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La libertà religiosa come fattispecie specifica dell’art 21 Cost.

la libertà religiosa nel sistema costituzionale

3. La libertà religiosa come fattispecie specifica dell’art 21 Cost.

Un altro filone di pensiero sembra invece considerare la libertà religiosa come libertà specifica solo nel senso del rapporto da genus a species, dove il genus sarebbe rappresentato dalla libertà di manifestazione del pensiero.

Due di queste posizioni emersero nella disputa sull’illiceità dell’ateismo ‘attivo’ sostenuta da agostino Origone: a questi replicò, come abbiamo visto, dapprima artu- ro Carlo Jemolo, per il quale, in buona sostanza, ogni manifestazione ateistica doveva essere considerata legittima costituzionalmente, ma non sulla base dell’art. 19 Cost., bensì dell’art. 21, di cui il primo costituiva una specificazione necessaria per ragioni di carattere storico contingente, senza che questo potesse portare a considerare la libertà religiosa come libertà oggettivamente privilegiata27.

il problema di queste ricostruzioni riguardava però la posizione in cui esse colloca- vano l’ateismo: anna Ravà, per esempio, proponeva una lettura dell’art. 19 Cost. che si basava sulla constatazione del fatto che nel diritto di libertà religiosa la facoltà di fare è specificamente indicata come facoltà di professare la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne il culto, a cui corrisponde, nel suo aspetto negativo, la facoltà di non professare la propria fede religiosa, di non farne propaganda e di non esercitarne il culto. Ciò che pertanto può rientrare nella tutela dell’art. 19, considerato nella sua implicazione negativa, è l’indifferentismo religioso, ma non l’ateismo28.

Da questa esclusione non si traeva come conseguenza l’illiceità dell’ateismo, ma lo si considerava protetto dal solo art. 21 Cost., dal momento che

ciò appare evidente sol che si pensi, d’altra parte, che la libertà religiosa altro non è che un aspetto della libertà di opinione e di affermare ciò che si crede (in senso ampio: ossia ciò che si pensa): da cui l’art. 19 come specificazione dell’art. 21, cioè applicazione, ad un particolare settore di attività, del principio più generale della libera manifestazione del pensiero, ed applicazione che è stato necessario ed opportuno affermare espressamente, sia per ben evidenti ragioni storiche, sia per la chiara esigenza di estendere la garanzia agli atti esterni di culto29.

27 Particolarmente significativo quanto detto a tal proposito dall’illustre autore, soprattutto in un periodo

dove sembrano riaffacciarsi visioni, anche giuridiche, che vorrebbero porre limiti alla libertà di manifestazione del pensiero nella materia che si sta trattando: scrive a. C. Jemolo, Le libertà garantite dagli artt. 8, 19 e 21, cit.,

p. 422: «Quanto infine agli asseriti limiti alla libertà di propaganda, si dice cosa esatta se si afferma che questa non può ledere le libertà altrui, ove si voglia con ciò affermare che io non posso essere costretto a ricevere nella mia casa ed ascoltare chi voglia convincermi della verità di una sua dottrina, non posso essere costretto a leggere un certo manifesto od opuscolo di propaganda; ma non si attenta certo alla mia libertà se si tiene anche sulle piazze un comizio al quale non sono costretto ad intervenire, se vi si tengono discorsi che non sono tenuto ad ascoltare, se me si dà un opuscolo di propaganda che posso non leggere e lacerare. Si nega invece la libertà di propaganda, pure senza osare di enunciare chiaramente questo diniego, quando si dice che la propaganda non deve offendere le opinioni che possono essere più care a chi ascolta».

28 a. raVà, Contributo allo studio dei diritti individuali e collettivi di libertà religiosa, cit., p. 43. 29 Ibidem, p. 44.

tale ricostruzione, forse la più vicina all’idea che di tale questione si aveva alla Costituente30, sebbene apparentemente inoffensiva, giuridicamente parlando, per la

posizione degli atei, lasciava aperti varchi a interpretazioni di tipo discriminatorio e veniva per questo, in maniera convincente, contestata da Carlo Cardia, che faceva notare come, innanzitutto, si sarebbe potuto obiettare

che facoltà correlativa a quella di professare una fede religiosa è l’altra di professare un opposto cre- do, anche negativo, verso ogni forma di trascendenza e di spiritualità, e diritto antitetico a quello di propagandare i propri convincimenti religiosi è di ‘rendere partecipi gli altri’ dei propri convincimenti ateistici, agnostici o deistici etc., anche perché ad un facere, va sempre riconnesso, in tema di libertà – ove ciò sia possibile – un facere contrario, oltre che un abstinere31.

inoltre, lasciar fuori l’ateismo dall’àmbito della tutela garantita dall’art. 19 avrebbe potuto comportare conseguenze negative, dal momento che si sarebbe potuta leggere la disposizione come fondativa di privilegi per il pensiero religioso; si rimarcava quindi, dopo aver ricordato che «una disciplina privilegiaria per una confessione religiosa si risolve per ciò stesso in funzione antiateistica», che «la libertà di manifestazione del pensiero non è sufficiente a garantire un equilibrato rapporto – a livello normativo – tra ateismo e religione»32.

il pensiero dell’ultimo autore da richiamare in questo paragrafo non fa che rendere ragione delle preoccupazioni sopra richiamate: Pietro agostino D’avack, infatti, dopo aver specificato che

il riconoscimento e la tutela giuridica della libertà religiosa costituiscono in sostanza appunto e sol- tanto un’applicazione specifica del principio generale di riconoscimento e tutela nel campo del diritto delle libere manifestazioni del proprio pensiero e della libera propaganda delle proprie idee33, concludeva, con un’argomentazione che appare caratterizzata da un ‘salto logico’, dopo aver escluso che nella locuzione «senza distinzione di religione» potessero essere ricompresi gli atei34, che «il principio fondamentale di eguaglianza consacrato nell’art.

30 Si ricordi quanto riportato nel paragrafo sui lavori preparatori a proposito della bocciatura dell’emen-

damento proposto dall’on. Labriola per aggiungere un comma all’art. 8 che contemplasse le organizzazioni dei non credenti: l’on. Laconi sottolineò la superfluità della formulazione sulla base del fatto che la tutela era già apprestata dalle restanti libertà costituzionali, prima fra tutte quella di manifestazione del pensiero.

31 C. Cardia, Ateismo e libertà religiosa, cit., p. 84.

32 Ibidem, p. 85. in senso conforme v. S. lariCCia, Coscienza e libertà, cit., p. 103, secondo il quale, se

«il diritto di libertà religiosa si concepisce come il diritto di manifestare il proprio pensiero in materia religiosa e la garanzia contenuta nell’art. 19 si considera come una specificazione di quella contemplata nel successivo art. 21 cost., anche l’ateismo e le convinzioni negative di ogni trascendenza o divinità devono ritenersi garantiti dall’art. 19 (anziché dal solo art. 21 cost.). tale conclusione ha importanti conseguenze sul piano concreto, in quanto non soltanto consente di riconoscere una protezione anche ad eventuali associazioni di atei, ma evita che, separando a livello normativo i due termini – (libertà dell’) ateismo e (libertà di) religione –, si diano alle religioni tribune e strumenti specifici alla loro divulgazione che si risolvono in condizionamenti antiateistici».

33 p. a. d’aVaCk, Libertà religiosa, in Enc. dir., XXiV, milano, giuffrè, 1974, p. 605.

3 cost. e la categorica e indiscriminata tutela della libertà di manifestazione del pensiero sancita nell’art. 21 cost. finiscono per garantire la libertà dell’ateismo sullo stesso piano paritario della libertà di religione», ma

adottando questa diversa disciplina normativa per i due fenomeni, in ultima analisi il legislatore ita- liano finisce, come per il passato, per tutelare il diritto di libertà degli atei non in quanto membri di gruppi associati e organizzati di miscredenti, areligiosi, agnostici, ecc., quale un loro diritto sia indivi- duale sia anche collettivo di libertà, così come si verifica per gli adepti delle confessioni religiose, ma soltanto in quanto cittadini singoli, che hanno bensì, come tali, il diritto di manifestare e propagandare liberamente il loro pensiero sia individualmente, sia in forma associata, ma sempre e soltanto quale un loro puro e semplice diritto individuale di libertà35.

Sembrerebbe di capire che l’autore consideri in questa maniera le forme associative non religiose incapaci di essere titolari di diritti collettivi e quindi nella sostanza per questo tramite giustifichi i trattamenti privilegiari di cui godevano (e godono) le forme associative religiose, nonché l’impossibilità di estensione di tali privilegi alle forme associative di matrice ateistica.

Una ben strana lettura del principio di eguaglianza, che trae peraltro argomenti dalla bocciatura di un emendamento che, in sede costituente, mirava a esplicitare nella formula l’aspetto negativo della libertà religiosa36, alla quale si può comunque secca-

mente replicare come la formula «senza distinzione di religione» non possa voler dire se non indipendentemente dal fatto che il cittadino professi una religione; altrimenti “senza distinzione di opinioni politiche” dovrebbe significare che sono eguali tutti coloro che hanno una opinione politi- ca – qualunque sia – mentre non lo sarebbe chi una tale opinione per avventura non avesse. È evidente l’assurdo37.

e certamente una disposizione che sancisce nella forma più ampia il principio di non discriminazione non può essere usata a fini discriminatori, pena il venir meno della stessa ragione della sua esistenza.

È altrettanto evidente che per evitare che questa assurdità ‘rientri dalla finestra’ per il tramite dell’art. 19 Cost., quest’ultimo deve essere letto in combinato disposto con l’art. 3 Cost., e deve dunque valere almeno a garantire, in termini di totale eguaglianza,

«lo specifico attributo della religione, sibbene sul fatto di costituire un principio generale e unico del nostro ordinamento, vigente per tutti i cittadini italiani senza distinzione, indipendentemente dalla loro appartenenza o meno a una di quelle specifiche categorie che, a mero titolo esemplificativo, si riscontrano elencate nella norma costituzionale, tra cui è appunto la religione». Peccato però che poi, dal mero titolo esemplificativo, l’autore tragga argomento per discriminare fra forme associative religiose e forme associative ateistiche.

35 Ibidem, p. 606.

36 La ‘proposta Cevolotto’ respinta mirava a inserire nel testo dell’art. 3 Cost. un riferimento esplicito alla

non credenza, ma anche in questo caso il respingimento non può considerarsi avvenuto sulla base di intenti di- scriminatori. Semplicemente, come abbiamo visto trattando dell’‘emendamento Labriola’, si riteneva superflua un’esplicitazione in tal senso.

anche l’ateismo e ogni altra forma di non credenza38. Sarebbe bastato peraltro rifarsi

alla celebre formula di Francesco Ruffini, il cui insegnamento era alla base delle conce- zioni in materia di molti dei Costituenti, per accedere all’interpretazione che designa il livello al di sotto del quale non si può scendere senza contraddire il significato di una disposizione riguardante la libertà religiosa in un ordinamento liberaldemocratico e pluralista come il nostro: essa non può che essere, infatti, quella libertà «che non pren- de partito né per la fede, né per la miscredenza», dal momento che

vuole creare e mantenere nella società una condizione di cose tale, che ogni individuo possa proseguire e conseguire a sua posta quei due fini supremi, senza che gli altri uomini, o separati o raggruppati in associazioni o anche impersonati in quella suprema collettività che è lo Stato, gli possano mettere in ciò il più piccolo impedimento o arrecare per ciò il più tenue danno39.

4. La libertà religiosa come libertà nell’àmbito di pensiero

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