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La dissoluzione del concetto di libertà religiosa

la libertà religiosa nel sistema costituzionale

3. La dissoluzione del concetto di libertà religiosa

non è infrequente, nella dottrina costituzionalistica, imbattersi in formulazioni, esemplari per chiarezza, di questo tipo:

La libertà religiosa si articola in vari aspetti positivi, riconducibili, volta a volta, a ciascuna delle libertà sin qui esaminate. essa infatti è, per un verso, libertà di manifestare opinioni religione, per altro di insegnare le dottrine di una qualunque religione, per altro ancora di riunirsi e di circolare (in pro- cessione) per celebrare i riti della propria religione, e per altro, infine, di associarsi a scopi religiosi … È appena il caso di osservare che, in quanto non derogate dall’art. 19, valgono per la libertà religiosa, nelle sue diverse estrinsecazioni, le norme costituzionali dedicate, in generale, alla libertà di pensiero, di riunione, di associazione e di insegnamento27.

monoteismo, la trascendenza, ecc.). Come qualificare i Dianetici, per esempio? e come ci si comporterà di fronte a riti animisti e ad usanze tribali?».

26 Cosa su cui sembra convenire, alla fine del suo scritto, pure S. Ferrari, La nozione giuridica di confessio-

ne religiosa, cit., p. 43, secondo il quale «nelle loro aree più periferiche, dove gli elementi di peculiarità tendono ad assottigliarsi ed i punti di omogeneità prendono il sopravvento, i fenomeni religiosi e areligiosi (nelle molte- plici espressioni etiche, ideologiche, culturali che questi ultimi possono assumere) si prestano ad essere regolati attraverso una disciplina tendenzialmente uniforme: è questo il caso, per esempio, dei canali di finanziamento aperti dagli accordi di Villa madama e dalla intese per le confessioni religiose (o meglio per alcune di esse) ma ancora sbarrati – totalmente o quasi – per le organizzazioni che, pur non perseguendo finalità lucrative, non sono connotate dal carattere religioso. Si rischia così di riprodurre, per più confessioni religiose, una zona ‘fran- ca’ (o di ingiustificato vantaggio) che in precedenza era riservata ad una sola di esse senza però fare progredire quella disciplina di diritto comune che, in alcuni settori, è richiesta alla laicità dello Stato».

27 Così C. laVagna, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 422. V. anche p. Barile, Diritti dell’uomo e li-

bertà fondamentali, Bologna, il mulino, 1984, p. 208. Cfr. pure a. C. Jemolo, Che cos’è la Costituzione, Roma,

Donzelli, 2008 (ristampa con prefazione di g. zagreBelSky e postfazione di a. CaVaglion), p. 54, secondo

il quale «Se pure la Costituzione non parlasse affatto di religione e dichiarasse l’indifferenza dello Stato di fronte a tutti i culti, la garanzia stessa di alcune libertà dei cittadini porterebbe come logica conseguenza la garanzia di alcuni diritti della Chiesa. ad esempio, concedendo ai cittadini la libertà di associazione e dando alle varie associazioni la possibilità di possedere dei beni, si verrebbe a garantire la vita dei conventi, come pure, concedendo la libertà di insegnamento, si verrebbe a garantire l’istruzione religiosa e la scuola confessionale». anche p. BiSCarettidi ruFFia, Diritto costituzionale, XV ed., napoli, Jovene, 1989, p. 772,

sembra muoversi nella stessa ottica, pur se con meno raffinatezza logica: «La c.d. libertà di pensiero più esat- tamente deve intendersi come a) libertà di manifestazione esteriore del proprio pensiero (dato che quest’ultimo, se inteso in senso stretto, appare sempre, per sua natura, libero ed incoercibile). ma, posto che fra i mezzi che a tal riguardo possono essere impiegati, la stampa ha acquistato oggidì una prevalente importanza, si suole

Da questa constatazione, cioè dalla sostanziale superfluità in questo senso dell’art. 19 Cost., visto che le facoltà in esso elencate sono già previste dagli altri articoli costitu- zionali riguardanti le libertà, si sono tratte, come abbiamo visto, indicazioni divergenti: le ricostruzioni della libertà religiosa come libertà, soggettivamente o oggettivamente, privilegiaria, ormai superate, si basavano proprio sulla necessità di ricavare un autono- mo significato da una disposizione che parrebbe essere altrimenti ridondante. Come abbiamo visto, però, molta della ‘ridondanza’ del testo costituzionale fu dovuta a motivi storico-politici, a necessità contingenti, e non sembra corretto dal punto di vista ermeneutico trarre conseguenze discriminatorie da formule che non erano state poste con tale intento solo per la necessità di trovare a tutti i costi un significato alle stesse. Un conto è il tentativo di trovare un significato a una disposizione, un conto è farle dire cose contrarie a quella che era l’intenzione e che vanno a cozzare con il vero principio di struttura dell’ordinamento costituzionale, cioè quello di eguaglianza-non discriminazione.

Stupisce quindi che un autore come giuseppe Ugo Rescigno, in un paper di qual- che anno fa, dinanzi all’evoluzione in materia di interpretazione dell’art. 19 Cost. che abbiamo precedentemente analizzato, potesse ancora sostenere che

la libertà religiosa è prevista separatamente dalle altre libertà proprio per consentire ancora, in certi casi e per certi aspetti, differenze di libertà (sia in negativo sia ancor più in positivo) tra confessione e confessione religiosa, e tra tutte le confessioni religiose da un lato, e l’ateismo e l’agnosticismo dall’altro28.

Per dimostrare ciò invitava a fare un esperimento mentale, ossia a cancellare dal testo costituzionale gli artt. 7, 8, 19 e 20 Cost., concludendo che il risultato pratico e giuridico sarebbe lo stesso; per cui, aggiungeva, tali articoli dovevano per forza attribu- ire una dimensione privilegiaria a tale libertà.

a parte il fatto che senza gli artt. 7 e 8 il risultato pratico sarebbe parecchio differen- te, quanto meno non si dovrebbe faticare così tanto per ricondurre all’alveo del diritto comune la disciplina riguardante il fenomeno religioso, soprattutto per quanto riguarda la Chiesa cattolica, non è certo una conseguenza necessaria di tale ragionamento arriva- re alle conclusioni cui giunge l’autore: anzi, proprio la sostanziale inutilità dell’art. 19 può condurre verso l’affermazione dell’inesistenza di un ‘sentimento religioso’ distin- guibile giuridicamente dagli altri sentimenti promananti dalla coscienza e dal pensiero e quindi alla impossibilità di differenziarne il trattamento29.

trattare distintamente della b) libertà di stampa; così come dei motivi prevalentemente storici hanno posto in particolare risalto pure c) la c.d. libertà di religione». e ancora: «La libertà di religione (implicante sia la libertà di pensiero in materia religiosa, detta anche libertà di coscienza, sia quelle di culto e di proselitismo, e cioè la possibilità di riunirsi con altri fedeli per compiere in comune funzioni, cerimonie e pratiche religiose e di discutere di problemi religiosi allo scopo di propagandare la propria fede) è affermata, con formulazione assai ampia, dall’art. 19 Cost.» (p. 783).

28 g. u. reSCigno, Costituzioni e principio di laicità, p. 2. Questo paper non risulta essere mai stato pubbli-

cato, ma se ne può trovare un sunto in www.arifs.it/bs05rescigno.htm.

infatti, alla luce delle considerazioni che precedono, può intendersi l’irragionevolez- za, per quanto possa importare e rilevare per il diritto dello Stato, di una formulazione di religione intesa come fatto distinto, sia rispetto alla manifestazione del pensiero che rispetto alle altre libertà con quest’ultima coordinate, quali quelle di associazione e di riunione: «una completa garanzia in ordine a queste libertà sarebbe automaticamente tutela anche della libertà religiosa, con la quale, come si è cercato di dimostrare, realiz- zano una perfetta identità (ovviamente per quanto concerne la sfera del giuridico)»30.

L’applicazione del descritto principio di identità alla realtà costituzionale italiana com- porta il «riassorbimento della libertà religiosa in quella di manifestazione del pensiero (unitamente alla libertà di riunione e di associazione) e la contestuale ingiustificatezza sul piano testuale delle disposizioni prevedenti una regolamentazione ad hoc della materia religiosa e viceversa»31.

Questo è dunque il senso che se ne può trarre: cioè la effettiva parità e dignità di ogni sentimento promanante dalla coscienza di ogni singolo individuo, con il limite, naturalmente, di quel diritto penale (nei limiti in cui lo stesso sia costituzionalmente legittimo) richiamato dall’art. 18 Cost. e questa non può che essere, sulla base degli artt. 2 e 3 Cost., la vera sostanza del principio pluralistico e di quello di laicità dello Stato32.

Le conseguenze normative di questa dissoluzione appaiono altrettanto rilevanti: in primo luogo sarebbero dunque ingiustificate tutte le restrizioni che la libertà dell’art. 21 Cost. e, parimenti, quelle degli artt. 17 e 18 Cost., possano soffrire rispetto ai com-

n. LuHmann, La libertà di coscienza e la coscienza, p. 266, citato in g. Di CoSimo, Coscienza e Costituzione, cit.,

p. 4, in nota 8.

30 Cfr. L. OliVieri, Nuove religioni, principio di autoreferenziazione e Corte costituzionale, cit., p. 204, che

così continua: «né potrebbe eccepirsi una ragione di specialità, cioè una progressione da genere a specie, tra la disciplina della libertà di manifestazione del pensiero (e di riunione e associazione) e quella di religione e di culto. L’uomo integrale sa benissimo in se stesso che la qualità speciale della religione nulla ha a che vedere con la manifestazione del pensiero (e riunione e associazione), di cui non potrebbe mai costituire una sottocategoria; l’uomo giuridico, o comunque quello limitato al riscontro fenomenico, non è in grado, all’opposto, di vedere alcuna distinzione particolare, tale da giustificare una differenza di regime normativo tra la manifestazione del pensiero (e connessi) da una parte, e la manifestazione religiosa dall’altra».

31 Ibidem, p. 204, (corsivo aggiunto) che in nota 23 ricorda, citando gli esempi di Del giudice e Paladin,

come non sia nuova, in dottrina, «l’affermazione che la manifestazione religiosa inerisce alla manifestazione del pensiero (e alle libertà connesse), ma i medesimi autori non spingono oltre il ragionamento e finiscono per am- mettere comunque come a sé stante il valore e il significato delle disposizioni costituzionali sulla religione, non parendo avvertire che il principio di identità impedisce per definizione di giustapporre separatamente gli enti che, considerati distinti in un primo tempo solo per comodità di esposizione, si sono dimostrati identici, cioè un unico ente … Perciò una volta ricongiunte religione e manifestazione del pensiero (e libertà connesse), diviene automaticamente recessivo l’insieme delle disposizioni destinate alla sola religione o, viceversa, l’insieme delle disposizioni destinate alla stessa manifestazione del pensiero, che infatti potrebbe sussumersi nella previsione normativa della libertà religiosa».

32 Cfr. g. leziroli, Aspetti della libertà religiosa, cit., p. 114, in nota 10, secondo il quale «La libertà del

fenomeno religioso trova, quindi, nella realtà costituzionale, la sua esatta dimensione se ed in quanto raffron- tata ad altre espressioni di libertà, non viceversa al di fuori di essa. La libertà del fenomeno religioso non è né prioritaria, né privilegiaria perché, in caso contrario, essa sarebbe una libertà ottenuta e garantita al di sopra o contro le libertà proprie di tutti gli altri fenomeni sociali rilevanti a livello costituzionale».

portamenti materialmente identici, ritenuti relativi alla libertà religiosa, risultando così necessaria

una completa abrogazione delle attuali limitazioni, comprese quelle civilistiche per le persone giuri- diche, e una precisazione di quelle in tema di esproprio, etc., lasciando ad unico oggetto di possibili accordi Stato-religioni le res mixtae tradizionali, banditi reciproci vincoli di natura economica.

in secondo luogo, un’altra conseguenza

potrebbe consistere nell’inidoneità del paradigma religione a fungere da tertium comparandi nell’ap- plicazione del principio di uguaglianza, che è come affermare l’ininfluenza della caratterizzazione reli- giosa nel contenuto del principio medesimo, che risulterebbe inapplicabile alle fattispecie religiose33.

Come si vede, effetti rilevantissimi e di tutt’altro segno rispetto a quanto teorizzato da chi vuole vedere nella menzione esplicita della religione un privilegio per la stessa.

in definitiva, dunque, per rispettare il dettato costituzionale così come ricostruito in questo lavoro,

l’unica posizione che lo Stato può assumere nei confronti dei sentimenti religiosi e della libertà di co- scienza è di perfetta indifferenza quanto ai rapporti ‘verticali’, e di intransigente protezione del diritto individuale di libertà negativa, quanto ai rapporti ‘orizzontali’34.

4. Morte e trasfigurazione della ‘prima libertà’: la libertà religiosa

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