principio di laicità, cit., p. 278: dopo un atteggiamento debole manife-

statosi nell’aver atteso la revisione del Concordato per procedere a delineare il principio di laicità come caratteriz- zante la forma di Stato, la Corte avrebbe posto in essere un’operazione definitoria che «può non convincere»; anche se è forse «da tenere in conto che i contenuti individuati trattando di un problema specifico e limitato (l’insegna- mento della religione cattolica) non sono certamente esaustivi». in senso diverso v. l. muSSelli, Insegnamento della

religione cattolica e tutela della libertà religiosa, cit., p. 909, per il quale «il concetto qui enunciato di laicità non cor- risponde certo alla visione dello Stato laico della tradizione liberale ottocentesca indifferente ed agnostico in mate- ria religiosa quando non addirittura anticlericale e neogiurisdizionalista. né esso corrisponde all’idea francese od anche statunitense di laicità in campo scolastico che impedisce allo Stato di sovvenzionare direttamente od addirit- tura far proprio un insegnamento di tipo religioso. Siamo invece qui vicini alla concezione tedesca di laicità come neutralità religiosa dello Stato, che tuttavia riconosce alle Chiese un rilievo sul piano pubblicistico e nella sfera edu- cativa … nei limiti in cui ciò non pregiudichi i diritti fondamentali di coloro che sono estranei a questa dimensione».

È necessario a questo proposito prendere posizione su una tendenza dottrinale che, isolando il passaggio contenuto in un obiter dictum di questa sentenza (il principio di laicità «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni»), vorrebbe trarre da ciò, dimenticando il resto della formula e tutte le decisioni del ventennio successivo, la riconferma del favor religionis o quella non meglio precisata ‘laicità positiva’ che servirebbero a garantire gli interventi promozionali e i privilegi riservati al fenomeno religioso.

L’infondatezza di tale ricostruzione emerge per la verità, oltreché dal fatto che non si vede come da una ‘non indifferenza’ nei riguardi di un fenomeno possa desumersi una necessità di ‘promozione’ o addirittura di ‘privilegio’ dello stesso, già solamente dal séguito della frase («ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religio- ne, in regime di pluralismo confessionale e culturale»), dove l’accezione di pluralismo viene chiaramente allargata, con il lemma ‘culturale’ a ogni possibile fenomeno frutto delle libertà di pensiero e di manifestazione dello stesso.

i dubbi sulla precisa definizione del principio di laicità, che ancora oggi permango- no in sede giurisprudenziale, sono già stati in parte dissipati dalla casistica successiva, in cui lo stesso ha assunto abbastanza chiaramente la sua ‘naturale’ fisionomia, ossia quella della imparzialità, equidistanza e neutralità in rapporto al fenomeno religioso (ammesso e non concesso che un tale fenomeno sia giuridicamente distinguibile dagli altri emergenti dal libero sviluppo della personalità di ogni singola persona)40.

È inoltre una decisione importante nella parte in cui rimarca la pienezza della tutela della libertà religiosa sotto il profilo negativo, cioè quello di ‘libertà dalla religione’.

Si è fatto anche notare come essa insista «sul nucleo profondo dell’art. 19, che è la

libertà di coscienza» che sarebbe poi stata espressamente definita due anni più tardi con

la s. n. 467/199141.

40 Curiosamente il riconoscimento di tale ‘inclinazione’ nella giurisprudenza costituzionale degli ultimi

diciassette anni è stato avvertito più dai sostenitori della ‘sana laicità’ che dagli avversari della stessa: cfr. S. mangiameli, La «laicità» dello Stato tra neutralizzazione del fattore religioso e «pluralismo confessionale e cultu-

rale», cit., p. 41, secondo il quale «La sentenza n. 149, in tal senso, sembra muoversi lungo una diversa tendenza. La scomparsa del giuramento del teste dal processo civile, infatti, non rappresenta di certo una valorizzazione del fattore religioso ed anzi fa riflettere che, con l’argomento di elidere una violazione della coscienza dell’obiet- tore totale, si tenda ad espungere l’influenza di questo fattore dalla vita pubblica, riaffermando così una conce- zione illuminista della libertà religiosa, in cui questa viene intesa in modo strettamente privatistico e può, perciò, essere goduta dai cittadini solo al di fuori della vita pubblica. È evidente, perciò, come quella che la Corte chia- ma “un’attuazione, fra quelle possibili, del «principio supremo della laicità dello Stato»”, in realtà, rappresenti una tendenza verso una accentuata neutralizzazione del fattore religioso»; e m. oliVetti, Incostituzionalità del

vilipendio della religione di Stato, uguaglianza senza distinzioni di religione e laicità dello Stato, cit., p. 3978, nota 30, che dopo aver affermato essere «arduo sostenere che la nozione di laicità accolta nella Costituzione italiana sia quella di neutralità assoluta dello Stato a fronte del fenomeno religioso», conclude che «molte delle critiche testé formulate sono agevolmente estensibili alla giurisprudenza costituzionale cui si fa riferimento in questa nota». Con il che anche questo autore, criticamente, riconosce che la laicità, nella giurisprudenza costituzionale, soprattutto a partire dal 1995, si sia caratterizzata non certo nel senso della laicità c.d. ‘positiva’ considerata dallo stesso l’unica compatibile con il disegno costituzionale.

e si è infine acutamente sottolineato come

considerati le condizioni e i contenuti del principio di laicità (libertà religiosa e pluralismo confessio- nale; autonomia confessionale, bilateralità ed eguaglianza) si deve osservare che, almeno in astratto, l’operazione ha aperto alla Corte la strada per sindacare la normativa concordataria sotto le più varie possibili violazioni della Costituzione,

anche se poi le applicazioni di tale principio in relazione all’àmbito pattizio sono risul- tate particolarmente timide42.

il limite più grosso di questa decisione, a prescindere dagli argomenti portati dalla dottrina per sottolineare l’incoerenza della proclamazione della laicità accompagnata dal ‘salvataggio’ dell’ora di religione43 è l’avere affidato le sue prescrizioni a un rigetto,

risultando così scarsamente efficace in relazione all’àmbito giurisprudenziale entro il quale è stata emanata.

Due anni più tardi venne riproposta una questione di legittimità costituzionale aven- te a oggetto sempre l’art. 9 della l. n. 121/1985, sollevata in procedimenti ex art. 700 c.p.c. in cui le parti avevano richiesto la declaratoria d’illegittimità degli orari scolastici adottati nelle scuole elementari e medie statali frequentate dai loro figli, nella parte in cui l’insegnamento della religione era collocato nel novero delle ore obbligatorie, sull’as- sunto dell’inesistenza di un obbligo dei minori a rimanere a scuola durante tale insegna- mento; i parametri indicati nell’ordinanza di rimessione erano gli artt. 2, 3, 19 e 9744.

L’avvocatura dello Stato eccepì, oltre al difetto di rilevanza della questione e al difetto di giurisdizione del giudice a quo, che l’insegnamento religioso dovesse consi- derarsi, proprio alla stregua della s. n. 203/1989, elemento per la realizzazione dei fini della scuola, non diversamente da altre materie: in particolare, sostenne che

grazie a questa insistenza che due anni più tardi la Corte può costruire la categoria dei diritti della coscienza: “poiché la coscienza individuale ha rilievo costituzionale quale principio creativo che rende possibile la realtà delle libertà fondamentali dell’uomo e quale regno delle virtualità di espressione dei diritti inviolabili del sin- golo nella vita di relazione” … deve essere protetta in misura proporzionata “alla priorità assoluta e al carattere fondante” ad essa riconosciuta nella scala dei valori espressa dalla Costituzione». nota p. FloriS, L’autonomia

confessionale nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in r. Botta (a cura di), Diritto ecclesiastico e Corte

costituzionale, cit., p. 174, che da questa decisione «è derivato un generale recupero delle garanzie di uguaglianza in campo religioso. e questo in riferimento tanto agli individui quanto ai gruppi … L’uso del principio di laicità ha contribuito soprattutto a far risaltare la portata generale della direttiva tratteggiata all’art. 7 Cost., e relativa alla separazione tra sfere di competenze civili e religiose. anzi, la Corte ha individuato ciò “che caratterizza nell’essenziale” la laicità dello Stato proprio nella “distinzione dell’ordine delle questioni civili da quello dell’e- sperienza religiosa”. La conseguenza, nel campo specifico delle relazioni Stato-Chiese, è che tale distinzione è risultata ormai definitivamente emancipata dai soli rapporti Stato-Chiesa cattolica, per essere acquisita in generale alle relazioni Stato-confessioni religiose».

42 Così B. randazzo, Diversi ed eguali. Le confessioni religiose davanti alla legge, cit., p. 262.

43 Cfr. la recente interessantissima ricostruzione di e. diCiotti, Il valore dell’istruzione, l’insegnamento

della religione e le scuole confessionali nella Costituzione italiana, in www.dirittoequestionipubbliche.org.

44 S. n. 13/1991, in Giur. cost., 1991, p. 77 e ss., con allegata l’ordinanza di rimessione e con osservazione di

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